Nella storia della tecnologia italiana, pochi nomi brillano con la luce di un genio innovatore quanto quello di Mario Tchou. Ingegnere elettronico di origini cinesi nato a Roma nel 1924, Tchou è stato uno dei protagonisti di una storia che unisce ingegno, visione industriale e tragedia, una storia di quello che avrebbe potuto essere e che invece, per circostanze misteriose e politiche, non è stato. La sua vita e il suo lavoro alla Olivetti rappresentano uno dei capitoli più affascinanti e meno conosciuti della rivoluzione informatica del XX secolo.
Dalle origini al ritorno in Italia
Mario Tchou nasce nel cuore di Roma da una famiglia di origine cinese. Sin da giovane dimostra una predisposizione straordinaria per la matematica e l’elettronica. Dopo gli studi di ingegneria al Politecnico di Torino, il suo talento lo porta negli Stati Uniti, dove consegue un dottorato in elettronica alla Columbia University e alla University of Pennsylvania. Qui, Tchou entra in contatto con le prime sperimentazioni sui calcolatori elettronici: macchine enormi, ingombranti e ancora basate su valvole termoioniche, con prestazioni limitate e un’affidabilità precaria.
Il contesto tecnologico statunitense degli anni ’50 è quello della corsa al computer: IBM e altre aziende americane stanno sperimentando macchine che, in pochi anni, rivoluzioneranno la produzione, l’economia e la scienza. Tchou, con la sua mente brillante e la conoscenza avanzata dell’elettronica digitale, capisce che il futuro dell’informatica non sarà solo negli Stati Uniti, ma che anche l’Europa potrebbe avere un ruolo se accompagnata da visione industriale e investimenti adeguati.
Nel 1955 Tchou torna in Italia, portando con sé competenze rare e preziose. L’Olivetti, nota allora principalmente per le macchine da scrivere meccaniche e calcolatrici, vede in lui il talento giusto per aprire un nuovo capitolo: il computer elettronico italiano.
La nascita del progetto Elea
L’Olivetti, sotto la guida del visionario Adriano Olivetti, ha sempre puntato sull’innovazione. La filosofia aziendale non è solo quella di produrre macchine affidabili e belle dal punto di vista estetico, ma anche di anticipare il futuro. Nel 1956 nasce il progetto Elea (Elaboratore Elettronico Aritmetico), con Mario Tchou come direttore scientifico.

Il team che Tchou mette insieme è eccezionale: ingegneri elettronici, matematici, tecnici altamente specializzati. Tra loro, figure come Franco Pella e Giovanni De Sandre contribuiranno a sviluppare quello che sarà uno dei primi computer transistorizzati al mondo. L’Elea non utilizza più le tradizionali valvole termoioniche, instabili e soggette a guasti frequenti, ma transistor, componenti più piccoli, più affidabili e con consumi ridotti. In pratica, Olivetti stava progettando una macchina non solo tecnologicamente avanzata, ma anche industrialmente scalabile.
L’Elea 9003, il primo modello prodotto in serie, rappresenta un salto straordinario nella storia dell’informatica. La macchina è in grado di calcolare a velocità impensabili per l’epoca, con un’architettura modulare che permette di aggiornare e personalizzare l’hardware secondo le esigenze. Il linguaggio macchina sviluppato dal team di Tchou è sofisticato e anticipa concetti che saranno comuni solo negli anni successivi.
Un progetto avanti rispetto ai tempi
È importante sottolineare quanto l’Elea fosse avanzata rispetto ai competitor americani. IBM, ad esempio, pur essendo un gigante del settore, era ancora legata a sistemi più ingombranti e meno flessibili. Olivetti, grazie a Tchou, proponeva un computer compatto, elegante, affidabile e con prestazioni pari o superiori a quelle dei modelli americani.
Dal punto di vista industriale, l’Elea avrebbe potuto posizionare l’Italia come leader mondiale nell’informatica. Il progetto rappresentava un equilibrio perfetto tra innovazione tecnologica e visione industriale: Tchou non si limitava a creare una macchina da laboratorio, ma una vera e propria linea di produzione che poteva competere sui mercati internazionali.
Tuttavia, il contesto italiano dell’epoca non era ancora pronto per sostenere una rivoluzione di questo tipo. L’industria italiana era concentrata su settori tradizionali, e il mercato dei computer era ancora percepito come di nicchia. La sfida non era solo tecnica, ma anche culturale e politica: portare l’Italia nell’era dei calcolatori elettronici richiedeva coraggio e lungimiranza.
La tragica fine di Mario Tchou
Il destino di Mario Tchou si intreccia con il mistero. Il 25 marzo 1961, a soli 37 anni, Tchou muore in un incidente stradale a Milano. Le circostanze dell’incidente hanno sempre alimentato dubbi e sospetti: alcuni sostengono che la sua morte possa essere stata orchestrata per ragioni economiche o politiche, data la portata rivoluzionaria del progetto Elea e il suo potenziale impatto internazionale.
La morte di Tchou segna un punto di svolta drammatico per la Olivetti. Senza il suo leader visionario, il progetto perde direzione e slancio. L’azienda, che aveva tutte le carte in regola per diventare un colosso dell’informatica mondiale, inizia a rallentare gli investimenti nella divisione computer. Nei decenni successivi, la divisione Elea sarà progressivamente smantellata e venduta, segnando la fine di quello che avrebbe potuto essere un impero tecnologico italiano.
Cosa avrebbe potuto diventare la Olivetti
È difficile non chiedersi: cosa sarebbe successo se Tchou fosse sopravvissuto? Se l’Italia avesse deciso di puntare seriamente sul progetto Elea?
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Leader mondiale nel computer: Olivetti avrebbe potuto competere con IBM, DEC e altri giganti americani. Il design e la tecnologia dell’Elea erano all’avanguardia; un’adeguata strategia di marketing e produzione avrebbe potuto portare Olivetti a dominare il mercato internazionale.
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Sviluppo di software proprietario: oltre all’hardware, Olivetti avrebbe potuto diventare un centro di sviluppo software europeo, anticipando la rivoluzione dei sistemi operativi e dei linguaggi di programmazione.
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Innovazione industriale italiana: la produzione di computer avanzati avrebbe stimolato l’intera catena industriale italiana, creando competenze, posti di lavoro e una reputazione internazionale nella tecnologia.
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Cultura digitale: un successo di Olivetti avrebbe potuto accelerare la diffusione dei computer in Italia, anticipando la digitalizzazione di imprese e università.
In altre parole, Tchou e l’Elea rappresentano una sorta di “what if” storico: il sogno di un’Italia tecnologicamente all’avanguardia, spazzato via da fatalità e scelte industriali conservatrici.
L’eredità di Mario Tchou
Nonostante la fine tragica e prematura, l’eredità di Tchou rimane viva. La Storia dell’informatica italiana lo ricorda come uno dei pionieri del settore, un uomo che aveva capito il futuro prima di molti altri e che aveva il coraggio di provarci. L’Elea stessa, pur non avendo avuto un impatto commerciale globale, resta un capolavoro di ingegneria e design industriale: un esempio di come l’Italia potesse, almeno per un momento, competere con le grandi potenze tecnologiche.
Musei come il Museo Nazionale della Scienza e della Tecnologia di Milano conservano esemplari di Elea, ricordando non solo il computer, ma anche il sogno di un’Italia innovativa e pionieristica. Molti ingegneri e storici sottolineano come il lavoro di Tchou abbia posto le basi concettuali per lo sviluppo dell’informatica moderna, anche se tardivamente riconosciuto.
Riflessioni finali
La storia di Mario Tchou è un esempio lampante di come genio e contesto possano scontrarsi. Tchou aveva le competenze, la visione e il coraggio, ma la società, le circostanze politiche e la tragica fatalità hanno impedito la realizzazione piena del suo progetto. L’Olivetti Elea rimane uno dei simboli del potenziale italiano non realizzato: una macchina straordinaria, una mente brillante, un futuro che non c’è stato.
Raccontare Tchou significa ricordare che l’innovazione non nasce solo dal talento individuale, ma anche dal coraggio delle istituzioni, delle aziende e della società di sostenere le visioni audaci. La sua vicenda è una lezione di ingegno, lungimiranza e, purtroppo, di opportunità perdute.
Mario Tchou non è solo una figura del passato: è un simbolo di ciò che l’Italia avrebbe potuto diventare nel mondo della tecnologia e dell’innovazione. La Olivetti Elea rimane la testimonianza concreta di un sogno che, pur incompiuto, continua a ispirare ingegneri, innovatori e appassionati di tecnologia in tutto il mondo.

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