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No, non andremo su Marte, e se ci andremo sarà un disastro

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Nel 2025, intraprendere una missione con equipaggio su Marte con ritorno sicuro equivale, dal punto di vista tecnico e operativo, a organizzare un barbecue in una tempesta di sabbia in Antartide. È un’impresa ad altissimo rischio, con probabilità di successo estremamente basse. E tra trent’anni? Forse, entro il 2055, l’umanità potrebbe raggiungere il pianeta rosso con maggiori garanzie. Tuttavia, l’idea di una colonia marziana autosufficiente, come immaginata da Elon Musk, resta al momento una visione da fantascienza, con una probabilità di realizzazione stimata intorno al 20-30%.

La situazione nel 2025: tra ambizione e limiti tecnologici

A oggi, il protagonista indiscusso della narrazione pubblica è SpaceX con il suo veicolo Starship. Nonostante il clamore mediatico e i traguardi nei voli orbitali, la realtà è che nessuna missione con equipaggio è ancora stata effettuata. I razzi riutilizzabili, pur rappresentando un’evoluzione nel trasporto spaziale, sono ancora in fase sperimentale, con esiti spesso incerti.

La NASA, ente con una lunga tradizione scientifica e ingegneristica, mantiene una prospettiva più prudente, mirando a missioni marziane con equipaggio tra il 2035 e il 2040. Anche la Cina, con il suo programma spaziale in forte espansione, evita promesse premature. I ritardi nei programmi spaziali sono la norma: pianificazione, test e sicurezza richiedono tempi lunghi e risorse ingenti.

Il viaggio verso Marte: un’odissea biomedica

Il tragitto Terra-Marte richiede attualmente tra i 6 e i 9 mesi, durante i quali gli astronauti sarebbero esposti a radiazioni cosmiche e solari che aumentano significativamente il rischio oncologico e immunitario. Le soluzioni proposte – come scudi in polietilene o serbatoi d’acqua disposti attorno ai moduli abitativi – offrono una protezione parziale e inadeguata per missioni di lunga durata o con equipaggi numerosi.

Una volta atterrati, le sfide aumentano. L’ambiente marziano è estremo: temperature medie di circa -60°C, atmosfera composta per il 96% da anidride carbonica, pressione atmosferica irrisoria e livelli di radiazioni potenzialmente letali. Gli habitat proposti – come il modulo HERA della NASA o le strutture gonfiabili di SpaceX – sono ancora in fase di sviluppo e test simulati. L’idea di costruire strutture con regolite marziana tramite stampa 3D è promettente, ma ancora confinata a esperimenti in laboratorio.

Sopravvivenza marziana: tra esperimenti e ostacoli concreti

Sopravvivere su Marte richiede una catena logistica e tecnologica estremamente complessa. Il prototipo MOXIE, che genera ossigeno dall’atmosfera marziana, ha dimostrato la fattibilità teorica del processo, ma su scala ridotta. Il riciclo dell’acqua e la coltivazione di cibo in loco sono complicati dalla presenza di polveri sottili pervasive che compromettono sistemi meccanici e pannelli solari.

L’energia solare, infatti, è meno efficace su Marte a causa della maggiore distanza dal Sole. La fonte alternativa, ovvero l’energia nucleare tramite piccoli reattori, è ancora oggetto di ricerca. Anche la produzione in situ di carburanti per il ritorno – ad esempio tramite il processo Sabatier per ottenere metano e ossigeno – è, per ora, una soluzione in fase concettuale.

Le probabilità di portare con successo un equipaggio su Marte entro il 2030 sono stimate tra il 10 e il 20%. Le possibilità di sopravvivere per alcuni mesi in un habitat, tra il 50 e il 60%. Restare anni in sicurezza? Appena il 20-30%, a seconda del livello di autonomia e affidabilità delle tecnologie impiegate.

Il corpo umano nello spazio: una macchina fragile

L’esposizione prolungata alla microgravità comporta conseguenze fisiologiche significative. Gli astronauti perdono in media l’1-2% di densità ossea al mese, con un indebolimento complessivo del 10-15% in una sola missione. L’atrofia muscolare può raggiungere il 30%, nonostante esercizio fisico quotidiano. Il sistema cardiovascolare si decondiziona e si verificano redistribuzioni dei fluidi corporei verso l’alto, causando aumento della pressione intracranica e disturbi visivi (fenomeni riportati nel 20-30% degli astronauti).

Le radiazioni e l’isolamento prolungato influiscono sul sistema immunitario e sulla salute mentale, con aumenti dei livelli di ansia, insonnia e depressione. Anche se Marte ha una gravità pari al 38% di quella terrestre, ciò non è sufficiente a prevenire il deterioramento fisiologico dell’organismo umano.

Il futuro: scenari per il 2055

Entro il 2055, alcuni progressi significativi potrebbero rendere le missioni marziane più accessibili. Sistemi di propulsione nucleare o elettrica potrebbero dimezzare i tempi di viaggio a 3-4 mesi, riducendo l’impatto fisiologico e psicologico del volo. La stampa 3D con regolite potrebbe permettere la costruzione di basi semi-interrate, offrendo protezione da radiazioni e temperature estreme. I reattori nucleari compatti potrebbero alimentare le infrastrutture essenziali.

L’estrazione di acqua dai depositi di ghiaccio, la produzione di cibo in serre idroponiche o aeroponiche, e la generazione in loco di carburante renderebbero le missioni meno dipendenti dai rifornimenti terrestri. Le probabilità di riuscire in una missione di lunga durata migliorano sensibilmente: 70-80% di probabilità di arrivare, 60-70% di sopravvivere per anni in una base adeguatamente progettata. Ma una colonia autosufficiente con migliaia di abitanti resta, anche in questo scenario ottimistico, un traguardo lontano, con possibilità attorno al 20-30%.

Visioni, propaganda e realtà

L’entusiasmo e la visione di Elon Musk hanno avuto un impatto rilevante nel riaccendere l’interesse per l’esplorazione spaziale. Tuttavia, la retorica futuristica spesso veicola aspettative irrealistiche. La realtà marziana non è quella di un “parco giochi” colonizzabile con un tweet. Le sfide tecniche, mediche, logistiche ed economiche sono enormi, e richiedono cooperazione internazionale, rigore scientifico e investimenti sostenuti nel tempo.

Più che una “città marziana” nello stile delle megalopoli spaziali immaginate da Musk, uno scenario realistico per la metà del XXI secolo potrebbe essere una base scientifica internazionale, simile alla Stazione Spaziale Internazionale, ma su scala più avanzata.

Il sogno marziano è affascinante, ma confondere desideri e realtà è pericoloso. L’esplorazione del pianeta rosso sarà possibile solo attraverso l’applicazione rigorosa del metodo scientifico, la collaborazione tra agenzie spaziali e il superamento di ostacoli concreti, non con slogan accattivanti o promesse irrealistiche. Per ora, restiamo con i piedi per Terra: coltiviamo competenze, sperimentiamo tecnologie e prepariamoci seriamente, perché su Marte non ci sarà spazio per l’improvvisazione.

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