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Scoprire senza osservare: il fascino della fisica

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A differenza di altre discipline scientifiche quali biologia o chimica, basate e costruite sulla base della sperimentazione, la fisica ha una divisione netta (nello studio come nell’approccio) tra il percorso teorico e sperimentale, entrambi imprescindibili l’uno dall’altra e intimamente legate: nella scienza la teoria costituisce le fondamenta da cui partire per costruire un esperimento, così come l’esperimento è parte essenziale per testare la veridicità o meno di una teoria, così da indicare la strada verso cui proseguire con la ricerca. Tuttavia vi sono state nel Novecento delle notevoli e importati differenze nel processo di comprensione, o scoperta, delle leggi della natura e che hanno mostrato come il complesso apparato matematico su cui si fonda la fisica renda possibile arrivare a ipotizzare meccanismi nuovi anche, ed è qui la grossa differenza rispetto alle altre scienze, in completa assenza di una discrepanza tra la teoria accettata ed il risultato sperimentale. Il progresso scientifico quindi è stato caratterizzato dalla sequenza prescritta dal metodo scientifico: osservo un fenomeno che non so spiegare, faccio un’ipotesi, costruisco un esperimento per testare l’ipotesi, tiro le conclusioni. Per via della struttura matematica della fisica si hanno avuto, durante il Novecento, due notevoli situazioni differenti dalle altre che hanno portato alla scoperta di teorie fondamentali: la Relatività Ristretta e la teoria elettrodebole.

Scenario: fine Ottocento – inizio Novecento, l’elettromagnetismo descritto da Faraday & Co. è stato formalizzato matematicamente da Maxwell trovando così una veste formale e consistente: gli esperimenti di Hertz sono in accordo con la teoria, sembra tornare tutto, le osservazioni confermano le predizioni teoriche. L’elettromagnetismo si può annoverare tra i traguardi della fisica, non vi è alcun fenomeno che non si possa spiegare tramite questa teoria. Tuttavia, a dispetto delle osservazioni, ci si accorge che le equazioni di Maxwell presentano un problema che è un cruccio per i teorici in quanto mina uno degli assiomi fondamentali della fisica: manca la covarianza delle equazioni (in due sistemi di riferimento inerziali differenti bisognerebbe usare equazioni diverse per descrivere lo stesso fenomeno). In particolare una delle equazioni non è invariante in forma e quindi dev’essere sintomo di una qualche incongruenza insista nella teoria stessa, seppur non ci siano altri motivi evidenti per dubitare della correttezza della teoria elettromagnetica di Maxwell. In risposta a tale esigenza, prettamente teorica, nasce la teoria di Einstein della Relatività Ristretta che porterà a ridefinire la dinamica prima, l’elettromagnetismo poi, tramite una descrizione tensoriale all’interno di uno spaziotempo quadridimensionale (lo spazio di Minkowski). Da tale teoria rivoluzionaria si andranno a rimettere in discussione concetti fondamentali con scenari prima di allora inediti quali la dilatazione dei tempi, contrazione delle lunghezze, il significato di simultaneità, spaziotempo quadridimensionale ecc.

Il secondo notevole esempio in cui l’intuizione teorica, o la sola motivazione teorica, scollegata da una qualsivoglia manifestazione sperimentale, ha portato ad un nuovo traguardo concerne la nascita della teoria elettrodebole da parte di Glashow, Salam e Weinberg (premi Nobel per la fisica nel 1979). Tale teoria è l’unificazione dell’elettromagnetismo con la forza debole (l’interazione responsabile dei decadimenti); l’unificazione delle forze, in generale, rappresenta il sacro Graal della fisica, cioè il riuscire a unificare le (quattro) forze fondamentali all’interno di un’unica descrizione. Quando la teoria elettrodebole venne teorizzata non vi era alcuna indicazione che potesse suggerire che l’elettromagnetismo e l’interazione debole non fossero due forze distinte quanto invece due facce della stessa medaglia. Come si poteva pensare che l’interazione tra particelle cariche mediata da fotoni privi di masse potesse avere qualcosa da spartire con un fenomeno così differente come la forza debole responsabile del decadimento degli atomi (e mediata dai bosoni massivi Z0 e W +-, successivamente osservati al CERN da Rubia e Van der Meer e per questo insigniti del Nobel per la fisica). La teoria elettrodebole descrive uno scenario in cui ad altissime energie, quindi nell’universo primordiale qualche istante dopo il momento t=0 noto come Big Bang, vi è un’unica descrizione per l’interazione debole ed elettromagnetica in cui tutti gli attori che ne prendono parte sono particelle prive di masse; è solamente con la diminuzione dell’energia, a causa dell’espandersi dell’universo, che tale simmetria elettrodebole si rompe differenziandosi in due interazioni ben distinte: l’elettromagnetica, mediata da fotoni privi di massa, e quella debole mediata da bosoni vettori massivi. All’interno di questa unificazione, alla cui base si assume che tutte le particelle siano prive di massa, vi è la necessità di aggiungere un tassello in grado di spiegare l’evidenza lapalissiana della massa delle particelle; il meccanismo in grado di fornire tale spiegazione venne introdotto da Peter Higgs negli anni Sessanta ed è appunto noto come il meccanismo di Higgs, basato sulla rottura spontanea di simmetria (fenomeno che spiega la magnetizzazione dei materiali ferromagnetici tramite la temperatura di Curie, come anche l’inflazione nell’universo primordiale), il cui mediatore del campo è il famoso bosone di Higgs la cui evidenza sperimentale al CERN ha portato nel 2013 al premio Nobel sia Higgs e Englert.

In entrambi i casi sopracitati si è visto come un’esigenza solamente teorica, disgiunta da qualsivoglia evidenza sperimentale, abbia portato a delle conquiste epocali e alla (ri)definizione di concetti basilari con conseguenze straordinarie (il tempo che si dilata, il concetto di spaziotempo, come si genera la massa delle particelle ecc.); non vi sono probabilmente altrettanti casi nella storia della scienza in cui il paradigma scientifico è stato sovvertito in maniera così sfrontata come nella fisica. Si pensi come esempio estremo alla rivoluzione Copernicana, talmente dirompente e sconcertante che lo stesso termine rivoluzione ha assunto, da quel periodo in poi, l’accezione con la quale oggi lo usiamo normalmente quando, fino a prima dell’affermarsi della teoria di Copernico, tale parola indicava il solo moto dei pianeti (il moto di rivoluzione della Terra intorno al Sole…); ebbene una rivoluzione di tale entità come fu quella della teoria di Copernico nasceva però da un’esigenza pratica: riuscire ad avere un calendario affidabile. Considerando altre conquiste scientifiche si troverà (quasi) sempre una sottostante necessità di trovare un modo per spiegare un fenomeno nuovo indescrivibile con la teoria corrente (la Relatività Generale nasce come risposta al problema della precessione del perielio di Mercurio, la fisica quantistica per rispondere al sempre maggior numero di risultati sperimentali inspiegabili classicamente a partire dall’effetto fotoelettrico, la fisica subnucleare con la carrellata di numeri quantici come risposta a vari tipi di decadimenti osservati ecc.).  Ecco quindi che i due esempi riportati, la Relatività Ristretta e l’interazione Elettrodebole, sono mirabili non solo per i risultati raggiunti quanto anche per il coraggio e l’intuizione, probabilmente sorrette da una solida fede nei principi base della fisica, dei loro protagonisti che non a caso sono riusciti a conquistarsi un posto nella storia.

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