Se un giornalista sportivo confondesse un assist con un fuorigioco, e scrivesse ad esempio che “l’attaccante ha segnato grazie a un perfetto fuorigioco”, la reazione del pubblico e dei colleghi sarebbe immediata e feroce. I lettori lo deriderebbero sui social, i colleghi sportivi lo criticherebbero apertamente, la redazione interverrebbe in fretta, magari anche con una nota o una rettifica, e il giornalista rischierebbe seriamente la perdita di credibilità nel suo campo.
Perché? Perché si presume che chi scrive di sport lo conosca davvero: ne capisca le regole, il lessico, la logica. È un mondo con un pubblico vasto e molto competente, che non perdona l’ignoranza tecnica.
Nel caso della scienza, invece, spesso si nota l’opposto. Terminologie sbagliate passano inosservate. Concetti complessivengono semplificati malamente o distorti. Si citano “scoperte rivoluzionarie” senza verificarne la fondatezza o il contesto. E a volte si confonde, ad esempio, una correlazione con una causalità, si parla di “assenza di gravità” sulla Stazione Spaziale Internazionale, di ghiacciai che si “sciolgono” (sic.), di “Tsunami” per qualsiasi grande onda, anche non causata da eventi sismici (es. onde da tempeste), di “Cambiamento climatico” come sinonimo di “riscaldamento globale”, di “Tempesta solare” per brillamenti solari o espulsioni di massa coronale, di “Evoluzione” come “miglioramento” delle specie.
Il problema di fondo è che la cultura scientifica non è diffusa quanto quella sportiva, e il pubblico non sempre ha gli strumenti per accorgersi dell’errore. In più, la redazione spesso tratta la scienza come un contenuto secondario, destinato a fare notizia più che a spiegare.
Negli ultimi anni, ogni volta che un temporale particolarmente intenso colpisce una città o una regione, i titoli dei giornali e i servizi televisivi si riempiono di un’espressione tanto evocativa quanto inesatta: “bomba d’acqua”.
Questo termine, che sembra descrivere un fenomeno meteorologico catastrofico e improvviso, è diventato di uso comune, ma c’è un problema: in meteorologia, la “bomba d’acqua” semplicemente non esiste.
Si tratta di una creazione giornalistica, un’esagerazione linguistica che, pur catturando l’attenzione, rischia di confondere il pubblico e di allontanarlo da una comprensione reale dei fenomeni atmosferici.
Per capire meglio, prendiamo spunto da un recente evento di maltempo che ha colpito Milano e altre aree del Nord Italia, analizzando cosa è successo davvero e perché il termine “bomba d’acqua” non è appropriato.
Il caso di Milano: un nubifragio, non una “bomba d’acqua”
Il 6 luglio 2025, Milano e gran parte della Lombardia sono state investite da un episodio di maltempo particolarmente intenso. Piogge torrenziali, raffiche di vento, grandine e persino l’esondazione del fiume Seveso hanno causato disagi significativi: strade allagate, trasporti bloccati, parchi chiusi e, tragicamente, la morte di una donna a Robecchetto con Induno, schiacciata da un albero caduto a causa delle forti raffiche.
In molte zone del Nord Italia, dal Piemonte al Friuli-Venezia Giulia, si sono registrati fenomeni simili, con grandine di grosse dimensioni e venti che hanno superato gli 80 km/h.
I media, come spesso accade, hanno descritto l’evento come una “bomba d’acqua”, ma gli esperti meteorologi hanno una spiegazione diversa e più precisa: ciò che ha colpito Milano non è stata una “bomba d’acqua”, ma una squall line, ovvero una linea di temporali organizzati lungo un fronte freddo.
Cos’è una squall line e come si forma
Per comprendere l’evento, è utile approfondire il concetto di squall line, termine che in italiano si traduce come “linea di groppo”. Si tratta di un sistema temporalesco esteso, che può coprire centinaia di chilometri in lunghezza e decine in larghezza, caratterizzato da una serie di celle temporalesche allineate lungo un fronte freddo.
Queste strutture si formano tipicamente in estate, quando l’aria calda e umida presente al suolo si scontra con una massa d’aria fredda in arrivo. Nel caso di Milano, l’aria fredda proveniva dall’Islanda, spinta da un vortice ciclonico attivo nel Nord Europa.
Attraversando il Regno Unito e la Francia, questa massa d’aria ha raggiunto le Alpi, dove l’incontro con l’aria calda e umida della Pianura Padana ha generato imponenti cumulonembi, le nubi responsabili dei temporali.
Il risultato è stato un sistema convettivo quasi lineare (in inglese Quasi-Linear Convective System), capace di produrre piogge intense (a Milano sono caduti oltre 30 millimetri di pioggia in poco tempo), venti forti, grandine e, in alcuni casi, trombe d’aria.
Le immagini radar dell’evento mostrano chiaramente una fascia di precipitazioni intense, con celle temporalesche disposte in una linea compatta, che si è spostata rapidamente sulla Lombardia.
Questo fenomeno, ben noto ai meteorologi, non ha nulla a che vedere con una “bomba d’acqua”, termine che non descrive né la dinamica né la struttura di ciò che è accaduto.
Perché “bomba d’acqua” è un termine sbagliato
Il termine “bomba d’acqua” è nato nei media per descrivere piogge intense e concentrate in un breve lasso di tempo, ma non ha alcuna base scientifica.
In meteorologia, le precipitazioni intense si chiamano nubifragi o, in casi estremi, violenti nubifragi. La “bomba d’acqua” non è un concetto riconosciuto, né viene utilizzato nei bollettini meteorologici o negli studi scientifici.
Perché, allora, è così diffuso?
La risposta è semplice: è un’espressione sensazionalistica, che attira l’attenzione e trasmette un senso di urgenza e drammaticità. Tuttavia, il suo uso ha conseguenze negative.
In primo luogo, la “bomba d’acqua” suggerisce un fenomeno imprevedibile e improvviso, come se si trattasse di un’esplosione atmosferica.
In realtà, i nubifragi, incluse le squall line, sono fenomeni che possono essere previsti con un certo margine di accuratezza, grazie ai moderni sistemi di monitoraggio e ai modelli meteorologici.
Nel caso di Milano, ad esempio, le allerte meteo erano state diramate con anticipo, anche se l’intensità esatta del fenomeno non è sempre facile da stimare.
Parlare di “bomba d’acqua” rischia di alimentare l’idea che questi eventi siano inevitabili e incontrollabili, scoraggiando la prevenzione e la preparazione.
In secondo luogo, l’uso di termini non scientifici contribuisce a una cattiva comunicazione del rischio.
Chiamare un nubifragio “bomba d’acqua” non aiuta il pubblico a capire cosa sta accadendo né a distinguere tra fenomeni diversi, come un temporale estivo, un’alluvione fluviale o un evento eccezionale legato al cambiamento climatico.
Una comunicazione chiara e precisa, invece, è fondamentale per educare le persone su come comportarsi in caso di maltempo e su come mitigare i danni.
Il ruolo del cambiamento climatico
Un aspetto che non può essere ignorato è il legame tra questi eventi meteorologici estremi e il cambiamento climatico.
Il riscaldamento globale sta rendendo i temporali più intensi e frequenti, soprattutto nelle regioni temperate come l’Italia. L’aumento delle temperature significa che l’atmosfera può trattenere più vapore acqueo, che poi si condensa in piogge più abbondanti durante i temporali.
Inoltre, il contrasto tra masse d’aria calda e fredda, come quello che ha generato la squall line di Milano, sta diventando più marcato, alimentando fenomeni sempre più violenti.
Questo rende ancora più importante una comunicazione scientifica accurata.
Parlare di “bombe d’acqua” distrae dall’analisi delle cause profonde di questi eventi e dalle soluzioni necessarie, come il miglioramento delle infrastrutture urbane, la gestione del territorio e la riduzione delle emissioni di gas serra.
Le città come Milano, con i loro fiumi a rischio esondazione e le aree urbanizzate che favoriscono gli allagamenti, devono affrontare queste sfide con un approccio integrato, che combini prevenzione, adattamento e sensibilizzazione.
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