Storia

L’architetto Andrea Bruno, ancora guida

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Nel suo articolo dedicato al restauro di Palazzo Carignano e al significato più profondo della pratica conservativa, l’architetto Piero Luigi Carcerano ci guida in un’analisi lucida e appassionata sul tema della tutela del patrimonio storico, coniugando esperienze personali, teoria del restauro e riflessioni di forte valore etico e politico.

Arch. Andrea Bruno. Foto di Nevo Cohen
Arch. Andrea Bruno. Foto di Nevo Cohen

L’autore, Presidente della Commissione Comunicazione ed Editoria di INBAR e Vicedirettore di Interiorissimi, parte dalla propria esperienza sul campo al fianco dell’ArchAndrea Bruno, recentemente scomparso,  uno dei più autorevoli protagonisti del restauro italiano, per raccontare non solo le fasi operative di un intervento complesso come quello di Palazzo Carignano, ma anche il passaggio epocale dall’analogico al digitale, dagli strumenti manuali ai primi rilievi tridimensionali informatizzati. In questo senso, il restauro diventa paradigma della transizione culturale che attraversa l’intera disciplina dell’architettura.

Carcerano si oppone con decisione tanto alla conservazione notarile e museale, incapace di generare vita, quanto al narcisismo progettuale, che usa lo storico come fondale per esibizioni formali. Propone invece una terza via: il restauro critico, che accetta la mutazione come condizione autentica del patrimonio. Una visione profondamente influenzata da studiosi come Bruno Zevi, Gillo Dorfles e Tomás Maldonado, chiamati in causa non come citazioni accademiche, ma come compagni di pensiero in un dialogo vivo.

Tra i molti passaggi efficaci, spicca l’analisi sul destino della sala ipogea di Palazzo Carignano, costruita ma mai attivata: un caso esemplare che dimostra come l’assenza di funzione equivalga a un’aggressione passiva al patrimonio, più insidiosa del tempo o delle intemperie. Carcerano sostiene con forza che l’autenticità non stia nell’immobilità, bensì nell’uso consapevole e reversibile, capace di adattarsi senza snaturare.

L’articolo colpisce anche per il linguaggio preciso e poetico insieme: immagini come “l’antico che diventa cassa armonica per dissonanze contemporanee” o “lasciami vedere l’assenza, fammi sentire il respiro del tempo che è passato” sintetizzano una filosofia del restauro che è, prima di tutto, esercizio di ascolto e responsabilità. L’architettura storica viene letta come palinsesto vivente, da interrogare con strumenti scientifici ma anche con sensibilità umana.

L’intervento di Carcerano si configura come un importante contributo al dibattito contemporaneo sul restauro: una riflessione matura, ancorata all’esperienza e aperta al futuro, che rilancia l’idea di un’architettura non celebrativa ma civile, fatta per essere vissuta, attraversata, trasformata. In un’epoca in cui la rendita turistica e l’estetica del “falso antico” rischiano di snaturare il senso stesso del patrimonio, la voce di Carcerano – con la sua lucidità e il suo impegno etico – risuona come un appello necessario alla cura autentica del nostro passato.

Per approfondire:

Arch. Piero Luigi Carcerano – Palazzo Carignano reloaded: dalle pietra al gemello digitale 

 

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