Domenica 19 ottobre 2025, verso le 9:30, nella Galleria di Apollo del Louvre – dove sono custoditi i Gioielli della Corona – quattro uomini travestiti da manutentori compiono quello che sarà ricordato come il furto del secolo. Con un taglio netto aprono una finestra, sfondano due teche blindate e rubano un diadema, un collier e degli orecchini appartenuti a regine e imperatrici dell’Ottocento. Il valore stimato del bottino supera gli 88 milioni di euro, ma per gli inquirenti il danno più grave è quello simbolico e storico: una ferita al patrimonio culturale francese più visitato al mondo.
Le indagini hanno ricostruito l’azione: una piattaforma mobile arriva davanti alla facciata, una porta-finestra viene forzata, scattano gli allarmi, i custodi intervengono. Ma i ladri restano all’interno per meno di quattro minuti: la piattaforma li riporta a terra e le moto li portano via. Sul pavimento rimane solo la corona dell’imperatrice Eugenia, caduta nella fretta. Gli altri otto oggetti spariscono, e il museo chiude temporaneamente mentre Interpol inserisce le schede dei gioielli rubati nella banca dati internazionale.
Tra gli oggetti sottratti ci sono un diadema di zaffiri e gioielli associati a Marie-Amélie, Hortense e Maria Luisa, oltre alla spilla a fiocco dell’imperatrice Eugenia. Il valore storico è considerato inestimabile. Gli indizi suggeriscono l’azione di un gruppo organizzato; in pochi giorni vengono effettuati arresti e perquisizioni, ma i gioielli rimangono irrintracciabili.
Le autorità reagiscono con prudenza: inizialmente si sottolinea che telecamere e allarmi erano attivi e funzionanti. Successivamente, la ministra della Cultura ammette “mancanze nella sicurezza” e avvia un’inchiesta amministrativa parallela. La direttrice del museo segnala che la videosorveglianza esterna era insufficiente e presentava zone cieche. Anche alcuni senatori evidenziano standard non aggiornati al XXI secolo e chiedono accelerazioni negli investimenti previsti dal piano “Louvre New Renaissance”.
Un dettaglio clamoroso riguarda la cybersicurezza: secondo documenti del 2014, la password del server della videosorveglianza era semplicemente “Louvre”, mentre quella del software Thales era “Thales”. Si tratta di errori classici: password ovvie, mai cambiate, che compromettono l’intero sistema di sicurezza fisica e digitale. L’ANSSI aveva già segnalato il rischio di accessi non autorizzati che avrebbero potuto facilitare furti.
Il sistema di sicurezza integrato del Louvre – gestito da Thales dal 2018 – combina badge, telecamere e allarmi in un’unica piattaforma. È efficiente se regolato con policy solide, ma vulnerabile se si usano credenziali deboli, autorizzazioni troppo generose o aggiornamenti parziali. Le valutazioni precedenti avevano già evidenziato problemi strutturali: copertura esterna incompleta, personale ridotto, tempi di reazione brevi per chi attacca velocemente.
In risposta allo scandalo, la politica prevede nuovi investimenti: aumento delle telecamere, maggiore controllo del perimetro, divieti di sosta e persino una presenza di polizia interna. Tuttavia, restano da definire aspetti operativi come gare d’appalto, integrazione dei sistemi, formazione del personale e policy di sicurezza informatica.
In meno di una settimana la polizia giudiziaria annuncia i primi arresti: due uomini con precedenti, collegati a un gruppo di quattro, vengono fermati, mentre gli altri gioielli restano mancanti. Gli esperti ricordano che se i gioielli vengono smontati, la tracciabilità diventa quasi impossibile, e le ricerche si concentrano su laboratori e canali di mercato internazionali.
La sicurezza museale si basa su tre livelli: il perimetro (facciate, tetti, finestre), la reazione (tempi e protocolli degli agenti) e l’integrazione tecnologica (come allarmi e telecamere comunicano tra loro). Nel caso del Louvre, le lacune principali riguardano il perimetro: telecamere mal posizionate, balconi non protetti, accessi raggiungibili con strumenti mobili. Quando un allarme suona ma i ladri riescono a scappare in pochi minuti, significa che anche la componente umana va ottimizzata.
La vicenda insegna che la sicurezza digitale è fondamentale: password ovvie, riuso delle credenziali e mancanza di autenticazione a più fattori aumentano enormemente i rischi. Thales e altri fornitori da anni consigliano sistemi di autenticazione più robusti, ma l’implementazione pratica spesso manca.
Infine, il furto non riguarda solo il Louvre: collezioni di valore in tutta Europa rischiano vulnerabilità simili. L’attenzione non deve riguardare solo tecnologia e telecamere, ma anche formazione del personale, manutenzione delle teche e sicurezza esterna. Proteggere un museo significa bilanciare accesso e sicurezza, accoglienza e barriere. Se dieci anni fa le password erano banali e alcune telecamere non guardavano dove dovevano, l’intero sistema deve essere aggiornato per ridurre le possibilità di furti futuri.

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