Negli ultimi giorni, il mondo dell’atletica giovanile italiana ha messo in luce una disparità: Kelly Doualla, 15enne velocista di origini camerunesi, domina copertine e social, mentre Erika Saraceni, campionessa di salto triplo con un record U20, resta in ombra. È razzismo al contrario? Con Kelly favorita per la sua storia multiculturale, o ci sono dinamiche più complesse legate a media, algoritmi e narrazioni? La risposta sta in un intreccio di fattori che vanno oltre il semplice pregiudizio
Dare una spiegazione populista, come accusare di “razzismo al contrario”, è più facile perché semplifica un problema complesso in una narrazione binaria: “buoni contro cattivi”. Questo crea bipolarismo, polarizzando le persone in due schieramenti opposti senza considerare le sfumature. Peccato che la realtà sia diversa!
PER CHI HA FRETTA
Il fenomeno descritto si chiama “media bias” o, più specificamente nel contesto del marketing e dei media, “narrative framing” combinato con “virality marketing”.
- Media bias: La tendenza dei media a privilegiare alcune storie o personaggi (come Kelly Doualla) rispetto ad altri (come Erika Saraceni) sulla base di fattori come appeal narrativo, popolarità dell’evento e potenziale di engagement, anche a scapito di meriti simili o superiori.
- Narrative framing: La costruzione di una storia mediatica attorno a un personaggio o evento (es. Kelly come simbolo di diversità e inclusione) che si allinea a tematiche di grande attualità, rendendola più attraente per il pubblico e amplificando la sua visibilità.
- Virality marketing: L’uso strategico di contenuti che sfruttano dinamiche algoritmiche e SEO per massimizzare click, interazioni e traffico, come evidenziato dal maggiore volume di ricerca e engagement per Kelly rispetto a Erika.
Questi elementi si intrecciano con il concetto di “attention economy“, in cui l’attenzione del pubblico è una risorsa scarsa e i media competono per catturarla con scelte editoriali mirate a massimizzare impatto e ricavi.
Kelly rappresenta una storia unica: giovane, talentuosa, simbolo di diversità. Il suo profilo si allinea a temi come l’inclusione, che generano alto engagement. I 100 metri, disciplina iconica, amplificano il suo appeal rispetto al salto triplo di Erika, meno popolare.
Algoritmi e SEO premiano Kelly: query come “Kelly Doualla oro” dominano, e i suoi post su X superano Erika del 20-30% in reach. Le redazioni, puntando su click e ricavi, scelgono narrazioni virali.Questo media bias non è solo razzismo al contrario: è una strategia che privilegia storie “vendibili”. Per Erika, campagne social mirate potrebbero colmare il divario, trasformando il suo talento in una narrazione altrettanto potente.
PER CHI VUOLE APPROFONDIRE
Le redazioni sportive, come la Gazzetta dello Sport, sanno che una copertina con Kelly attira click, grazie a un “hook” emotivo che collega la sua storia a questioni sociali di ampio richiamo. Erika Saraceni, pur eccellente, ha una storia meno polarizzante: il suo successo nel salto triplo, per quanto straordinario, si inserisce in una narrazione più tradizionale, meno incline alla viralità.
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Un altro fattore chiave è la popolarità dell’evento.
I 100 metri sono l’emblema dell’atletica, una disciplina iconicache cattura un pubblico globale con il suo appeal visivo e culturale. Il salto triplo, al contrario, è più di nicchia,con un seguito limitato che non garantisce lo stesso impatto mediatico. Kelly, con tempi già vicini agli standar dolimpici, diventa una notizia “da prima pagina”, mentre Erika, nonostante il record U20, finisce spesso relegata a trafiletti o menzioni secondarie.
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Le dinamiche algoritmiche amplificano questa disparità. Le query di ricerca come “Kelly Doualla oro” superano digran lunga quelle su Erika Saraceni, grazie al dibattito sociale che la prima innesca. Su X, i post su Kelly generano un reach organico superiore del 20-30%, con alcuni tweet che superano i 3.000 like, spinti da discussioni controverse che aumentano il “virality score”.
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Le strategie SEO dei media digitali premiano contenutiche massimizzano il traffico, e Kelly si rivela una scelta vincente per attirare clic e interazioni. Le redazioni,orientate a ottimizzare ricavi pubblicitari, costruiscono copertine e articoli attorno a figure che garantisconoattenzione immediata.Questa tendenza riflette un fenomeno noto come media bias, in cui le scelte editoriali favoriscono narrazioni più“vendibili”. Tuttavia, sui social emerge una contro-narrazione che lamenta la scarsa visibilità di Erika, anche sequeste proteste non raggiungono lo stesso volume di interazioni e restano marginali per gli algoritmi.
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Per riequilibrare la situazione, servirebbero campagne social mirate per Erika: hashtag virali, video TikTok che raccontino il suo percorso o contenuti visivi accattivanti potrebbero accendere l’interesse attorno al suo record.In un’epoca dominata dall’attention economy, la visibilità di un atleta non dipende solo dai risultati, ma dalla capacità di incarnare una storia che risuoni con il pubblico e gli algoritmi. Kelly Doualla, con il suo profilo unico,domina questo gioco. Per Erika Saraceni, il talento è indiscusso, ma serve una strategia mediatica che trasformiil suo successo in una narrazione altrettanto potente.
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Dare una spiegazione populista, come accusare di “razzismo al contrario”, è più facile perché semplifica un problema complesso in una narrazione binaria: “buoni contro cattivi”. Questo crea bipolarismo, polarizzando le persone in due schieramenti opposti senza considerare le sfumature. Nel caso di Kelly Doualla ed Erika Saraceni, è più semplice puntare il dito su un presunto favoritismo legato alla multiculturalità di Kelly, piuttosto che analizzare dinamiche complesse come l’appeal mediatico, le scelte editoriali, gli algoritmi dei social che premiano certe storie, o il diverso impatto visivo di discipline come velocità e salto triplo. Il populismo sfrutta emozioni immediate, evitando la fatica di capire i veri meccanismi dietro le narrazioni.
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