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L’aspettativa di vita a Gaza crolla di 35 anni: l’allarme lanciato da The Lancet sul genocidio in corso

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Una delle più autorevoli riviste scientifiche del mondo, The Lancet, ha pubblicato una lettera firmata da oltre 3.300 studiosi internazionali che denuncia una delle conseguenze più drammatiche dell’offensiva militare su Gaza: il crollo dell’aspettativa di vita nella Striscia, ridotta di ben 35 anni. Il documento, intitolato Break the selective silence on the genocide in Gaza, invita il mondo accademico e sanitario a uscire da un silenzio definito “selettivo” e a riconoscere pubblicamente la tragedia umanitaria in atto.

Una crisi sanitaria senza precedenti

Secondo lo studio, la popolazione di Gaza sta vivendo un deterioramento sanitario paragonabile – se non peggiore – a quello registrato durante il genocidio in Ruanda nel 1994. A Gaza, il collasso del sistema sanitario, unito alla malnutrizione diffusa, alla carenza d’acqua e alle continue operazioni militari, ha causato un crollo della speranza di vita che gli autori dello studio definiscono “devastante”.

Ad essere più colpiti sono i bambini: dal 7 ottobre 2023, Gaza ha registrato il numero più alto al mondo di decessi e amputazioni infantili legati a un conflitto armato. La distruzione sistematica degli ospedali e delle infrastrutture sanitarie ha lasciato un’intera popolazione senza cure. Tra ottobre 2023 e maggio 2025, si contano 125 attacchi documentati a strutture mediche, 34 contro ospedali e 186 su ambulanze, con oltre 1.400 operatori sanitari uccisi.

Il silenzio delle istituzioni accademiche

Lo studio condanna anche l’atteggiamento di molte organizzazioni mediche e scientifiche, accusate di non aver preso una posizione chiara su quanto accade in Palestina. A differenza della guerra in Ucraina, in cui il mondo accademico occidentale ha mostrato ampia solidarietà, nel caso di Gaza prevale un inquietante silenzio. Gli autori denunciano una solidarietà a “geometria variabile”, basata su criteri impliciti di appartenenza etnica, geografica o politica.

Come sottolineato nel testo, “esprimere empatia selettiva verso alcuni popoli e ignorare altri contribuisce a normalizzare le disuguaglianze e legittimare la violenza”.

Una voce italiana tra i promotori

Tra i firmatari dell’appello spicca il nome del professor Roberto De Vogli, docente presso il Dipartimento di Psicologia dello Sviluppo e della Socializzazione dell’Università di Padova. Insieme a lui, altri studiosi come Ghassan Abu-Sittah, Jonathan Montomoli e lo storico Ilan Pappé hanno contribuito a costruire una documentazione scientifica rigorosa sull’impatto devastante dell’occupazione e del blocco su Gaza.

Il loro impegno ha già prodotto risultati concreti: tre importanti organismi internazionali – l’Alleanza Europea per la Sanità Pubblica, l’Associazione Europea per la Sanità Pubblica e la Federazione Mondiale delle Associazioni di Sanità Pubblica – hanno finalmente riconosciuto ufficialmente il genocidio in atto.

“Il silenzio non è un’opzione”

La lettera pubblicata su The Lancet si conclude con un appello diretto e potente: “Il silenzio non è un’opzione”. Gli studiosi chiedono a tutte le istituzioni accademiche, ai professionisti della salute e agli operatori dell’informazione di assumersi la responsabilità etica collettiva di fronte a questa emergenza morale.

Continuare a tacere, secondo i firmatari, significa essere complici. E il rischio, se si continuerà a ignorare la tragedia in corso, è quello di essere ricordati non per ciò che si è fatto, ma per ciò che non si è detto né fatto nei momenti più bui dell’umanità.


Gaza oggi è un simbolo di sofferenza collettiva, e la comunità scientifica ha il dovere morale di rompere il muro dell’indifferenza. Parlare, denunciare e documentare è il primo passo per arginare l’impunità e riaffermare i principi fondamentali dei diritti umani e della dignità umana.

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