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Il futuro del CERN: il nuovo acceleratore FCC è tecnicamente possibile, ma la sfida ora è politica

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Foto: CERN

 Il CERN di Ginevra guarda avanti, oltre il Large Hadron Collider (LHC), con un progetto ambizioso: il Future Circular Collider (FCC), un nuovo acceleratore di particelle lungo 90 chilometri, progettato per spingere oltre i limiti della fisica. Dopo oltre dieci anni di studi, il 31 marzo è stato pubblicato lo studio di fattibilità, che conferma l’assenza di ostacoli ingegneristici alla costruzione dell’infrastruttura, destinata a svilupparsi a 200 metri di profondità tra Svizzera e Francia. I rilievi geofisici saranno completati entro fine anno, ma le prime valutazioni sono già positive anche per quanto riguarda la sicurezza del terreno e delle aree sovrastanti.

L’FCC rappresenterà un salto tecnologico enorme: consentirà collisioni tra particelle a energie sette volte superiori a quelle dell’LHC, permettendo misurazioni 500 volte più precise. Tuttavia, una macchina di tale portata comporta consumi energetici comparabili a quelli di una città di 700.000 abitanti. Nonostante ciò, i ricercatori sottolineano la sostenibilità dell’impianto, che riutilizzerà parte dell’energia sotto forma di calore per riscaldare edifici locali. Inoltre, il CERN si impegna a operare in sinergia con enti pubblici per ridurre al minimo l’impatto ambientale.

Le critiche degli ambientalisti, in particolare del collettivo CO-CERNés, riguardano lo scavo del tunnel e l’effetto delle strutture di superficie sulle aree naturali protette. Il CERN ha risposto che i corridoi ecologici per la fauna sono stati considerati fin dalla fase di progettazione e che l’impatto complessivo sarà contenuto, come confermato da un dettagliato studio ambientale. Per i circa otto milioni di metri cubi di detriti, si stanno studiando metodi per riciclare la materia inerte e riutilizzarla in ambito agricolo, trasformandola in substrato fertile.

Dal punto di vista istituzionale, la realizzazione dell’FCC è ora nelle mani del CERN Council, che riunisce 21 paesi membri e dovrà decidere entro il 2028 se procedere con un investimento stimato in 15 miliardi di franchi svizzeri. Se approvato, il cantiere potrebbe partire nel 2033. L’acceleratore sarà realizzato in due fasi: inizialmente sarà utilizzato per elettroni (2046-2060), poi per adroni (2070-2090), come nel caso dell’attuale LHC. Tuttavia, la Germania ha già annunciato di non voler partecipare, e la situazione geopolitica incerta rende difficile una decisione condivisa.

In un momento storico segnato da tensioni e divisioni, secondo i promotori il progetto FCC può rappresentare un simbolo di cooperazione internazionale e stabilità politica, così come accadde alla nascita del CERN nel secondo dopoguerra. «Il CERN è nato per far dialogare scienziati di paesi che erano stati in guerra. È un esempio concreto di diplomazia scientifica», ha dichiarato Patrik Janot, coordinatore scientifico dell’FCC.

Ma l’Europa non è sola a puntare su un acceleratore di nuova generazione. Anche la Cina ha annunciato piani per una macchina simile, alimentando un clima di competizione globale. Secondo Janot, però, lasciare il primato alla Cina sarebbe un errore, sia per motivi ambientali – gran parte della produzione elettrica cinese dipende ancora dal carbone – sia per questioni etiche e scientifiche: «Tutto ciò che nasce al CERN è per la società civile, non per scopi militari. Della Cina non possiamo dire altrettanto con certezza».

La scienza è pronta. Tocca ora alla politica scegliere se investire nel futuro della fisica e della cooperazione internazionale. Vuoi che continui con un approfondimento sui costi o sulle implicazioni geopolitiche del progetto FCC?

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