Il peso crescente della maggioranza moderata che la sinistra italiana non vuole accettare
Il referendum dell’8-9 giugno 2025, promosso dalla CGIL con il sostegno di alcune forze del centrosinistra, va ad avviarsi alla conclusione con un’affluenza ben al di sotto del quorum del 50% + 1, segnando una delle partecipazioni più basse della storia repubblicana. I cinque quesiti – quattro sul lavoro (tra cui la reintroduzione dell’articolo 18 e l’abolizione dei contratti a termine “liberi”) e uno sull’accorciamento da dieci a cinque anni del periodo di residenza per ottenere la cittadinanza italiana – non hanno convinto gli elettori. Ma più che un segnale di disinteresse, il flop delle urne sembra rivelare il disagio e la disillusione di una maggioranza silenziosa e moderata, sempre più determinante, che rifiuta sia i vecchi dogmatismi della sinistra sia le semplificazioni della destra.
Sentiment sui social: tra disincanto e polarizzazione
Sulle piattaforme Social (X e Facebook), il dibattito è stato acceso ma scarsamente partecipato rispetto ad altre mobilitazioni. Molti utenti hanno mostrato apatia e sfiducia, definendo i quesiti “inutili”, “disonesti” o “dannosi”. Il profilo moderato @gravitazeroeu, tra i più attivi nel sostenere l’astensione come diritto democratico, ha rilanciato argomentazioni dell’economista Tito Boeri, che ha definito i quesiti “mal posti” e “controproducenti”, soprattutto per il mercato del lavoro moderno (vedi anche l’articolo “Il popolo delle partite IVA). Post di questo tipo hanno ottenuto centinaia di interazioni, contribuendo alla costruzione di una narrativa critica e disillusa.
Mentre il centrosinistra (PD, M5S, +Europa) promuoveva il “Sì” come difesa dei diritti, e il centrodestra (Fratelli d’Italia, Lega, Forza Italia) invitava apertamente all’astensione per bloccare quesiti “ideologici”, è emersa con forza un’Italia trasversale, né schierata né militante, che ha rifiutato l’opposizione binaria tra destra e sinistra. L’hashtag #IoNonVoto è diventato virale anche tra utenti non legati al centrodestra, molti dei quali hanno manifestato posizioni critiche, ma equilibrate.
Toni tossici e repulsione dell’elettorato moderato
Una parte della sinistra radicale ha bollato l’astensione come incivile, accusando gli astensionisti di essere “incoscienti” o “ignoranti”. Questi attacchi, evidenti in centinaia di commenti su X, hanno avuto un effetto boomerang, alienando soprattutto quella parte moderata e riflessiva del Paese che ha rifiutato l’estremismo verbale e il moralismo militante. Si tratta di cittadini che, pur non sostenendo le posizioni del governo, hanno sentito come paternalistica e divisiva la narrazione imposta dai promotori del “Sì”.
Perché così tanta astensione?
Le ragioni dell’astensione: oltre la destra, oltre la sinistra
Secondo sondaggi Ipsos e le prime stime ufficiali, l’astensione ha superato il 62%. I motivi sono complessi e intrecciati, ma molti riconducono a una reazione di rigetto rispetto alla politicizzazione forzata dei quesiti e all’incapacità delle forze politiche di parlare a quella maggioranza trasversale, riformista, moderata e realista che costituisce oggi il vero baricentro dell’Italia.
1. Quesiti percepiti come anacronistici
Tanti osservatori, inclusi economisti come Boeri, hanno ritenuto i quesiti sul lavoro incoerenti con la realtà attuale, fatta di freelance, partite IVA e flessibilità. In questo contesto, la reintroduzione dell’articolo 18 è sembrata un ritorno a logiche superate. A pensarla così non sono solo liberisti o industriali, ma anche molti ex elettori di sinistra, oggi disillusi ma ancora attenti alla tutela del lavoro, seppur in chiave contemporanea.
2. Un pacchetto eterogeneo e ideologico
Il quesito sulla cittadinanza è apparso scollegato dagli altri e ha aumentato la percezione di una forzatura ideologica. Anche elettori progressisti hanno ammesso che accorciare i tempi per la cittadinanza non può essere oggetto di un referendum semplificato, e andrebbe discusso con più profondità. Il risultato è stato un rifiuto generalizzato di uno strumento percepito come inadeguato e strumentalizzato.
3. La voce dei moderati, ignorata dai media
Partiti come Azione e Italia Viva, ma anche molti intellettuali indipendenti, hanno espresso dubbi sui quesiti, difendendo il Jobs Act o chiedendo riforme più realistiche. Questa posizione, né nostalgica né conservatrice, è stata ampiamente ignorata dal dibattito mediatico e politico, dominato invece da toni urlati e polarizzati.
4. Crisi di fiducia e voglia di concretezza
Molti cittadini non hanno votato perché non si fidano più della politica come teatro ideologico, ma chiedono soluzioni pragmatiche. Non è apatia, ma una richiesta chiara: meno slogan e più competenza. La scarsa copertura dei media (solo l’1% dei notiziari ha parlato del referendum) ha rafforzato l’impressione che si trattasse di un esercizio autoreferenziale, lontano dai problemi quotidiani.
5. Disaffezione, ma anche maturità democratica
Come nel referendum sulla giustizia del 2022 (21% di affluenza), anche stavolta l’astensione ha segnato non solo sfiducia, ma una forma di risposta politica non convenzionale. È una maturità nuova, quella di una maggioranza moderata, non urlante, che rifiuta semplificazioni e riformismi d’accatto. Una maggioranza che non si sente rappresentata né da chi invoca la “lotta di classe” né da chi urla alla “difesa della patria”.
Una nuova centralità per la maggioranza moderata
Il referendum del 2025 non è fallito solo per i contenuti, ma perché ha ignorato la trasformazione profonda del corpo elettorale. Oggi, la vera protagonista della scena politica è una maggioranza silenziosa, moderata, riformista ma pragmatica, stanca di essere tirata per la giacca da entrambe le parti. Una fetta del Paese che non crede più nei referendum come strumento simbolico, e che chiede serietà, metodo, e rispetto per la complessità.
In un’Italia sempre più frammentata, questa maggioranza trasversale potrebbe diventare decisiva nei prossimi equilibri politici, a patto che qualcuno trovi il coraggio e la visione per rappresentarla davvero.
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