In un mondo in cui le decisioni collettive sono fondamentali per il funzionamento delle democrazie, uno dei problemi più affascinanti — e paradossali — dell’economia e della teoria delle scelte sociali è rappresentato dal teorema di Arrow, noto anche come teorema dell’impossibilità. Formulato nel 1951 dall’economista americano Kenneth Arrow, premio Nobel per l’Economia nel 1972, questo teorema dimostra un risultato sorprendente e, per certi versi, sconfortante: non esiste un metodo perfetto per trasformare le preferenze individuali in una decisione collettiva che soddisfi alcuni criteri di equità e razionalità.
In altre parole, nessun sistema di voto può tradurre coerentemente le preferenze individuali in una scelta collettiva senza violare almeno uno dei requisiti fondamentali di una “buona” decisione democratica. Questo paradosso ha profonde implicazioni per la scienza politica, l’economia, la filosofia e persino per la progettazione di algoritmi decisionali.
I requisiti di una scelta sociale “razionale”
Arrow individua una serie di condizioni che qualsiasi funzione di scelta sociale dovrebbe rispettare per essere considerata equa e razionale. Le più importanti sono:
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Dominanza unanime (o pareto-efficienza): se ogni individuo preferisce l’alternativa A all’alternativa B, allora la società dovrebbe preferire A a B.
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Indipendenza dalle alternative irrilevanti: la scelta collettiva tra A e B dovrebbe dipendere solo dalle preferenze individuali tra A e B, non da come le persone si sentono rispetto a una terza opzione C.
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Non dittatorialità: non deve esistere un individuo il cui giudizio impone sempre la decisione finale, indipendentemente dalle preferenze degli altri.
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Universalità: il sistema deve essere in grado di gestire qualsiasi combinazione possibile di preferenze individuali.
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Coerenza (o transitività): se la società preferisce A a B e B a C, allora dovrebbe preferire A a C.
Arrow dimostra matematicamente che non esiste una funzione di scelta sociale che soddisfi tutti questi criteri contemporaneamente se si hanno almeno tre alternative tra cui scegliere. Il risultato è conosciuto come teorema dell’impossibilità di Arrow.
Un esempio semplice: scegliere un film
Immaginiamo tre amici — Anna, Bruno e Carla — che devono decidere quale film vedere tra tre opzioni: A (un film d’azione), B (una commedia) e C (un film drammatico).
Le loro preferenze sono:
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Anna: A > B > C
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Bruno: B > C > A
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Carla: C > A > B
Ora proviamo a confrontare le opzioni due a due per stabilire una classifica collettiva.
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A vs B: Anna preferisce A, Carla preferisce A, Bruno preferisce B. → A vince (2 su 3)
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B vs C: Bruno e Anna preferiscono B a C, Carla preferisce C. → B vince
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C vs A: Carla e Bruno preferiscono C a A, Anna preferisce A. → C vince
Questo porta a un ciclo paradossale: A > B, B > C, ma C > A.
Non è possibile ordinare le alternative in modo coerente: qualsiasi scelta collettiva violerà almeno una delle condizioni richieste. È l’effetto noto come paradosso di Condorcet, che si manifesta anche nel teorema di Arrow.
Il problema delle “alternative irrilevanti”
Supponiamo ora che il gruppo stia scegliendo tra due opzioni, A e B, e che vinca A. Poi si introduce una terza opzione C, che è palesemente impopolare, ma il solo fatto che esista cambia le dinamiche del voto, portando B a vincere. Questo scenario viola la condizione di indipendenza dalle alternative irrilevanti: la presenza di un’opzione senza possibilità di vittoria non dovrebbe cambiare il risultato tra le opzioni principali.
Eppure questo accade in molti sistemi elettorali, come quello maggioritario uninominale a turno unico (first-past-the-post), dove la presenza di un “terzo incomodo” può cambiare drasticamente l’esito.
Implicazioni politiche ed economiche
Il teorema di Arrow non è soltanto una curiosità matematica, ma ha profonde implicazioni pratiche.
In politica, suggerisce che nessun sistema elettorale è perfetto, e che ogni metodo comporta compromessi. Ad esempio, il metodo del voto di maggioranza può violare la coerenza, mentre i metodi proporzionali possono violare l’indipendenza dalle alternative irrilevanti.
In economia, Arrow ha applicato il suo teorema anche alla teoria del benessere, evidenziando i limiti strutturali nella possibilità di costruire una funzione di benessere sociale che tenga conto delle preferenze di tutti in modo equo e razionale.
Nel design dei sistemi decisionali automatizzati (come quelli usati dagli algoritmi di raccomandazione o nelle intelligenze artificiali), il teorema di Arrow mostra che anche questi sistemi dovranno necessariamente violare almeno uno dei criteri se vogliono aggregare le preferenze di più utenti.
Il Referendum dell’8-9 giugno 2025: perché ha vinto l’astensionismo?
È possibile utilizzare il teorema di Arrow come chiave interpretativa per leggere l’astensione massiccia avvenuta in alcuni referendum italiani recenti, soprattutto quelli con bassa affluenza (come il referendum sulla giustizia del 2022, con affluenza al 20,9%). Pur essendo un teorema formulato per scelte collettive tra più alternative, offre spunti preziosiper comprendere i limiti strutturali dei meccanismi decisionali democratici, anche nei casi binari (Sì/No) o nella loro relazione con l’astensione.
Ecco come si può applicare e analizzare il fenomeno:
1. Il contesto: un referendum con scarsa partecipazione
Supponiamo che ci sia un referendum su un tema delicato (es. separazione delle carriere dei magistrati o abolizione di una legge contestata). Il quesito è tecnicamente chiaro ma politicamente polarizzante. L’opinione pubblica è divisa tra:
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Chi è a favore (voto “Sì”).
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Chi è contrario (voto “No”).
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Chi è indeciso, disilluso o contrario allo strumento stesso (astensione).
Nel caso dei referendum italiani abrogativi, il quorum del 50% + 1 è vincolante. Se non si raggiunge, il risultato non è valido, a prescindere da quanto sia schiacciante la vittoria di una delle due opzioni.
2. Dove entra in gioco Arrow?
Il teorema di Arrow afferma che non esiste un sistema perfetto per tradurre le preferenze individuali in una scelta collettiva razionale, se si vogliono rispettare contemporaneamente alcune condizioni: razionalità, non dittatorialità, indipendenza da alternative irrilevanti.
Nel nostro caso:
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Condizione di non dittatorialità: il risultato non può essere deciso da una sola parte.
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Condizione di universalità: il sistema dovrebbe accettare tutte le possibili configurazioni di preferenze (Sì, No, Astensione).
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Indipendenza dalle alternative irrilevanti: il giudizio collettivo tra due opzioni (Sì vs No) non dovrebbe essere influenzato da una terza (astensione), ma in un referendum con quorum, l’astensione diventa decisiva.
3. L’astensione come “alternativa irrilevante” che diventa decisiva
E qui sta il paradosso. In teoria, il referendum riguarda un quesito binario (Sì o No). Ma l’astensione agisce indirettamente come una “terza opzione”, in violazione dell’assunzione di Arrow secondo cui la presenza o assenza di una terza opzione non dovrebbe cambiare il risultato tra due opzioni principali.
In pratica:
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Se molti votano “Sì”, ma non si raggiunge il quorum → il risultato è nullo.
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Anche se il “Sì” ha vinto schiacciante tra i votanti, gli astenuti hanno di fatto bloccato la scelta collettiva.
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Non è il voto espresso a contare, ma la scelta di non votare.
Questo è coerente con una violazione della cosiddetta “indipendenza da alternative irrilevanti”: l’alternativa (astensione) non è neanche una scelta tra le opzioni disponibili, eppure cambia l’esito.
4. Un esempio concreto modellato sul teorema di Arrow
Immaginiamo un referendum con queste dinamiche tra 3 “tipi” di cittadini:
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30% vota Sì (ritiene utile la riforma).
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20% vota No (è contrario).
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50% si astiene, per motivi differenti (disillusione, strategia politica, mancanza di informazioni).
Risultato:
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La maggioranza relativa è per il “Sì”.
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Ma la maggioranza assoluta degli elettori (gli astenuti) blocca la decisione, che quindi non ha validità giuridica.
Se applichiamo Arrow, vediamo che:
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Il sistema non rispetta la razionalità collettiva: la preferenza sociale tra Sì e No non si può esprimere.
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C’è una sorta di “dittatura dell’astensione”: chi non esprime una preferenza ne determina comunque l’esito.
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Il principio di indipendenza da alternative irrilevanti è violato: la presenza o meno dell’astensione cambia il risultato, pur non essendo un’opzione esplicita sulla scheda.
5. Implicazioni democratiche
Il teorema di Arrow ci aiuta a comprendere che la democrazia diretta ha limiti strutturali, specie quando:
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Il sistema è fortemente condizionato dal quorum.
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Le modalità di voto non rappresentano fedelmente le preferenze dell’elettorato.
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Il risultato non dipende dalla preferenza espressa, ma dal comportamento strategico (es. l’astensione tattica per invalidare un referendum).
In sintesi, anche se il referendum formalmente rispetta le regole costituzionali, non produce una volontà collettiva coerente con le preferenze individuali, e quindi non soddisfa i requisiti di una scelta sociale razionale secondo Arrow.
6. Conclusione: una democrazia imperfetta è ancora democrazia?
Il teorema di Arrow non ci dice che la democrazia non funziona, ma ci avverte che ogni sistema di voto ha limiti matematici e logici che ne influenzano i risultati. Nei referendum italiani, questi limiti sono accentuati dalla presenza del quorum e da un crescente distacco tra cittadini e istituzioni.
Analizzare l’astensione alla luce del teorema di Arrow aiuta a capire perché i risultati elettorali, anche quando legalmente validi, possono essere politicamente insoddisfacenti o paradossali. Non è solo una questione di partecipazione, ma di come traduciamo le preferenze in decisioni collettive.
Superare l’impossibilità?
Sebbene il teorema di Arrow sembri dire che “non c’è speranza”, in realtà ha avuto l’effetto benefico di chiarire le condizioni sotto cui un sistema può o non può funzionare. Alcuni studiosi hanno proposto approcci alternativi:
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Limitare le preferenze: se si impongono restrizioni sulle preferenze individuali (ad esempio, che siano single-peaked), allora è possibile costruire meccanismi decisionali coerenti.
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Accettare imperfezioni: i sistemi reali spesso scelgono di sacrificare uno dei criteri, come l’indipendenza dalle alternative irrilevanti, in favore di maggiore rappresentatività o stabilità politica.
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Metodi deliberativi: alcuni approcci, come il deliberative democracy, cercano di superare il problema cambiando le dinamiche della decisione collettiva, privilegiando il dialogo e il consenso piuttosto che la semplice aggregazione di preferenze.
Il teorema dell’impossibilità di Arrow rappresenta una delle scoperte più affascinanti e destabilizzanti della scienza sociale moderna. Dimostra che non esiste un sistema di voto o decisione collettiva perfetto, capace di trasformare in modo equo e razionale le preferenze individuali in una volontà collettiva.
Lungi dal minare la democrazia, questo teorema ci invita a essere più consapevoli dei limiti strutturali dei nostri sistemi decisionali, e a progettare istituzioni che, pur non essendo perfette, siano il più possibile trasparenti, partecipative e resilienti. Comprendere le regole (e i paradossi) alla base della scelta collettiva ci aiuta a migliorare la qualità delle nostre decisioni, anche in un mondo imperfetto.
Un esempio sportivo: il paradosso del “pilota eterno secondo”
Per comprendere meglio le implicazioni del teorema di Arrow, consideriamo un esempio ispirato alla Formula 1. Supponiamo che, invece di basarci sul sistema a punti della FIA, si decida di eleggere il campione del mondo attraverso un sistema democratico, cioè con una votazione tra i tifosi per stabilire, tra tutti i piloti, chi ha avuto la stagione migliore.
Immaginiamo tre piloti in gara: Hamilton, Verstappen e Norris. I tifosi devono votare secondo le loro preferenze sull’ordine di merito. Dopo le gare, emerge una situazione interessante:
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Hamilton ha vinto alcune gare ma anche avuto dei ritiri. Quando vince, vince alla grande, ma quando perde, è fuori dalla classifica.
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Verstappen ha vinto il maggior numero di gare.
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Norris, invece, è arrivato secondo in quasi tutte le gare, senza mai vincere né finire troppo indietro. È il più costante e apprezzato da molti per la sua regolarità.
Se si potessero esprimere preferenze ordinali tra i tre piloti da parte di milioni di tifosi, potremmo trovarci di fronte a una situazione come questa:
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Un terzo dei tifosi preferisce: Verstappen > Norris > Hamilton
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Un altro terzo: Norris > Hamilton > Verstappen
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L’ultimo terzo: Hamilton > Verstappen > Norris
Vediamo cosa accade se confrontiamo i piloti a due a due, come nel metodo di Condorcet.
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Norris vs Hamilton: 2 su 3 dei tifosi (quelli che preferiscono Norris a Hamilton e quelli che lo hanno al secondo posto) preferiscono Norris → Norris vince.
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Norris vs Verstappen: anche in questo caso, 2 gruppi su 3 lo preferiscono → Norris vince.
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Hamilton vs Verstappen: Hamilton vince per 2 su 3 → Hamilton vince.
Dunque Norris batte sia Hamilton che Verstappen, ma non è la prima scelta di nessuno: è sempre secondo. Questo è ciò che nel voto si chiama “candidato di compromesso”, o “eterno secondo”.
Paradossalmente, in molti sistemi di voto come il sistema a maggioranza semplice o a preferenza unica, Norris non vincerà mai, perché nessuno lo ha messo come prima scelta. In altre parole, se si chiede ai tifosi solo il nome del loro pilota preferito, Norris non riceve mai abbastanza voti per battere gli altri, anche se è preferito dalla maggioranza in confronto diretto.
Il paradosso del candidato moderato
Questo tipo di problema si verifica anche nella politica reale, dove esistono spesso candidati moderati, capaci di mettere d’accordo tutti, ma che non entusiasmano abbastanza da essere la prima scelta di qualcuno. Questi candidati rischiano di essere esclusi in un sistema che privilegia la polarizzazione o la visibilità.
Nel contesto del teorema di Arrow, l’“eterno secondo” è la vittima della violazione dell’indipendenza dalle alternative irrilevanti e della non dittatorialità. Non c’è modo di costruire un sistema elettorale che garantisca la vittoria al candidato “più equilibrato” senza violare almeno uno dei principi richiesti.
Cosa ci insegna l’esempio della Formula 1?
L’esempio del campione “democraticamente” eletto in Formula 1 mostra chiaramente come la coerenza tra preferenze individuali e decisione collettiva sia difficile da ottenere. In un mondo ideale, Norris — costante e regolare — potrebbe essere un campione legittimo. Ma il sistema di voto non lo premia. Questo accade anche nel mondo reale:
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Un candidato politico moderato può piacere a molti, ma non vincere mai.
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Un film universalmente apprezzato può non ottenere premi se non è la “prima scelta” di nessuno.
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Un prodotto sul mercato può essere giudicato “buono da tutti” ma essere battuto da altri più polarizzanti.
Il teorema di Arrow ci avverte: la razionalità collettiva è strutturalmente limitata. Anche se i singoli individui sono perfettamente razionali, l’aggregazione delle loro preferenze può dare luogo a risultati illogici o incoerenti.
Un ultimo paradosso: meglio il secondo che il primo?
Tornando alla Formula 1: se il sistema democratico porta a ignorare il pilota che tutti stimano ma nessuno vota per primo, dobbiamo chiederci: è giusto? E soprattutto, come dovremmo progettare un sistema di scelta che non penalizzi i candidati più equilibrati?
Non c’è una risposta definitiva, ma l’esempio dimostra che ogni sistema elettorale è una costruzione arbitraria, con vantaggi e difetti. Capirne i limiti — come ci insegna Arrow — è il primo passo per renderlo più giusto.
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