Comunicazione della scienza Spazio & Fisica

La capacità dell’arte di suscitare emozioni anche nella comunicazione della scienza

Armonica cosmica

Suoni, immagini, profumi, tutto ciò che stimola i sensi scuote la parte nascosta della coscienza, dove prendono forma in maniera indelebile, i ricordi. 

L’esatto istante in cui, le note di una canzone colpiscono l’orecchio, vengono evocati ricordi di momenti della vita, vissuti che, ci hanno emozionato e che erano rimasti, fino ad allora, sopiti, ben nascosti, nella parte più profonda della coscienza. È qui, dove prendono forma i ricordi che, abitano le emozioni. Ricordiamo perché ci emozioniamo! E cosa ci emoziona di più della musica, delle immagini di un film, di un libro, delle illustrazioni di un fumetto, di un capolavoro d’arte! Viene spontaneo chiedersi: l’arte può aiutare a memorizzazione informazioni? Qualcuno ha dimostrato che, le poesie si imparano a memoria, più in fretta, se cantate. Perché allora non utilizzarla anche per comunicare la scienza? Ancora una volta, qualcuno ci ha pensato! Sul susseguirsi di note che compone una melodia, scorrono immagini, illustrazioni, e fumetti, di stelle, pianeti, galassie e sistemi solari. Il compositore e ideatore è il Dott. Angelo Adamo, astrofisico, ricercatore INAF (Istituto Nazionale di Astrofisica), divulgatore scientifico, musicista jazz, fumettista, illustratore, performer, un uomo poliedrico che, ha saputo conciliare le sue innumerevoli passioni, ed è riuscito a fonderle insieme in un’unica grande arte, la “divulgazione multi-messenger”, come lui stesso la definisce, cioè un modo di comunicare il sapere senza confini tra le discipline ma, permettendo ad ognuna di loro di “sporcare” e inquinare l’altra.

  1. Artista, astrofisico, divulgatore di scienza, tante facce della stessa medaglia, in quale di queste attività si identifica di più?

Confesso che non vi è una sola attività che prevale sulle altre. Se non avessi il lavoro “istituzionale” all’INAF da svolgere selezionando alcune attività alle quali ovviamente dare la precedenza sulle altre – parlo del lavoro che, specie in questo periodo in cui le attività da free-lance subiscono una ovvia e necessaria battuta d’arresto, mi assicura una maggiore sicurezza economica – frequenterei ogni giorno tutti i miei demoni passando dall’uno all’altro senza soluzione di continuità: le cesure tra i vari ambiti a mio parere non sono così marcate e invalicabili. Vi sono infiniti percorsi che inanellano tutti gli elementi della nostra realtà e basta porsi su una di quelle autostrade di collegamento per ritrovarsi a viaggiare tra continenti culturali apparentemente lontani, ma che in realtà sono ancora legati a formare un enorme Pangea. In realtà, che si tratti di ambiti distanti credo sia un concetto veicolato in primis dalla scuola: sui suoi banchi abbiamo (necessariamente?) imparato la parcellizzazione tra le diverse forme di sapere; già chiamandole “materie” quasi si tratti di elementi come acqua, aria, terra, fuoco di presocratica memoria – vengono proposte come distillati culturali di grande purezza, isolate dal resto del mondo che invece è compromissione, sporcizia, sovrapposizione”.

Mi sembra di capire che, in un certo senso, lei incarni, allo stesso tempo, ognuna di queste realtà.

  1. Sono rimasta affascinata dalla sua capacità di comunicare concetti e argomenti difficili in modo semplice e fantasioso, da dove Le è venuta l’idea di abbinare la musica alla divulgazione della scienza?L'uomo misura tutte le cose 2

Più che una idea, direi che è qualcosa che mi viene naturale fare; se vuoi, è un “entanglement” automatico che non posso proprio evitare di vedere. Ho trascorso l’infanzia, e soprattutto l’adolescenza, giocando con tutti i linguaggi e gli ambiti che ho incontrato perlopiù in famiglia – la mia è stata particolarmente stimolante – e ai quali mi sono quindi legato in modo indissolubile durante quel periodo così interessante e burrascoso: la musica, il disegno, la scrittura, la scienza, il gesto teatrale sono tutte cose che mi accompagnano da quando ero ragazzo. Crescendo, ho sentito una sempre più forte pressione esercitata dai miei genitori: preoccupati da questi miei “appetiti” sempre così vividi e variegati, durante i miei studi universitari hanno principiato a chiedermi insistentemente di attuare una scelta per me difficilissima, che in genere tutti fanno e che invece io non ho mai saputo, né forse voluto compiere: quella che andasse nella direzione di una precisa e “adulta” selezione di uno e uno solo dei tantissimi ambiti che avevo incontrato, così da eleggerlo a mia professione. Confesso che questo è stato motivo di grandi dissidi, sia con me stesso che con mio padre e mia madre, e a un certo punto della mia vita mi sono sentito quasi tradito da loro: da complici perfetti che sono stati durante la mia formazione, allorché mi hanno guidato alla scoperta del mondo e di tutto ciò che di bello, di interessante e fondamentale offriva, una volta cresciuto, spaventati da questa mia cronica “bulimia” e incapacità di scegliere, mi hanno invitato ad abbracciare una consuetudine che proprio non potevo fare mia. Da qui grandi contrasti, incomprensioni, dissapori, …: tutte espressioni tardive del contrasto generazionale che risulta inevitabile nel confronto tra un mondo, il loro, popolato da certezze e “solidità” imprescindibili, specie nel secolo scorso, e un altro, il mio, traballante e precario (a 52 anni sono ancora un assegnista di ricerca dell’INAF…). Alla fine, ho scelto di non scegliere: ho continuato imperterrito ad amare tutte le attività che loro stessi mi avevano insegnato ad amare, scoprendo però che se proprio convivere con tutte senza ucciderne nessuna era ciò che più desideravo, dovevo pretendere di più da esse, quindi da me: quelle mie passioni dovevano diventare presto professioni. Da bravi conviventi, i miei passatempi (in realtà, alcuni avevano già smesso di esserlo in quanto già da un po’ lavoravo come musicista e, saltuariamente, come illustratore) avrebbero dovuto contribuire alla mia, anzi, alla “nostra economia familiare”. Ed eccomi giunto così alla mia oramai veneranda età, sorprendendomi ancora a pestare sul pavimento di casa i miei giocattoli giovanili”.

Dico bene se affermo che le viene naturale, per il fatto di aver sempre esercitato, fin dall’infanzia, più discipline contemporaneamente.

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  1. Lei è in grado di trasformare la comunicazione scientifica in arte e renderla fruibile ad un vasto pubblico, come ci riesce? 

“Non saprei. Se davvero, come lei dice, ci riesco (grazie!), credo sia solo perché quell’arte lì – forse sarebbe meglio parlare di “bellezza” – è già contenuta in tutto; anche nella scienza. Similmente a ciò che secondo Michelangelo accadeva alle sue sculture immaginandole contenute in nuce nel blocco di marmo grezzo, l’estetica scientifica non chiede altro che di essere liberata dal granitico e polveroso superfluo di una visione fredda e quasi neoclassica capace di costringerla nell’immagine che si ama dare dell’attività di ricerca; in barba alla visione crociana, sono qui a testimoniare che l’estetica scientifica esiste, chiede a gran voce di essere riconosciuta per quello che è e di fare il suo ingresso sul palcoscenico, di fronte al pubblico. Quello stesso pubblico che forse non capisce i linguaggi della scienza, ma che è di sicuro sensibile a quello dell’arte, quando e se di arte si può parlare. Per inciso, preferirei si abbandonasse l’idea del divulgatore visto come colui che spiega sempre e comunque e che con le sue azioni contribuisce a far crescere il sapere del pubblico. Se col suo operato – e qui non sto parlando della scrittura di libri e articoli per i quali sarebbe necessario fare un discorso a parte – riesce ad emozionare, facendo nascere in chi l’ascolta la voglia di conoscenza, ha già vinto. Altri obiettivi ritengo siano spesso velleitari: a noi impegnati sul fronte della comunicazione della scienza al pubblico non credo competa promettere scorciatoie e facili metafore da spendere ovunque, regalando l’illusione di aver capito argomenti che, per essere davvero compresi, richiederebbero tanto studio. Lo dico in quanto ritengo particolarmente importante questa precisazione in un periodo storico in cui l’arroganza dei complottismi rosicchia spazi sempre più ampi e attenzione togliendoli all’informazione… informata. Il campo d’azione del divulgatore, l’”organo” sul quale mi piace pensare di lavorare, penso sia più la curiosità verso la scienza che non la sua spiegazione. Io, ad esempio, mi sento chiamato a soddisfare solo parzialmente le aspettative del pubblico che “vuole capire”, preferendo, nonostante le spiegazioni che comunque do, lasciare in chi mi ascolta la voglia di saperne di più, magari con uno sforzo successivo da fare in privato per “andare verso i concetti”, e mai regalando la certezza che le metafore che uso per dare un’idea degli argomenti che racconto siano da considerarsi esaustive e spendibili altrove. In questo contesto, vale la pena introdurre un altro concetto che mi sta particolarmente a cuore. Oggi va di moda la cosiddetta, “Astrofisica Multi-messaggero”, ovvero una astrofisica che, a differenza di quando si osservava il cosmo servendosi solo dei fotoni emessi dagli oggetti celesti, oggi dispone sì della radiazione elettromagnetica, ma anche dei raggi cosmici, dei neutrini e delle onde gravitazionali, ultime arrivate nella grande famiglia di importantissimi “scandagli” che ci aiutano ad avere una immagine più completa dell’universo che abitiamo. Allora mi piace pensare di avere colto in anticipo il suggerimento della Natura e di essermi sempre allenato a fare della “Divulgazione multi-messenger”, ovvero una divulgazione che non parla a una sola parte del cervello, privilegiando quindi soltanto quel linguaggio che si è soliti ritenere adatto a impressionarla, ma che si ponga come una attività multisensoriale e multi-esperienziale nella quale il disorientamento di chi fruisce il tuo operato, aggredito com’è da stimoli diversi che convergono verso l’oggetto della tua descrizione, è il vero obiettivo. Durante le mie attività col pubblico c’è sempre chi si scoprirà sensibile a un unico aspetto di ciò che vede/sente, come ad esempio il disegno, e chi invece si rivelerà sensibile a due o più canali comunicativi. Di sicuro, comunque, qualcosa arriverà e impressionerà tutte le menti aperte, in ascolto. Ce n’è per tutti! Ecco, mi piace pensare che la domanda alla fine delle mie esibizioni sia: “A cosa ho assistito, a uno spettacolo teatrale? A una mostra? A un concerto? A una conferenza? …”. Mi interessa fare esperire al pubblico uno spettro emozionale e culturale complesso e cromaticamente ricco, rendendo così molto bassa la probabilità di fallire del tutto nel toccare le corde di chi mi sta di fronte”.

In poche parole, il suo obiettivo è scuotere le coscienze, svegliarle dal letargo e spingerle a farsi domande. Sono d’accordo, le più importanti scoperte scientifiche sono frutto della curiosità.

  1. “Giovannino e il buco nero”, non solo il fascino delle stelle, attraverso le righe, ha voluto mandare anche un messaggio sociale importante, riscoprire la dimensione della paternità, spesso sottovalutata. Ne vuole parlare?

“Certo! Mi invita… a nozze! Sono separato, e sono padre. Si fa da sempre un giusto parlare della dimensione della maternità, anche se trovo che sia oramai da considerarsi argomento più che sondato della genitorialità. Continuare a parlarne mi sembra spesso un esercizio di retorica ripetitivo e un po’ vacuo. Ciò che invece ritengo sia ancora un universo da scoprire è la nuova paternità: un aspetto a mio parere del tutto inedito di vivere quella parte dei complessi rapporti familiari che hanno a che fare con la sola interazione padre-figli, specie se isolata (protetta? Mondata?) dall’ingerenza – di questi tempi giuridicamente debordante – della madre. Della paternità, di cui non si parla mai abbastanza, c’è ancora molto da scoprire: tenerezza, complicità, amore, dedizione, dialogo e grande capacità di darsi. Il rapporto padre-figli è quindi simile a quello che classicamente si instaura tra la madre e la prole, ma al contempo del tutto diverso. Perché? Perché noi siamo uomini e non donne. Perché siamo maschi e non femmine. Noi padri siamo portatori di un messaggio importante, unico, necessario e non replicabile; siamo orgogliosamente uomini, e nell’affermarlo spero di non dover temere rappresaglie basate sull’equazione che vuole noi maschi incapaci di dare amore o addirittura mostri – come pretendono i vari movimenti me too & affini che, procedendo in senso del tutto opposto a un principio democratico fondamentale, ci hanno reso di default “colpevoli fino a prova contraria”. Con “Giovannino e il Cosmo” reclamo quindi il mio diritto a essere uomo e padre, a dichiararlo senza vergognarmi – perché non ho nulla per cui farlo -, senza tema di essere tacciato di maschilismo e di subire di conseguenza la nuova violenza autorizzata da parte del mondo femminile che, nel tentare di curare vecchie ferite causate da un innegabile sbilanciamento dei rapporti di genere presente nella vecchia società, ora sta macchiandosi dello stesso delitto. Insomma, pur non potendo essere contento pensando a come sia miseramente finita la famiglia che con la madre di mia ex compagna avevo costruito, trovo che la vita mi stia dando la grande occasione di costruire un rapporto con mio figlio più vero, più esclusivo, “più nostro”, e la cosa mi inorgoglisce, mi rende felice e mi consente di misurarmi con una nuova prova per nulla banale, ma di sicuro molto, molto stimolante”.

Trovo che l’essere genitori prescinda dal genere e che debba prevalere la sola capacità di dare amore. Penso che lei sia già un buon padre, lo intuisco dalla forza e dalla determinazione con cui afferma il diritto a esserlo.

  1. La musica come terapia e inclusione sociale. Qual è il suo pensiero a riguardo?

In realtà, per tutto ciò che ho detto prima, direi che non la musica, ma la cultura ampiamente intesa è la vera terapia per tutti i mali che affliggono la nostra modernità. Tra questi, di certo vi sono anche i citati problemi aventi a che fare con la sfera dell’inclusione sociale, che però mi sembrano essere solo una frazione di tutto ciò che l’ignoranza ci fa subire. Per dirla in altro modo, la musica è meravigliosa e non potrei farne a meno, ma non credo affatto meriti un primato di qualche tipo rispetto a scienza, letteratura, cinema, teatro, sport, pittura, scultura, …”.

Albert Einstein diceva: “Solo due cose sono infinite, l’universo e la stupidità umana, e non sono sicuro della prima”. La stupidità intesa come ignoranza, è il male peggiore che affligge l’umanità, ha proprio ragione!

  1. Pensa di continuare ad incantarci ancora con le meraviglie del cosmo e delle note?

“Non chiedo di meglio. Ho in progetto di tentare di continuare a farlo con le mie ricerche scientifiche, scrivendo e illustrando libri – in primavera ne usciranno due a mio nome, uno su “mito e costellazioni” (casa editrice “Carta Bianca Publishing”), l’altro sui pianeti extrasolari (collana “Megaverso”, casa editrice “Cento Autori”) -, realizzando per il mio blog “Squid Zoup” fumetti, video astronomico-musicali come quelli della serie “Te Mundum (Laudamus)” e di divulgazione (serie “La –logìa degli Astri”) e producendo spettacoli e dischi – sta per uscire “Paideia”: il mio nuovo CD di jazz” (etichetta “a simple lunch”)”.

Non potrebbe essere diversamente!

Grazie infinite per questa intervista, anche a nome dei lettori.

Per chi volesse seguire il Dott. Adamo può farlo al seguente link: http://squidzoup.com/

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