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Chi paga davvero i dazi di Trump?

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Con il ritorno della politica tariffaria al centro del dibattito economico statunitense, si riapre una domanda fondamentale: chi paga davvero i dazi voluti da Donald Trump? La risposta, sebbene spesso distorta dal linguaggio politico, è piuttosto chiara agli economisti. Non sono i Paesi stranieri a sostenere il peso principale delle tariffe, bensì gli stessi Stati Uniti, attraverso le imprese importatrici e, soprattutto, i consumatori.

Cosa sono i dazi e come funzionano

Un dazio è una tassa applicata su un bene importato. Quando un’azienda statunitense acquista prodotti da un fornitore estero — ad esempio acciaio dalla Cina o componenti elettronici dal Messico — deve versare alla dogana americana una tariffa proporzionata al valore della merce. È l’importatore a pagare direttamente questo costo allo Stato.

Tuttavia, nessuna impresa accetta di ridurre i propri margini senza reagire. La scelta diventa quindi se assorbire il dazio, riducendo i profitti, oppure trasferirne il peso lungo la catena di produzione e distribuzione. Nella maggior parte dei casi, come dimostrano numerosi studi empirici, la seconda strada è quella prevalente: i prezzi finali aumentano e a pagare sono i consumatori americani.

Il mito dello “straniero che paga”

Trump ha spesso sostenuto che i dazi “fanno pagare i Paesi esteri”, presentandoli come un mezzo per riequilibrare rapporti commerciali considerati ingiusti. Questa narrazione è politicamente efficace, perché dà l’idea di far “pagare il conto” a nazioni concorrenti come la Cina.

Ma la realtà giuridica ed economica è diversa. Il governo cinese, ad esempio, non versa nulla alle casse statunitensi. A pagare è l’importatore americano, che per introdurre merce sul mercato interno deve affrontare la tassa. È vero che, per restare competitivi, alcuni produttori stranieri possono abbassare i loro prezzi, assorbendo una parte del dazio. Ma questo avviene solo in misura limitata, e comunque non cambia la sostanza: il grosso del costo ricade dentro i confini statunitensi.

Le prove empiriche

Tra il 2018 e il 2020, durante il primo mandato di Trump, l’amministrazione impose dazi massicci soprattutto su acciaio, alluminio e una vasta gamma di prodotti cinesi. Numerose ricerche accademiche hanno analizzato gli effetti. Il risultato è stato un aumento significativo dei prezzi per i consumatori americani e per le imprese che dipendono da componenti importate.

Ad esempio, diversi studi pubblicati dal National Bureau of Economic Research hanno stimato che oltre il 90% del costo dei dazi fu trasferito sui compratori finali negli Stati Uniti. In alcuni settori, come l’industria automobilistica e quella dei macchinari, le aziende si sono trovate a pagare di più sia per le importazioni sia per le forniture interne, perché i produttori americani hanno approfittato della protezione tariffaria per alzare i prezzi.

In altre parole, i dazi non solo hanno reso più costosi i beni importati, ma hanno anche spinto verso l’alto il prezzo dei beni prodotti negli Stati Uniti, riducendo la competitività complessiva dell’economia.

Chi perde e chi guadagna

Gli effetti non sono uniformi. Alcuni settori, come quello siderurgico, hanno tratto beneficio dalla protezione doganale. Le aziende americane dell’acciaio hanno potuto vendere a prezzi più alti senza temere la concorrenza cinese a basso costo.

Ma per ogni industria protetta, decine di altre hanno subito contraccolpi. Le imprese che utilizzano acciaio o alluminio per produrre automobili, elettrodomestici o infrastrutture hanno visto crescere i costi di produzione. I consumatori, dal canto loro, hanno dovuto affrontare aumenti di prezzo in beni di uso quotidiano, dagli utensili da cucina ai computer.

Secondo stime della Tax Foundation, i dazi introdotti da Trump hanno avuto l’effetto di una vera e propria tassa indiretta sulle famiglie americane, equivalente a centinaia di dollari l’anno per nucleo familiare.

Le nuove prospettive

Con l’ipotesi di nuove tariffe nel 2025, il dibattito si riaccende. Trump continua a difendere i dazi come strumento per proteggere i lavoratori americani e ridurre il deficit commerciale. Ma la lezione del passato rimane: se è vero che alcune industrie ottengono un vantaggio momentaneo, il costo complessivo è pagato dalla collettività.

In ultima analisi, i dazi non sono una tassa “contro gli altri”. Sono una tassa che gli Stati Uniti scelgono di imporre a se stessi. Dietro la retorica politica, il conto ricade sui consumatori e sulle imprese americane, che finiscono per pagare prodotti più cari e avere meno scelta.

Riferimenti Accademici e Studi

  1. Amiti, M., Redding, S. J., & Weinstein, D. E. (2020).
    “Who’s Paying for the US Tariffs? A Longer-Term Perspective.” National Bureau of Economic Research Working Paper No. 26610.
    Questo studio esamina l’incidenza dei dazi sulle imprese e sui consumatori statunitensi, evidenziando che la maggior parte dei costi è sostenuta internamente. NBER

  2. Amiti, M., Redding, S. J., & Weinstein, D. E. (2019).
    “The Impact of the 2018 Tariffs on Prices and Welfare.” Journal of Economic Perspectives, 33(4), 187–210.
    Analizza l’effetto dei dazi del 2018 sui prezzi e sul benessere dei consumatori, concludendo che i costi sono stati quasi interamente trasferiti ai consumatori statunitensi. Associazione Economica Americana

  3. Fajgelbaum, P., et al. (2021).
    “The Economic Impacts of the US-China Trade War.” National Bureau of Economic Research Working Paper No. 29315.
    Esamina gli effetti economici della guerra commerciale tra Stati Uniti e Cina, con particolare attenzione alle ripercussioni sui consumatori. NBER


Fonti Istituzionali e Media

  1. Tax Foundation (2025).
    “Trump Tariffs: The Economic Impact of the Trump Trade War.”
    Stima che i dazi introdotti abbiano comportato un aumento medio delle tasse di quasi $1.300 per famiglia negli Stati Uniti nel 2025. Tax Foundation

  2. Federal Reserve (2025).
    “Detecting Tariff Effects on Consumer Prices in Real Time.”
    Analizza l’impatto immediato dei dazi sui prezzi dei beni di consumo, indicando un aumento del 0,3% nei prezzi dei beni core. Federal Reserve

  3. Goldman Sachs (2025).
    “US consumers will bear brunt of Trump’s tariffs, say Goldman Sachs economists.”
    Un rapporto evidenzia che la quota dei costi sostenuti dai consumatori statunitensi è destinata ad aumentare al 67%, mentre quella delle imprese diminuirà. New York Post

  4. Washington Post (2025).
    “Trump’s fresh tariffs could inflate consumer prices in months to come.”
    Analizza le potenziali conseguenze dei nuovi dazi settoriali annunciati nel settembre 2025, prevedendo un aumento significativo dei prezzi per i consumatori. The Washington Post

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