Ambiente

Cambiamenti climatici: il tempo stringe. Intervista a Marina Baldi, climatologa del CNR

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Il 21 aprile, giorno della celebrazione della Giornata della Terra, torna quest’anno con un significato più severo del solito perché ogni anno ci ricorda che il tempo per rimediare ai nostri errori sta per scadere. Ce lo ricordano le nuove generazioni che scendono in piazza per manifestare, al seguito di Greta Thunberg, la fame di futuro a loro rubato dallo stato di degrado ambientale che deturpa il Pianeta; ce lo ricordano i giovani che invocano il rispetto del loro diritto ad un ambiente integro e alla preservazione e conservazione intergenerazionale  delle ricchezze naturali e della biodiversità della Terra; ce lo ricordano le giovani generazioni che reclamano azioni concrete contro il cambiamento climatico e cercano di riportare l’attenzione dei governi sulle tematiche ambientali.

Per fare il punto della situazione, ci siamo perciò rivolti ad una specialista del settore, una climatologa del CNR, per illuminarci sull’emergenza attuale. Marina Baldi, ricercatrice dell’Istituto di Biometeorologia, si occupa di clima e cambiamenti climatici, dell’impatto del clima sulla biosfera e sugli ecosistemi e dell’interazioni fra il clima e l’agricoltura. Fisica, solido curriculum di ricerca anche in ambito internazionale, è  da alcuni anni impegnata anche nella divulgazione scientifica. Ideale quindi per spiegarci in estrema sintesi quanto sta accadendo e come la ricerca sta affrontando l’emergenza.

 

Per cominciare, potrebbe spiegare quali sono le cause del riscaldamento globale?

I cambiamenti climatici sono dovuti a cause sia naturali che associate alle attività umane. I fattori naturali che provocano i mutamenti climatici terrestri sono di tipo astronomico come le  variazioni dell’orbita terrestre o variazioni dell’attività solare oppure  cause naturali che sono di altra origine come l’attività dei vulcani, gli impatti di meteoriti o le variazioni della composizione della atmosfera. A quest’ultima contribuiscono in modo rilevante le attività antropiche con l’emissione di gas ad effetto serra che, di per sé è un fenomeno naturale. Esso consente di mantenere la temperatura alla superficie del Pianeta a livelli tali da permettere lo sviluppo della biosfera e la sopravvivenza dell’uomo. Di fatto si tratta di un fenomeno di regolazione della temperatura alla superficie di un qualunque pianeta che riceve radiazione da una stella e che sia provvisto di una atmosfera con una sua specifica composizione chimica. L’effetto serra consiste nell’accumulo all’interno della atmosfera stessa di una parte dell’energia termica proveniente dalla stella attorno al quale orbita il corpo celeste (il Sole). Tale effetto è il risultato della presenza in atmosfera di alcuni gas, detti appunto “gas serra”, che permettono l’entrata della radiazione solare proveniente dalla stella, mentre ostacolano l’uscita della radiazione infrarossa riemessa dalla superficie del corpo celeste. Le attività antropiche alterano le concentrazioni di gas ad effetto serra a causa di due fattori: l’uso dei combustibili fossili e le attività agricole.

Il cambiamento climatico globale è legato all’antropomorfizzazione intensa del nostro pianeta o è direttamente connessa alle attività umane poco rispettose dell’ambiente?

Entrambi i fattori contribuiscono ad alterare la composizione chimica della atmosfera e dunque la concentrazione dei gas ad effetto serra, favorendo ed accelerando quindi l’innalzamento della temperatura media globale. Di fatto attività umane poco rispettose dell’ambiente non fanno altro che accelerare questo processo ed acuire il problema.

Alcune personalità di rilievo nel settore scientifico negano l’influenza da parte dell’uomo sui cambiamenti climatici. Quali sono le principali motivazioni e quali le prove che smentiscono tali tesi?

I dati e le osservazioni oggi disponibili ci indicano chiaramente che la temperatura media globale alla superficie del nostro Pianeta è sensibilmente aumentata; non solo, ma l’aumento è avvenuto in tempi rapidissimi rispetto a quanto si è visto in passato. Oggi abbiamo prove incontrovertibili che un aumento così rapido in ere passate non si è mai registrato e tutto questo è avvenuto dalla fine del secolo XIX, ovvero a partire dalla rivoluzione industriale. Abbiamo prove che provengono da più linee di indagine: pollini, anelli degli alberi, carote di ghiaccio, coralli, fondersi dei ghiacciai e della calotta polare, innalzamento del livello del mare, spostamenti ecologici, aumento dell’anidride carbonica, aumento della temperatura a un ritmo senza precedenti, convergono tutti su un’unica conclusione. Le evidenze sono ovunque, seppure vi siano ancora delle incertezze (ma anche su queste la scienza ha fatto molti passi avanti), in tutti questi settori di ricerca. Nessuno fra coloro che dubitano della attribuzione dei cambiamenti climatici alle attività umane è riuscito finora a trovare altrettante prove in così diversi settori, ma si rifanno solo a singoli dati “anomali” che di per sé sono importanti e vanno esaminati, ma non sono sufficienti a sostenere una tesi in quel senso.

Quali sono i segnali più preoccupanti del cambiamento climatico?

Le conseguenze dei cambiamenti climatici sono molto evidenti su tutto il pianeta e possono essere riassunti soprattutto prendendo in considerazione quattro manifestazioni in particolare, a partire dall’intensificazione di fenomeni meteorologici estremi che non solo diventano più violenti, ma anche più frequenti quali piogge intense con conseguenti esondazioni di corsi d’acqua, trombe d’aria, frane innescate dalle piogge intense, ondate di calore, incendi, siccità prolungata sia estiva, ma anche e soprattutto invernale. L’aumento del contenuto di energia negli oceani è un altro fattore di estrema importanza: la maggior parte dell’energia intrappolata dai gas ad effetto serra finisce negli oceani innalzando la temperatura dello strato più superficiale con conseguenze sull’ecosistema marino. Egualmente importante è l’aumento del livello degli oceani e dei mari che dipende da diversi fattori fra i quali il fondersi dei ghiacci nelle aree polari e la variazione della temperatura degli oceani. Infine l’acidificazione degli oceani a seguito dell’assorbimento di maggiori quantità di CO2 emessa a seguito di attività umane e le relative conseguenze sulla vita negli oceani, sulla formazione e mantenimento delle barriere coralline e sulla fusione della banchisa polare e diminuzione considerevole dell’estensione dei ghiacci sia in Artide che in Antartide.

Cosa dobbiamo aspettarci nei prossimi anni se non c’è un’inversione di tendenza?

L’IPCC ovvero il Panel Intergovernativo sui Cambiamenti Climatici che, ogni 4 anni circa stila un rapporto che è la sintesi delle conoscenze scientifiche in materia di cambiamenti climatici attuali, di scenari climatici futuri e degli impatti che i cambiamenti climatici hanno sui diversi settori, ci conferma che l’evidenza scientifica del riscaldamento climatico è inequivocabile. Gli impatti dei cambiamenti climatici sono globali e senza adeguate misure per contrastarli, l’adattamento futuro sarà molto più difficile ed economicamente insostenibile.

Oggi, il cambiamento climatico è una delle sfide maggiori e causa un notevole stress sulla società e l’ambiente: le mutevoli condizioni climatiche minacciano la produzione alimentare, l’aumento del livello del mare aumenta il rischio di inondazioni, gli eventi estremi producono danni in diversi settori e in molti casi anche vittime.

La figura mostra l’anomalia della temperatura media negli ultimi 8 anni rispetto al periodo di riferimento. Molte sono le regioni in cui si è verificato un aumento molto consistente.

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Cosa dimostrano le ricerche più recenti? Ci sono novità di rilievo?

A livello globale, come evidenziato dalle analisi climatiche della National Oceanic and Atmospheric Administration (NOAA), il 2018 è stato il 4 anno più caldo, dopo il 2015, 2016 e il 2017, con una anomalia di temperatura media globale di circa 0.98°C.

La figura mostra l’andamento medio globale della anomalia di temperatura annuale

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Il 2018 è risultato il più caldo in assoluto in gran parte dell’Europa da quando sono disponibili osservazioni, ovvero dal 1910. Particolarmente elevate sono state le temperature in Francia, Svizzera, Germania e Austria.

In Italia il 2018 è stato l’anno più caldo dal 1880, ovvero dalla rivoluzione industriale: l’anomalia di temperatura nel nostro Paese è stata di 1.58°C sopra la media del periodo di riferimento (1971-2000) ed ha superato il precedente record del 2015 (+1.44°C sopra la media). In particolare, il mese di gennaio è stato il secondo gennaio più caldo dal 1800 ad oggi, con una anomalia di +2.37°C rispetto alla media, mentre il mese di aprile è stato il più caldo di sempre, con un’anomalia di +3.50°C rispetto alla media.

La tendenza al rialzo non si è dunque fermata e il continuo aumento della temperatura è un chiaro indicatore del riscaldamento globale.

Michael Mann, eminente climatologo e direttore del Earth System Science Center della Penn State University negli Stati Uniti, ha dichiarato che “Gli impatti dei cambiamenti climatici sono oggi molto evidenti”. Gli impatti li stiamo vedendo in tempo reale sotto forma di ondate di calore senza precedenti, inondazioni, siccità e incendi, come abbiamo potuto constatare, nostro malgrado, negli anni recenti sia a livello nazionale che a scala globale, su tutto il nostro Pianeta.

Siamo ancora in tempo per recuperare?  Gli Accordi di Parigi e il Protocollo di Kyoto quali obiettivi si propongono?

Se gli ultimi anni sono stati i più caldi a livello globale come registrato dal Goddard Institute for Space Studies della Nasa, il record del 2018 ci ricorda quanto siano urgenti politiche ambientali efficaci contro il riscaldamento globale. Personalmente ritengo che qualcosa è ancora possibile fare, ma il tempo stringe, le misure da adottare dovrebbero esser chiare ed efficaci e ci dovrebbe essere una volontà che non è più solo del singolo, ma della società e dei governi.

Il protocollo di Kyoto, entrato in vigore il 16 febbraio 2005, stabilisce gli obiettivi da raggiungere nel contenimento delle emissioni di gas serra rispetto alle emissioni registrate nel 1985 ed in un arco di tempo ristretto, 2008-2012. Oggi un bilancio sui risultati e l’efficacia del protocollo di Kyoto non è semplice da effettuare, ma da quanto oggi sappiamo, il protocollo di fatto non ha portato a quei risultati che si sperava.

La Conferenza sui cambiamenti climatici COP21, che si è tenuta a Parigi a dicembre 2015, ha negoziato l’Accordo di Parigi, un accordo globale per contrastare i cambiamenti climatici, attraverso una riduzione delle emissioni di gas ad effetto serra di origine antropogenica. Con questo Accordo le Parti si impegnano a “proseguire gli sforzi per” limitare l’aumento della temperatura di 1,5 °C. Secondo alcuni scienziati, l’obiettivo di 1,5 °C richiederà l’inizio delle “emissioni zero” a partire da un periodo compreso tra il 2030 e il 2050.

L’Accordo ha trovato il consenso dei rappresentanti delle 195 parti partecipanti, ma diventerà giuridicamente vincolante, se ratificato da almeno 55 paesi che insieme rappresentino almeno il 55% delle emissioni globali di gas serra. Va tuttavia detto che il Paese che, a livello globale, produce la maggior parte di emissioni, ovvero la Cina, così come molti Paesi emergenti, non sono vincolati dall’accordo e molto controversa è anche la posizione degli Stati Uniti d’America.

Ad oggi, fra i Paesi che producono la maggior parte di CO2 abbiamo la Cina (27%), USA (15%), seguiti da India, Russia, Giappone, Iran, Arabia Saudita, Corea del Sud, Canada. L’Unione Europea contribuisce con il 10% e si colloca al 3° posto. L’Africa, che nella sua totalità contribuisce con il più basso tasso di emissioni pro capite, è tuttavia il Continente maggiormente vulnerabile ai cambiamenti climatici ed i 10 Paesi più vulnerabili sono tutti nel continente africano.

La recente Conferenza delle Parti, riunita a Katowice nel dicembre 2018, ha concordato le regole per l’attuazione dell’Accordo di Parigi che entrerà in vigore nel 2020. A causa della difficoltà di raggiungere un accordo tra le parti, le questioni più complicate (come ad esempio il modo per aumentare gli impegni dei singoli Paesi rispetto al taglio delle emissioni, o una formulazione che consenta il conteggio delle emissioni o i sistemi per verificare se i Paesi stanno facendo abbastanza per ridurre le loro emissioni) sono stati rinviati alla prossima conferenza.

Visto il livello e la velocità di innalzamento della temperatura a scala globale, regionale, locale, oggi raggiunto, non è chiaro se l’Accordo di Parigi riuscirà, qualora venisse implementato, a contrastare e/o limitare i cambiamenti climatici.

Oggi la consapevolezza c’è, sia da parte delle istituzioni che dei singoli cittadini: istituzioni e amministrazioni sia centrali che locali sono a conoscenza del problema e la scienza oggi non può che confermare, dati alla mano, che quanto sta accadendo è senza precedenti. Occorre intervenire con urgenza e decisione e con azioni capaci di guardare oltre. Occorre anche il contributo di ciascuno di noi come cittadini del Pianeta ad intervenire, anche adottando comportamenti virtuosi: riuscire a contenere i cambiamenti climatici non è solo un dovere morale nei confronti delle future generazioni, ma anche una priorità strategica per l’economia nazionale. In questo contesto, Baldi cita l’Enciclica Laudato sì di Papa Francesco che ci ricorda che “il clima è un bene comune, di tutti e per tutti. Esso, – continua il Pontefice- a livello globale, è un sistema complesso in relazione con molte condizioni essenziali per la vita umana. Esiste un consenso scientifico molto consistente che indica che siamo in presenza di un preoccupante riscaldamento del sistema climatico. L’umanità è chiamata a prendere coscienza della necessità di cambiamenti di stili di vita, di produzione e di consumo, per combattere questo riscaldamento o, almeno, le cause umane che lo producono o lo accentuano”.

 

Viviana Iavicoli

Ricercatrice dell’ Istituto di Studi Giuridici Internazionali  ISGI- CNR

 

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