Il 22 luglio 2025 è scomparso Ozzy Osbourne, leggendaria voce dei Black Sabbath, all’età di 76 anni. La notizia ha rapidamente fatto il giro del mondo, non solo per il peso della figura pubblica, ma anche perché Osbourne negli ultimi anni aveva parlato apertamente della sua lotta contro una forma genetica del morbo di Parkinson, legata al gene PRKN. La sua morte, sebbene le cause ufficiali non siano state rese note, ha riportato l’attenzione su una malattia tanto diffusa quanto complessa e ancora, in molti aspetti, misteriosa.
Parkinson: una malattia neurodegenerativa complessa
Il morbo di Parkinson è una malattia neurodegenerativa cronica e progressiva che colpisce soprattutto le aree del cervello responsabili del controllo dei movimenti. Secondo il National Institute on Aging, i sintomi principali includono tremori a riposo, rigidità muscolare, lentezza nei movimenti (bradicinesia) e problemi di equilibrio. Ma la malattia può manifestarsi anche con sintomi non motori, come disturbi del sonno, depressione, ansia e declino cognitivo.
La patologia interessa principalmente persone sopra i 60 anni, ma esistono varianti a esordio precoce che, in alcuni casi, sono collegate a mutazioni genetiche specifiche. Tra queste, la mutazione del gene PRKN—che codifica per una proteina chiamata parkin—è tra le più studiate. Il PRKN è fondamentale per la funzione mitocondriale e la degradazione delle proteine danneggiate all’interno delle cellule nervose. Quando questo processo non funziona correttamente, si accumulano tossine cellulari che possono contribuire alla morte dei neuroni dopaminergici.
La forma genetica: il caso PRKN
Come riportato in diversi studi pubblicati su Nature Reviews Neurology e Science Translational Medicine, le mutazioni del gene PRKN sono associate in particolare alla forma giovanile del morbo di Parkinson. A differenza delle forme idiopatiche (cioè senza una causa genetica nota), quelle legate a PRKN tendono a comparire prima dei 50 anni e spesso rispondono meglio a terapie farmacologiche tradizionali come la levodopa, almeno nelle prime fasi della malattia.
Nonostante ciò, il decorso può essere aggravato da altri fattori ambientali o comportamentali. Nel caso di Osbourne, l’abuso di sostanze in gioventù e uno stile di vita estremo, come lui stesso ha più volte ammesso in interviste pubbliche, potrebbero aver contribuito al peggioramento della sua condizione.
Una malattia gestibile, ma ancora senza cura
Il Parkinson, pur essendo attualmente incurabile, è considerato una malattia gestibile. Oltre ai farmaci che stimolano la dopamina, negli ultimi decenni sono state sviluppate tecniche chirurgiche avanzate come la stimolazione cerebrale profonda (DBS), approvata dalla FDA già nel 1997. Tale trattamento, che prevede l’inserimento di elettrodi nel cervello per modulare l’attività neuronale, ha dimostrato di ridurre significativamente i sintomi motori in pazienti selezionati.
Uno studio pubblicato su The Lancet Neurology nel 2023 ha confermato che la DBS, se combinata con trattamenti farmacologici e fisioterapia, può prolungare la qualità della vita anche per oltre dieci anni dopo la diagnosi.
Tuttavia, la malattia comporta ancora oggi un aumento del rischio di mortalità. Secondo l’American Parkinson Disease Association, i pazienti con Parkinson hanno un rischio di morte superiore del 50% rispetto alla popolazione generale, soprattutto se la malattia è avanzata o accompagnata da complicazioni come cadute, polmoniti o disfagia.
Il contributo della genetica e della ricerca
L’interesse di Osbourne per la genetica non è stato solo personale. Nel 2010, aveva acconsentito alla mappatura del suo genoma, nel tentativo di comprendere meglio la sua predisposizione a certe patologie. In quell’occasione, i ricercatori scoprirono che possedeva tratti genetici rari, inclusi segmenti di DNA neandertaliano. Questo tipo di ricerca genomica, oggi sempre più diffusa, sta offrendo nuove chiavi di lettura anche per malattie complesse come il Parkinson.
Recentemente, uno studio pubblicato su Nature Genetics ha identificato oltre 90 loci genetici associati al rischio di sviluppare la malattia. Questo tipo di dati sta aprendo la strada a terapie personalizzate, basate sul profilo genetico del paziente, con l’obiettivo di rallentare la progressione della malattia o prevenire del tutto l’esordio nei soggetti predisposti.
Oltre l’individuo: una questione pubblica
La morte di una figura come Ozzy Osbourne rappresenta un momento di riflessione collettiva. La sua trasparenza nel raccontare la malattia ha aiutato a rompere il silenzio e lo stigma che spesso circondano le patologie neurodegenerative. In un mondo che invecchia rapidamente—l’OMS stima che i casi di Parkinson raddoppieranno entro il 2040—è fondamentale investire in ricerca, prevenzione e assistenza a lungo termine.
Il Parkinson non è una “condanna a morte”, come ha dichiarato Sharon Osbourne in una vecchia intervista, ma resta una sfida complessa. E oggi più che mai, la consapevolezza pubblica e il progresso scientifico devono andare di pari passo per affrontarla con dignità e conoscenza.
Fonti scientifiche principali:
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National Institutes of Health (NIH). “Focus On Parkinson’s Disease Research“
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British Medical Bulletin – courtesy of Oxford University Press. “Genetics in Parkinson’s disease, state-of-the-art and future perspectives”
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Science Translational Medicine. “Mitochondrial dysfunction in Parkinson’s disease.”
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Nature Reviews Neurology (2019). “Long-term outcomes of deep brain stimulation for Parkinson’s disease.”
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Nature Genetics. “Large-scale meta-analysis of genome-wide association data identifies six new risk loci for Parkinson’s disease.”
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