Mi sono chiesto spesso come mai e perché anche uno come Sinner, che è un fenomeno, un ragazzo equilibrato, con la testa sulle spalle, rispettoso degli altri… ha degli haters?
Gli antichi Greci la chiamavano phthonos: l’invidia, quella che, secondo Eschilo, colpiva chi aveva troppo successo, come una punizione divina. Era il prezzo della grandezza.
Aristotele, nella sua Retorica, aggiungeva:
«L’invidia è un dolore causato dalla prosperità di persone simili a noi, non perché abbiano qualcosa di male, ma perché hanno beni che noi non abbiamo.»
Sinner è giovane, talentuoso e al top: il classico bersaglio di chi si sente indietro.
Secondo uno studio del 2023 pubblicato su Frontiers in Psychology, il 68% degli utenti social ammette di provare invidia verso figure di successo. E questa emozione, se non elaborata, si traduce in disprezzo, insulti, odio.
Il tribalismo e la logica del “noi contro loro”
C’è anche il tribalismo: quella tendenza a schierarsi, a identificarsi in un gruppo, e a vedere negli altri dei nemici.
Henri Tajfel, psicologo sociale, lo spiegava con la sua teoria dell’identità sociale: ci leghiamo emotivamente a un gruppo, e chiunque minacci lo status di quel gruppo diventa un bersaglio.
Nel tennis è evidente: i fan di Federer, Nadal o Djokovic vedono in Sinner una minaccia. Non importa se sia talentuoso o rispettoso: rappresenta un possibile sorpasso.
Secondo Pew Research (2024), il 74% delle discussioni sportive online diventa tossico quando si toccano temi di rivalità tra atleti.
Social media: benzina sull’odio
Poi ci sono i social. E lì entra in gioco la deindividuazione: quel meccanismo descritto da Philip Zimbardo, secondo cui l’anonimato ci rende più aggressivi. Online scriviamo cose che non diremmo mai in faccia, sentendoci impuniti.
A peggiorare tutto, ci pensano gli algoritmi.
Secondo uno studio del MIT (2022), i post negativi ottengono il 60% in più di interazioni rispetto a quelli positivi. Non sorprende che molti usino l’odio come strategia per ottenere visibilità.
Sinner, simbolo nazionale… ma anche bersaglio
In Italia, Sinner è visto come un simbolo collettivo. Ma questo ruolo è ambivalente: l’orgoglio può trasformarsi in pressione.
Basta una sconfitta, e partono le critiche, come se avesse tradito un’intera nazione.
Il sociologo Pierre Bourdieu avrebbe parlato di capitale simbolico: Sinner rappresenta prestigio per l’Italia, ma viene caricato anche dell’aspettativa di incarnare una “italianità” ideale.
E qui si apre un altro fronte: l’essere altoatesino, riservato, poco incline alla spettacolarizzazione. Qualcuno lo percepisce come “freddo”, “distante”. Non lo dice apertamente, ma sotto sotto si attiva il bias implicito: secondo gli studi di Banaji e Greenwald, il 70% delle persone ha pregiudizi inconsci che influenzano i giudizi, anche senza rendersene conto.
L’hater come stratega dell’attenzione
E poi c’è chi lo attacca per calcolo.
Nel mondo dell’economia dell’attenzione (come la chiamava Michael Goldhaber), ogni post è una moneta. E un commento velenoso può farti guadagnare like.
Michel Foucault parlava di come il potere si eserciti anche nel controllo dell’attenzione. Oggi, un hater su X non cerca verità o giustizia: cerca visibilità.
Un report di Sprout Social (2025) rivela che il 45% degli utenti ha pubblicato contenuti provocatori solo per generare interazioni.
Uno specchio troppo lucido
In fondo, l’odio verso Sinner non è solo invidia. È un mix complesso di psicologia, tribalismo, algoritmi e fragilità collettiva.
Leon Festinger, con la sua teoria del confronto sociale, diceva che ci misuriamo costantemente con gli altri, e se ne usciamo sconfitti… scatta la frustrazione.
Sinner diventa allora uno specchio troppo lucido, che riflette tutto ciò che agli altri manca: equilibrio, determinazione, talento, e soprattutto capacità di restare in piedi mentre tutti cercano di abbatterti.
E forse è proprio questo che dà più fastidio:
che lui vince anche quando perde, perché non si lascia definire dall’odio, ma lo trasforma.
In energia. In visione. In stile.
E in un’epoca dove l’identità è fragile, chi riesce a restare sé stesso… brilla come un faro. E acceca chi non riesce a guardarlo.
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