Dopo mesi di escalation e toni bellicosi, Stati Uniti e Cina hanno siglato un accordo temporaneo per sospendere parte dei dazi reciproci, evitando, almeno per il momento, un crac economico globale.
L’intesa, raggiunta a Ginevra il 12 maggio 2025, prevede una riduzione significativa delle tariffe doganali per 90 giorni, a partire dal 14 maggio. Ma dietro i proclami di vittoria, emerge un quadro di pragmatismo e cautela, con le due superpotenze che, nonostante le dichiarazioni da “leoni”, si sono mosse come “agnelli” per tutelare i propri interessi economici.
La domanda che sorge spontanea è: dove sta la serietà in questa corsa contro il tempo?
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Una guerra commerciale al culmine
La disputa commerciale tra Washington e Pechino ha raggiunto livelli critici negli ultimi mesi. Sotto la presidenza di Donald Trump, gli Stati Uniti hanno imposto dazi fino al 145% su merci cinesi, colpendo settori strategici come microchip, acciaio ed elettronica.
Trump ha alimentato la tensione con un atteggiamento da bullo globale, fatto di provocazioni sui social, minacce unilaterali e un nazionalismo economico che ha trasformato il commercio internazionale in un campo di battaglia personale.
La Cina ha risposto con tariffe fino al 125%, restrizioni all’export di terre rare e divieti su acquisti di Boeing. Il commercio bilaterale, che nel 2023 valeva oltre 586 miliardi di euro, ha subito una contrazione drammatica, con blocchi nei porti e ritardi nelle catene di approvvigionamento.
Gli effetti sono stati devastanti: negli Stati Uniti, il PIL ha registrato una contrazione dello 0,3% nel primo trimestre 2025, la peggiore dal 2022, mentre in Cina l’indice PMI manifatturiero è sceso a 49, segnalando una contrazione del settore.
I mercati globali hanno tremato, con l’indice S&P 500 che ha perso il 18,9% dai massimi di febbraio, sfiorando un “mercato orso”.
L’accordo di Ginevra: una tregua necessaria
I colloqui di Ginevra, guidati dal Segretario al Tesoro USA Scott Bessent e dal Vicepremier cinese He Lifeng, hanno prodotto un’intesa che riduce i dazi americani dal 145% al 30% e quelli cinesi dal 125% al 10% per 90 giorni.
Entrambe le parti hanno concordato di istituire un “meccanismo di consultazione” per proseguire le discussioni, con incontri alternati tra i due Paesi o in sedi neutrali.
Trump ha celebrato l’accordo con toni trionfalistici, parlando di “grandi progressi” e di un possibile “reset totale” delle tariffe. Ma dietro l’autocelebrazione si cela un dietrofront obbligato, dettato più dal panico dei mercati che dalla lungimiranza politica.
L’economista Kenneth Rogoff di Harvard ha smorzato gli entusiasmi, definendo l’intesa una “tregua temporanea” che non risolve le tensioni di fondo.
“Xi Jinping non si è piegato, e gli Stati Uniti non hanno ottenuto concessioni significative,” ha dichiarato Rogoff, sottolineando che è stata la finanza, non la diplomazia, a forzare Washington al tavolo dei negoziati.
Le reazioni e il ruolo dei mercati
Le borse hanno reagito positivamente, con i futures sugli indici azionari USA in rialzo dopo l’annuncio. Tuttavia, gli analisti restano cauti.
Zhiwei Zhang di PinPoint Asset Management ha definito la riduzione dei dazi “sorprendente” ma ha avvertito che si tratta solo di un primo passo in un processo lungo e incerto.
L’Organizzazione Mondiale del Commercio (WTO) ha accolto l’intesa come un “passo positivo” per allentare le tensioni commerciali e preservare la crescita globale.
Anche l’Unione Europea e il Giappone hanno espresso ottimismo, pur sottolineando la necessità di regole multilaterali condivise e di una governance commerciale fondata sulla cooperazione, non sull’imposizione.
Una lezione di pragmatismo o mancanza di serietà?
L’accordo di Ginevra dimostra che, di fronte al rischio di un disastro economico, anche i leader più aggressivi sanno quando arretrare. Tuttavia, la rapidità con cui si è giunti a questa tregua solleva interrogativi sulla serietà e la coerenza delle strategie adottate.
La guerra dei dazi, iniziata nel 2018 e intensificatasi nel 2025, non ha ridotto il deficit commerciale USA con la Cina, che nel 2024 ha toccato i 295,4 miliardi di dollari.
I consumatori americani hanno pagato il prezzo più alto: rincari del 25% sui prodotti colpiti e una crescente sfiducia verso le politiche economiche muscolari ma inefficaci.
La Cina, dal canto suo, ha saputo diversificare le importazioni, stringendo accordi con Argentina e Brasile per soia e grano, riducendo la dipendenza dagli USA.
Questo pragmatismo suggerisce che Pechino era pronta a un’escalation, ma ha scelto la via del dialogo per evitare danni strutturali alla propria economia.
Cosa aspettarsi ora?
La tregua di 90 giorni è un ritorno al punto di partenza, non una svolta epocale. Senza concessioni strutturali su proprietà intellettuale, sussidi alle imprese statali cinesi o traffico di fentanyl, le tensioni potrebbero esplodere nuovamente.
L’Europa, nel frattempo, è chiamata a non farsi intimidire dalle pressioni dell’amministrazione Trump, come suggerito da Rogoff, e a mantenere un ruolo di equilibrio e indipendenza tra le due potenze.
In un mondo interdipendente, la rivalità USA-Cina richiede maggiore serietà, diplomazia e cooperazione multilaterale, come sottolineato anche dall’economista Carlo Cottarelli.
Senza un impegno condiviso e responsabile, il rischio di nuove crisi economiche rimane dietro l’angolo.
Trump: da “Leone da tastiera” ad agnellino timoroso dei mercati
L’accordo di Ginevra è un esempio lampante di come la paura del collasso possa far retrocedere anche chi si atteggia a dominatore.
Ma la mancanza di una visione a lungo termine, unita alla retorica da campagna elettorale di Trump, evidenzia quanto l’ideologia del confronto permanente sia miope e pericolosa.
La serietà, oggi, non sta nei proclami né nei dazi usati come armi, ma nella capacità di costruire un sistema commerciale globale stabile, equo e sostenibile.
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