Alimentazione Ambiente

Il fuoco dell’industria e lo spettro della fame annunciata

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Il riscaldamento globale è legato a doppio filo alla vita sul nostro pianeta, non solo perché sta già determinando l’estinzione di numerose specie ma soprattutto perché sta cambiando drasticamente abitudini di vita e dimensioni di numerosi animali, molti dei quali facenti parte della catena alimentare umana.

Il riscaldamento globale sta modificando drasticamente gli aspetti più comuni della vita sulla Terra. Maggior energia trattenuta dall’ atmosfera si traduce in un riscaldamento degli oceani che determina una maggior evaporazione delle acque.
Più calore viene trattenuto dal sistema Terra, più imprevedibili e devastanti saranno gli effetti delle perturbazioni generate dalle acque evaporate: perturbazioni atmosferiche più estreme che colpiscono anche zone apparentemente sicure, modificazioni delle correnti oceaniche che hanno preservato climi miti per secoli in regioni che, in base alla loro posizione geografica, dovrebbero essere più fredde.
Lo studio di quello che è accaduto in passato sul pianeta rappresenta un investimento sul futuro di primaria importanza: capire come il pianeta e la vita hanno reagito nel passato ai diversi surriscaldamenti climatici, questa volta non causati dal fuoco dell’industria dell’uomo, permette di costruire dei modelli che possano predire eventi futuri e preparare eventuali strategie d’ intervento per arginare un problema apparentemente irrisolvibile.
Le ripercussioni di questo comportamento potrebbero pregiudicare, anche in tempi brevi, la possibilità dell’umanità di continuare a sostenere se stessa ed il proprio tenore di vita.
Il mondo si è surriscaldato in fretta 56 milioni di anni fa. In soli 10.000 anni, un tempo irrisorio comparato con le ere geologiche, la temperatura si è innalzata di ben otto gradi Celsius, secondo i dati paleoclimatologici. In una pianura paludosa che ora fa parte del Wyoming, la temperatura media annuale ha raggiunto circa 26 gradi celsius, valore simile a quello delle umide coste tropicali dell’odierna Indonesia. Uno degli abitanti del luogo, era un antenato dell’odierno cavallo, dal peso di circa quattro chilogrammi. Prima del riscaldamento, le dimensioni dei suoi predecessori erano nettamente superiori, circa 5,5 chilogrammi.
Il dato sconcertante è che nel corso di poche migliaia di anni le dimensioni del corpo di questo particolare cavallo, chiamato Sifrhippus, sono diminuite del 30 percento. E quella non era la fine del ridimensionamento, secondo il parere di Abigail D’Ambrosia Carroll, una studentessa laureata in scienze ambientali presso l’Università del New Hampshire, che studia i resti fossili degli animali. In una fase successiva di riscaldamento, 53 milioni di anni fa, le taglie dei cavalli si sono ridotte ulteriormente, secondo una ricerca pubblicata nel 2017.
Questo comportamento ha interessato altri mammiferi.
Molte specie odierne stanno diminuendo di dimensione apparente in funzione del riscaldamento del pianeta. I rospi comuni sono diventati più piccoli, come le iguane marine, i serpenti, le tartarughe, le salamandre, i ratti del legno, le mosche dello sterco, le farfalle nell’Artico, diversi tipi di pesci del Mare del Nord, solo per citarne alcuni. La ragione di questo comportamento ha lasciato perplessi gli scienziati, ma ora una risposta sta emergendo da vari esperimenti, così come da osservazioni sul campo e dalla analisi dei fossili.
Questa risposta parrebbe essere legata ai bisogni energetici: un corpo più piccolo e meno bisognoso di energia può conferire vantaggi di sopravvivenza in ambienti più caldi, e quindi gli animali nelle zone più calde si evolvono, nel corso di molte generazioni, per diventare più piccoli. “Penso che ci stiamo avvicinando alla comprensione di questi meccanismi”, dice Janet Gardner, biologa presso l’Australian National University di Canberra.
Oltre a risolvere un mistero biologico, la comprensione crescente suggerisce un’altra causa di preoccupazione per gli effetti dei cambiamenti climatici. “Dimensioni più piccole potrebbero causare estinzioni estreme, interruzioni nelle catene alimentari o in altri processi a livello di ecosistema, in generale eventi che possono influenzare l’ utilizzo degli animali a beneficio degli esseri umani”, afferma Michael Sears, biologo evoluzionista presso la Clemson University.
Uno studio ha suggerito che nei prossimi 30 anni potremmo vedere una significativa diminuzione delle dimensioni di molte delle specie ittiche del mondo. Sebbene l’esatto grado di variazione delle dimensioni sia discutibile, molti scienziati concordano sul fatto che potrebbe avere gravi conseguenze che modificheranno la catena alimentare.
La documentazione sui fossili può essere abbastanza dettagliata quando si tratta di tracciare una forte relazione tra temperatura e dimensioni del corpo. Un animale che ha lasciato dietro di sé una grande quantità di dati è il Neotoma cinerea. La larghezza delle palline fecali di questi ratti (escrementi) risulta correlata strettamente con la dimensione dell’individuo che li ha espulsi. Anche i pellet si fossilizzano abbastanza bene, creando un lungo record nei sedimenti che può essere analizzato anno dopo anno. Quando gli scienziati dell’Università del New Mexico e l’US Geological Survey hanno analizzato 25.000 anni di dati sulle palline fecali in uno studio pubblicato nel 1995, hanno scoperto che le dimensioni dell’ animale variavano nel tempo in correlazione con le variazioni di temperatura.
Una spiegazione di questo comportamento potrebbe essere data dalla necessità per un mammifero di mantenere una temperatura costante, indipendentemente dalla temperatura ambientale (ovviamente entro certi limiti).
Quello su cui gioca l’evoluzione plasmando i corpi dei mammiferi è il rapporto tra superficie corporea e volume. Animali che vivono a latitudini elevate tendono ad essere più grandi delle loro controparti che vivono in ambienti più caldi.
Il principio è intuitivamente semplice: un organismo piccolo, ben adattato ad un ambiente caldo ha un rapporto superficie corporea/volume corporeo nettamente a favore del numeratore (il rapporto ha valore grande). Questo garantisce una superficie di scambio ampia, utilizzata per il mantenimento dell’omeostasi termica dell’animale.
Dall’altro lato dello spettro abbiamo mammiferi ben adattati ad ambienti freddi. Si tratta di animali tendenzialmente grandi, con un rapporto superficie corporea/volume basso (nettamente a favore del denominatore). Un corpo grande ha una massa elevata che costituisce una inerzia termica difficile da vincere, soprattutto in funzione di una superficie corporea limitata quanto più possibile. Anche questo adattamento permette di mantenere costante la temperatura.
Tuttavia questa idea non tiene conto della variazione ora osservata in insetti, pesci e altri non mammiferi.
Una spiegazione più completa sta emergendo dai moderni esperimenti di laboratorio con diversi tipi di animali: molti scienziati ritengono che il restringimento possa avere qualcosa a che fare con i cambiamenti nel metabolismo degli animali e nei bisogni alimentari che ne derivano. Una cosa che i ricercatori hanno osservato è che quando si mettono i giovani di molte specie in ambienti più caldi, gli animali crescono più velocemente all’inizio, ma maturano precocemente. Di conseguenza, gli individui finiscono con avere una dimensione da adulti più modesta di quella che avrebbero nei luoghi più freddi.
Nel 2012 Andrew Hirst, un biologo evolutivo ora all’Università di Liverpool in Inghilterra, e i suoi colleghi hanno pubblicato una meta-analisi di esperimenti su maturazione e temperatura in 169 specie che vivono sulla terra o nell’acqua. Hanno scoperto che il 90
per cento è maturo a dimensioni corporee più piccole quando le temperature sono più elevate. E questo parrebbe essere un fenomeno molto diffuso.
La maturazione è legata al metabolismo ed il metabolismo non è altro che una serie di reazioni chimiche che vengono influenzate dalla temperatura, esattamente come tutti gli altri processi chimici.
Maggiore è la temperatura, più veloci sono le reazioni, maggiore sarà il fabbisogno di nutrienti necessari per mantenere quei livelli metabolici.
In presenza di fenomeni come la competizione per il cibo o l’ assenza dello stesso la vita si piega alla necessità riproduttiva, determinando la completa maturazione dell’individuo in tempi più rapidi, limitandone la taglia. Questo principio varrebbe quindi per gli organismi a sangue caldo e per quelli a sangue freddo.
Ci sono però studiosi che ritengono che la diminuzione delle dimensioni possa essere influenzata dall’uomo attraverso una via che non passa direttamente attraverso il cambiamento climatico.
Esiste, infatti, almeno una spiegazione in competizione con la precedente, per la diminuzione delle dimensioni di alcuni animali, e questa è semplicemente il fatto che gli umani stanno catturando e mangiando gli animali più grandi all’interno di una popolazione. Se l’uomo cattura la maggior parte dei pesci più grandi, potrebbe anche rimuovere dalla popolazione predata i geni responsabili della dimensione corporea più grande. Gli animali che rimangono e si riproducono avrebbero il corredo genetico che li predispone ad avere, quindi, corpi più piccoli. “Catturando pesci più grandi, noi umani possiamo creare una pressione evolutiva sul pesce per essere più piccolo”, dice Alan R. Baudron, scienziato ambientale presso l’Università di Aberdeen in Scozia, che ha indagato questa teoria della “pesca eccessiva”, rilevandovi all’interno alcune incongruenze.
In uno studio del 2014, lui e i suoi colleghi hanno dimostrato che nell’arco di 39 anni, a partire dal 1970, specie molto diverse nel Mare del Nord, come l’eglefino, l’aringa e la passera di mare, sono diventate più piccole. Queste tre specie hanno sperimentato forti pressioni di pesca in diversi periodi, distinti tra loro per la tipologia del pescato.
L’eglefino, ad esempio, è stato pesantemente pescato negli anni ’70 e ’80, mentre la passera di mare era l’obiettivo delle reti da pesca anche negli anni ’90. Tuttavia, le riduzioni delle dimensioni corporee in questi casi non sembrano essere correlate allo sfruttamento in quegli intervalli di tempo, un effetto sconcertante che ci si aspetterebbe se il sovrasfruttamento di una determinata popolazione portasse a dimensioni più ridotte dei pesci. Invece il restringimento di entrambe le specie segue più da vicino un aumento della temperatura dell’acqua. Di 13 popolazioni di pesci studiate da Baudron, 9 hanno seguito questo schema. “Se è ancora possibile trovare una tendenza comune nelle dimensioni corporee di tutte queste specie – che è ciò che abbiamo trovato – allora è più probabile che sia legata ai cambiamenti di temperatura piuttosto che per la pressione ambientale data da una pesca eccessiva”.
I fattori da prendere in considerazione per spiegare la diminuzione delle dimensioni sono però molteplici e l’indagine non può considerare solo le due variabili di temperatura ambientale e sfruttamento alimentare.
Potrebbero esserci infatti ancora altri motivi per cui gli animali diventano più piccoli man mano che il pianeta si riscalda, e molti, come i cambiamenti metabolici, sono legati all’assunzione e all’uso di energia. Il cibo degli animali potrebbe diventare più piccolo ad esempio; gli inverni più caldi ai poli possono significare una sopravvivenza più facile per gli individui più piccoli; se la siccità sta diventando più comune, gli anfibi possono ridurne le dimensioni per evitare l’essiccazione e così via.
Eppure il ridimensionamento che è stato finora documentato preoccupa molti scienziati. Un documento del 2013 sul cambiamento climatico naturale ha concluso che se la tendenza del calo delle dimensioni corporee nei pesci continua, entro il 2050 il peso corporeo massimo medio di varie specie potrebbe diminuire del 14-24% a livello globale. Ciò significherebbe, tra le altre cose, meno cibo per nutrire una popolazione umana in crescita. Baudron ritiene che la ricerca possa ancora “darci un’idea della portata del problema”. Per alcune specie, le dimensioni ridotte del corpo potrebbero anche portare all’estinzione: potrebbe essere vantaggioso essere più piccoli in un clima che si riscalda a poco a poco, ma è anche più difficile sopravvivere a condizioni meteorologiche estreme. Ultimo ma non meno importante, gli ecosistemi possono essere messi fuori equilibrio se predatori e prede non cambiano le dimensioni insieme. Potrebbero verificarsi dei disallineamenti tra qualcosa che si sta restringendo molto, come ad esempio una preda, e qualcosa che non si sta restringendo molto o affatto, come un predatore o un superpredatore che quindi si ritrova con cibo insufficiente al suo sostentamento.
Lo studio dei fossili ci insegna comunque che la tendenza alla diminuzione delle dimensioni non è un processo lineare e, talvolta, si è invertito, evidentemente in funzione del cambiamento di alcune variabili o indotto da alcuni stimoli.
Di sicuro, ciò che la vita sulla Terra sta affrontando adesso è sicuramente un evento dalla difficile interpretazione e dal destino ancor più oscuro.
Per approfondire:
Shrinking Body Size as an Ecological Response to Climate Change. Jennifer A. Sheridan and David Bickford in Nature Climate Change, Vol. 1, November 2011.
Evolution of the Earliest Horses Driven by Climate Change in the Paleocene-Eocene Thermal Maximum. Ross Secord et al. in Science, Vol. 335, February 24, 2012.
Shrinking of Fishes Exacerbates Impacts of Global Ocean Changes on Marine Ecosystems. William W. L. Cheung et al. in Nature Climate Change, Vol. 3; March 2013.
Warming Temperatures and Smaller Body Sizes: Synchronous Changes in Growth of North Sea Fishes. Alan R. Baudron et al. in Global Change Biology, Vol. 20, No. 4; April 2014.

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