di Claudio Pasqua
Io li capisco, i trumpiani. Li comprendo davvero.
L’elezione di Zohran Mamdani a sindaco di New York deve avergli fatto male, molto male. Lo si evince dai loro commenti a sfondo razzista sui social, primo tra tutti quello dello stesso Trump “Un ebreo che vota per Mamdani, che odia gli ebrei, è uno stupido“. Vedere la “capitale del capitalismo mondiale” eleggere un musulmano socialista di 34 anni – per di più nato in Uganda e cresciuto nel Queens – dev’essere sembrato un esperimento di fantascienza progressista. Ma questa, piaccia o no, si chiama democrazia: il potere di un popolo che cambia idea.
Mamdani, sostenuto dall’ala sinistra del Partito Democratico — quella di Bernie Sanders e Alexandria Ocasio-Cortez — ha compiuto un piccolo terremoto politico. Ha battuto Andrew Cuomo, ex governatore e figura storica dell’establishment democratico, e ha messo KO la coppia Trump–Musk, che aveva scommesso su di lui come argine “moderato” al vento socialista. A seggi chiusi, Mamdani ha superato il 50%, lasciando Cuomo dieci punti indietro e relegando il repubblicano Curtis Sliwa sotto il 10%.
Una vittoria netta, ma soprattutto simbolica: la città che ha dato i natali a Donald Trump ha appena eletto il suo opposto. E Mamdani, nel discorso della vittoria, non ha perso tempo: “Se qualcuno può mostrare a una nazione tradita da Trump come sconfiggerlo, quella è la città che lo ha fatto nascere. Donald, so che stai guardando: turn the volume up”.
Un socialista alla guida della città dei miliardari
È difficile sopravvalutare la portata storica di questa elezione. New York non aveva un sindaco così giovane da oltre un secolo, e non aveva mai avuto un sindaco musulmano. Eppure, Mamdani non si è presentato come simbolo identitario, ma come strumento di rottura: bus gratuiti, affitti calmierati, supermercati comunali, e tasse più alte per i ricchi. Un programma che, in altri tempi, sarebbe stato liquidato come utopia; oggi, con una città che fatica a permettersi se stessa, è apparso come la più concreta delle promesse.
Non tutti, naturalmente, hanno festeggiato. Trump lo ha definito “un comunista antisemita”, il console generale di Israele lo ha descritto come “un pericolo immediato per la comunità ebraica”, e i canali conservatori lo hanno dipinto come il primo passo verso la “Venezuelizzazione” di Manhattan. Risultato: affluenza record, oltre due milioni di votanti — il dato più alto dal 1969.
L’America che cambia (anche se Trump non lo ammette)
Mentre Mamdani conquistava New York, altre due donne scrivevano la storia: Mikie Sherrill in New Jersey e Abigail Spanberger in Virginia, prime governatrici dei rispettivi Stati. Tre vittorie democratiche in una sola notte — un “tris” che segna il primo, pesante campanello d’allarme per Trump, a un anno dalle prossime elezioni di midterm.
Il tycoon ha reagito come da copione: “Ho perso solo perché non ero sulla scheda”. Una frase che, più che una giustificazione, suona come una diagnosi. Ma la verità è che qualcosa si muove: l’America, nonostante le sue divisioni, sembra voler respirare un’aria diversa.
Un socialista alla guida di New York, tra sogno e realtà
Certo, non tutti nel Partito Democratico stappano lo champagne. Per molti analisti, New York resta un laboratorio a parte: una città liberal in uno stato liberal, più specchio delle contraddizioni urbane che del resto del Paese. Eppure, Mamdani rappresenta qualcosa che i dem non possono più ignorare: la fame di cambiamento. Una generazione di elettori che non si riconosce né nel progressismo patinato né nel centrismo compromissorio.
Lui e la sua mentore, Alexandria Ocasio-Cortez, incarnano la nuova grammatica politica americana: inclusiva, arrabbiata, visionaria. Non è detto che conquisterà la Casa Bianca, ma di certo ha riconquistato l’attenzione — e l’immaginazione — di milioni di giovani.
Una vittoria che pesa come un segnale
Per ora, Mamdani si gode il momento. “Non mi farò intimidire da questo presidente”, ha detto, riferendosi a Trump. “Sono parole, non è legge”. E in effetti, le sue parole ora sono quelle che contano: quelle di un sindaco socialista che governerà la città più ricca del mondo, patria di 123 miliardari dal valore complessivo di 759 miliardi di dollari.
Sì, io li capisco, i trumpiani. Li capisco davvero.
Vedere New York applaudire un sindaco musulmano socialista deve sembrare, per loro, un segno dell’apocalisse. Ma per il resto dell’America — e forse del mondo — potrebbe essere invece il primo segno di rinascita.

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