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Più libri più liberi e la censura: il veleno silenzioso della democrazia

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La mia prima copia del Mein Kampf  la trovai su una bancarella di libri nel cuore di Torino. In Piazza Solferino. Avevo 16-17 anni. Ricordo ancora l’odore dei libri usati, il sole che illuminava le pagine ingiallite, e il rumore della città che continuava a scorrere intorno a me mentre sfogliavo quelle pagine così cariche di storia e di orrore. Ero un ragazzo curioso, leggevo molto, affascinato dalla teoria della non violenza di Gandhi, immerso nella fantascienza e nella saggistica scientifica. Eppure, quel libro provocava in me un brivido diverso: inquietudine e desiderio di comprendere. Non per cattiveria, ma per il bisogno di capire, di conoscere, di confrontarmi.

La prima cosa che notai fu l’assenza di una casa editrice: era un libro autoprodotto. Immaginai subito quali potessero essere le diverse motivazioni dietro questa scelta. Oggi, però, le cose sono fortunatamente cambiate: lo si può trovare anche sul sito della Feltrinelli e stampato da decine di case editrici e disponibili su Amazon.

61ryNjECV6L._SY522_In quel libro non riuscii a trovare le motivazioni dell’enorme abisso di odio che ancora non capivo. Non capivo come potesse un uomo trascinare un intero popolo prima al genocidio e poi all’autodistruzione. Leggevo e rileggevo le parole, cercando di afferrare il senso, la logica interna di un’ideologia così devastante, e invece trovavo solo un abisso di violenza e fanatismo. Eppure, quella lettura era fondamentale: mi costringeva a pensare (avevo già letto Il diario di Anna Frank e anni dopo visitai la sua casa ad Amsterdam)  a non accontentarmi di spiegazioni superficiali, a confrontarmi con ciò che era stato e con ciò che poteva accadere se l’ignoranza e la paura prevalgono.

Più libri più liberi 

Proprio per questo non capirò mai le ragioni di chi decide di ritirarsi, di non entrare in una fiera del libro come Più Libri più Liberi per protesta contro testi che considera inaccettabili. Scegliere l’assenza come gesto morale è un’illusione di resistenza: è un modo elegante per evitare il confronto, per nascondersi dietro il proprio senso del giusto. Non è un atto di coraggio civile, è una resa preventiva. La democrazia non cresce nella bolla della propria coscienza, ma nel dibattito, nel dialogo con ciò che ci disgusta o ci inquieta. Ritirarsi non impedisce la circolazione delle idee, al contrario: le lascia incontrollate e incontestate, pronte a insinuarsi dove la curiosità e l’analisi sono assenti.

La censura delle Foibe e dell’esodo Giuliano Dalmata 

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Il libro FOIBE di Gianni Oliva è una delle più accurate ricostruzioni della storia. Consigliato!

È proprio questa curiosità, questo bisogno di capire, che la censura privata cerca di soffocare. Esistono libri che hanno minimizzato tragedie storiche, come le foibe e l’esodo giuliano-dalmata, scritti non da storici ma da militanti. Ovviamente non li citeremo per non promuoverli qui in quanto opere di discutibile fattura.

Questi libri Li abbiamo letti, non per approvarli, ma per capire le loro ragioni, per confrontarle e smontarle con argomentazioni. Allo stesso modo, ci siamo accostati ai titoli contestati di alcune case editrici: prima di giudicare, abbiamo scelto di leggere.

La conoscenza è l’antidoto alla propaganda; la fuga dall’incontro è il primo passo verso la censura.

La storia in famiglia l’abbiamo passata sulla nostra pelle: mia nonna era nata in Istria. E ancora oggi abbiamo parenti in quelle meravigliose terre. Per questo apprezzo gli storici: quelli veri, come Gianni Oliva, Giuseppe Parlato, Raoul Pupo, solo per citarne alcuni.

L’effetto paradosso della censura 

La censura ha sempre avuto un effetto paradosso: libri messi all’indice dalla Chiesa, o come quelli di Salman Rushdie, o titoli contestati per il loro contenuto politico o sociale, spesso hanno goduto di un periodo di maggiore notorietà proprio a causa del divieto. Chi pensa di difendere la democrazia ritirandosi, finisce per rafforzare l’effetto opposto: l’ignoranza e la paura continuano a crescere indisturbate.

La democrazia si fonda sul confronto, sul dialogo, sul diritto di esprimere opinioni anche scomode. La censura, invece, è un veleno silenzioso: nega questo confronto, protegge l’ignoranza, indebolisce la società. Non è solo repressione: è una rinuncia alla responsabilità civica. La democrazia non ha bisogno di atti simbolici di comodo, ha bisogno di cittadini che leggono, ascoltano, criticano.

Ogni libro letto, anche il più controverso, è un atto di difesa della libertà. Ogni rifiuto di leggere, ogni assenza dal confronto, è un passo verso l’oscurità del silenzio e dell’intolleranza. Curiosità, coraggio e confronto: solo così la democrazia può vivere davvero.

“I valori democratici sono sempre antifascisti. L’antifascismo non sempre è democratico”

711aSLzDLBL._SY522_È ciò che Sostiene Gianni Oliva, storico con una militanza politica a sinistra, figlio di un partigiano piemontese che ha combattuto in Val Sangone, che afferma come “noi italiani dovremmo sforzarci di costruire un’identità civile fondata sui valori democratici, non sull’antifascismo: perché i valori democratici sono sempre antifascisti, mentre l’antifascismo non sempre è democratico”.

Stalin è il primo esempio che gli viene in mente per rendere l’idea: “Era senz’altro un anti fascista di provata fede, eppure era violentemente illiberale”.

E allora capiremo come mai la frase attribuita a Winston Churchill: «In Italia sino al 25 luglio c’erano 45 milioni di fascisti; dal giorno dopo, 45 milioni di antifascisti. Ma non mi risulta che l’Italia abbia 90 milioni di abitanti» fotografa con la forza del sarcasmo la condizione di un paese che nel 1940 è entrato in guerra inneggiando all’aggressività fascista e tre anni dopo se ne è prontamente dimenticato.

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