Nello tsunami del flop di affluenza ai Referendum che precipita al 30%, e che ha travolto il Pd e in generale la sinistra tra politica e sindacato, Elly Schlein vede il bicchiere clamorosamente mezzo pieno.
Un risultato “migliore di Meloni nel 2022” – dichiara la segretaria di partito. Ma i dati statistici raccontano un’altra storia. Una riflessione sulle incongruenze statistiche e sulle distorsioni comunicative nel dibattito politico.
L’affermazione di Elly Schlein è statisticamente inconsistente: ecco perché
L’affermazione di Elly Schlein, secondo cui i referendum del 2025 avrebbero avuto più voti rispetto a quelli ottenuti dalla coalizione di destra che ha portato Giorgia Meloni al governo nel 2022, è statisticamente irrilevante per diversi motivi. Analizziamoli passo per passo:
1. Confronto tra contesti diversi
I referendum del 2025 e le elezioni politiche del 2022 sono eventi elettorali con natura, finalità e meccanismi differenti.
Le elezioni politiche determinano la composizione del Parlamento e del governo, con un forte coinvolgimento partitico e una campagna elettorale strutturata.
I referendum, invece, sono consultazioni su questioni specifiche (in questo caso, cittadinanza e norme sul lavoro) e spesso attirano meno partecipazione, soprattutto se percepiti come tecnici o poco rilevanti.
Confrontare i numeri assoluti di voti tra questi due eventi ignora le differenze di contesto e le motivazioni degli elettori.
2. Dati numerici e loro interpretazione
Referendum 2025:
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Affluenza: 30,6%, pari a circa 14 milioni di voti su 46 milioni di elettori.
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Questo totale include sia i voti “SÌ” che i “NO”.
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Per esempio, sul quesito della cittadinanza, circa il 35% dei votanti ha scelto “NO”, riducendo il peso effettivo delle posizioni favorevoli a Schlein.
Elezioni politiche 2022:
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La coalizione di destra guidata da Giorgia Meloni (Fratelli d’Italia, Lega, Forza Italia e altri) ha ottenuto circa 12,3 milioni di voti con un’affluenza del 63,9%.
Sebbene i 14 milioni dei referendum siano superiori ai 12,3 milioni delle elezioni, Schlein omette che i voti referendari non rappresentano un sostegno unanime alla sua posizione.
Inoltre, il quorum non raggiunto (50% + 1) rende i referendum invalidi, vanificando qualsiasi valore politico attribuibile al numero di partecipanti.
3. Ignorare l’astensione
Schlein non considera i circa 33 milioni di elettori che non hanno votato ai referendum, pari al 69,4% degli aventi diritto.
Questo alto tasso di astensione segnala una scarsa mobilitazione e un basso interesse per i quesiti proposti, percepiti come anacronistici (ne abbiamo parlato in “Referendum Flop: perché gli italiani hanno detto No con l’Astensione“.
Al contrario, l’affluenza del 63,9% alle politiche del 2022 riflette un coinvolgimento decisamente maggiore.
4. Mancanza di rappresentatività politica
I voti ai referendum non possono essere interpretati come un sostegno diretto al Partito Democratico o alla sinistra.
Molti elettori potrebbero aver votato per motivazioni eterogenee, non necessariamente allineate con le posizioni di Schlein.
Diversamente, i 12,3 milioni di voti alla coalizione di destra nel 2022 rappresentano un mandato chiaro e diretto per Meloni e i suoi alleati.
Il confronto proposto da Schlein implica quindi un’equivalenza impropria tra partecipazione referendaria e consenso politico.
5. Effetto del boicottaggio
Schlein stessa ha ammesso che la destra ha promosso una campagna per l’astensione, contribuendo così al mancato raggiungimento del quorum (cosa che peraltro la sinistra fece in votazioni precedenti).
Tuttavia, questo non implica che i 14 milioni di votanti rappresentino un’opposizione diretta al governo Meloni.
Anzi, l’efficacia del boicottaggio può essere letta come una prova della forza organizzativa della coalizione di governo, come sottolineato da diversi esponenti della destra.
Il confronto proposto da Schlein implica quindi un’equivalenza impropria tra partecipazione referendaria e consenso politico.
6. Il paradosso del referendum sul Jobs Act
Il paradosso si manifesta subito: il Jobs Act è una riforma nata a sinistra, partorita proprio dal Partito Democratico quando era guidato da Matteo Renzi. Una legge simbolo del tentativo di rendere più flessibile il mercato del lavoro, in linea con le ricette liberali adottate in Europa nella stagione post-crisi. Oggi, però, è un’altra sinistra a volerla smantellare, più vicina a Elly Schlein, che ha preso le distanze da quella stagione e da quelle politiche.
E qui si inserisce il cuore dell’assurdità: il PD non ha promosso il referendum, ma ne ha cavalcato l’onda, almeno in parte, dopo che la raccolta firme era stata avviata da sindacati e altre forze politiche. Elly Schlein ha dichiarato il proprio sostegno solo in un secondo momento, tentando poi di attribuire valore politico al dato dell’affluenza (14 milioni di votanti), nonostante il referendum non sia stato né pensato né guidato dal suo partito.
Il risultato? Un cortocircuito ideologico e strategico. Da una parte, il PD si ritrova a condannare una legge che porta la sua firma. Dall’altra, tenta di rappresentare il malcontento popolare senza però fare davvero i conti con la propria eredità. Una posizione ambigua, che rivela quanto sia ancora irrisolta, all’interno della sinistra, la frattura tra chi guarda al modello socialdemocratico classico e chi ha spinto verso il centrismo liberale.
Il referendum sul Jobs Act, al di là del suo esito, ha reso evidente che la sinistra italiana deve ancora decidere chi è davvero, e soprattutto da che parte sta quando si parla di lavoro. Perché non si può essere contemporaneamente gli autori di una legge e i protagonisti della sua abolizione.
PER RIASSUMERE
L’affermazione di Schlein è statisticamente insensata perché:
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Confronta numeri assoluti senza considerare il contesto.
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Ignora la natura profondamente diversa tra voti referendari e politici.
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Include anche i voti “NO” come se fossero favorevoli.
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Tralascia il dato cruciale dell’alta astensione.
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Sovrastima un presunto sostegno politico diretto.
Il mancato quorum e la frammentazione del voto nei referendum rendono qualsiasi paragone con il consenso elettorale del 2022 privo di valore logico e fattuale.
Fonti:
1. Ministero dell’Interno – Elezioni e Referendum
2. Norberto Bobbio – Il futuro della democrazia
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