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Referendum: l’astensione è legittima? E l’invito a farlo?

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In Italia, l’astensione in un referendum è legittima (vedi NOTA), in quanto il voto non è obbligatorio (a differenza di quanto accadeva in passato per alcune elezioni). Ogni cittadino è libero di decidere se partecipare o meno al voto, e l’astensione è una scelta che rientra nei diritti democratici. Non votare può essere interpretato come un segnale di disinteresse, dissenso o mancanza di fiducia nelle opzioni proposte, ma non ha conseguenze legali.
L’invito all’astensione, invece, è una questione più complessa. È legale invitare gli elettori a non partecipare al voto, poiché rientra nella libertà di espressione garantita dalla Costituzione. Tuttavia, è considerato controverso, soprattutto in contesti referendari, dove il raggiungimento del quorum (50% + 1 degli aventi diritto al voto per i referendum abrogativi) è necessario affinché il risultato sia valido. L’invito all’astensione è spesso usato come strategia politica per far fallire un referendum, opponendosi indirettamente senza promuovere il “No”. La Corte Costituzionale ha ribadito in passato che tale invito è legittimo, purché non violi altre norme (ad esempio, non sia coercitivo o fuorviante).

 

L’INVITO ALL’ASTENSIONISMO? UNA PRATICA BIPARTISAN

Accusare l’attuale governo di promuovere l’astensionismo come pratica antidemocratica è non solo fuorviante, ma anche storicamente infondato, poiché esponenti di ogni schieramento politico, sia di sinistra che di destra, hanno adottato questa strategia in passato.

Di seguito un elenco sintetico degli episodi in cui esponenti del governo o figure istituzionali di spicco, di diverse appartenenze politiche, hanno invitato direttamente o indirettamente all’astensionismo in elezioni o referendum in Italia, senza dettagli approfonditi:
  1. Giorgio Napolitano (Centrosinistra, Presidente emerito, 2016): Definì il referendum abrogativo sulle trivelle del 2016 “inconsistente e pretestuoso”, sostenendo la legittimità dell’astensione.
  2. Bettino Craxi (Partito Socialista Italiano, 1991): Invitò gli elettori ad “andare al mare” per il referendum sulla riduzione delle preferenze elettorali.
  3. Ciriaco De Mita (Democrazia Cristiana, 1991): Definì il referendum del 1991 una “cavolata” e scelse di non votare, promuovendo l’astensionismo.
  4. Umberto Bossi (Lega Nord, 1991): Invitò a non partecipare al referendum del 1991 sulla riduzione delle preferenze elettorali.
  5. Matteo Renzi (Partito Democratico, 2016): Invito implicito all’astensionismo nel referendum sulle trivelle del 2016, definendolo una “bufala” e legittimando il non voto.
  6. Silvio Berlusconi (Forza Italia, 2005): Pur senza un invito esplicito, il suo governo favorì indirettamente l’astensionismo nel referendum sulla Legge 40/2004 (procreazione assistita), evitando una campagna per il “no” e lasciando spazio alla strategia di non partecipazione.

Esistono anche episodi di invito all’astensionismo di gruppi extraparlamentari di sinistra (es. Lotta Continua, Potere Operaio negli anni ’60-’70, o gruppi trotskisti/anarchici nel 2016) e Rifondazione Comunista (2000) che non sono inclusi in questo elenco, poiché non coinvolgevano  esponenti del governo o figure istituzionali di primo piano, ma movimenti o partiti non al governo.

 

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NOTA

L’astensione al voto è vietata solo nelle dittature, dove i regimi tendono a controllare i processi elettorali o referendari per consolidare il loro potere e dimostrare consenso popolare. L’astensione è spesso vista come un atto di dissenso o di rifiuto del sistema, e quindi i regimi possono adottare misure per rendere la partecipazione praticamente obbligatoria, attraverso:
  • Obbligo legale: leggi che impongono il voto o puniscono l’astensione.
  • Pressioni sociali o coercizione: propaganda, minacce, intimidazioni o controllo sociale.
  • Manipolazione dei risultati: anche in caso di bassa partecipazione, i risultati possono essere falsificati per mostrare un’alta affluenza.

ESEMPIO

  • Durante il regime di Mussolini, le elezioni (come quelle del 1929 e 1934) furono trasformate in plebiscitiper il Partito Nazionale Fascista. Non c’era una vera competizione elettorale, e il voto era fortemente controllato.
  • L’astensione era scoraggiata attraverso propaganda e pressione sociale. I cittadini erano spinti a votare per dimostrare lealtà al regime, e l’appartenenza a organizzazioni fasciste (come la Milizia o i sindacati fascisti) rendeva il controllo sulla partecipazione più stringente.
  • Nel plebiscito del 1929, l’affluenza ufficiale fu del 90%, ma era il risultato di un sistema che non ammetteva dissenso. Non votare poteva essere interpretato come un atto di opposizione, con rischi di ritorsioni.

 

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