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Europa, Trump e Ucraina: come smontare una narrazione comoda ma fuorviante

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Da settimane circola una narrazione insistente secondo cui l’Europa sarebbe ormai un continente inermi, vassallo degli Stati Uniti, disorientato e incapace di qualsiasi autonomia strategica, travolto dal ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca e destinato a subire decisioni prese altrove, soprattutto sul dossier ucraino.

È una narrazione suggestiva, emotivamente efficace, ma profondamente parziale. E, soprattutto, politicamente pigra.

Trump non sta “sfaldando” l’Europa

Il nuovo documento di Strategia di Sicurezza Nazionale americana contiene toni durissimi verso l’Europa: critiche su immigrazione, stagnazione economica, crisi demografica e libertà di espressione. Trump chiede agli alleati di fare di più per la propria difesa, fino a ipotizzare livelli di spesa militare molto più elevati di quelli attuali.

Ma trasformare tutto questo in un presunto piano per umiliare o distruggere l’Europa è una forzatura ideologica. Siamo di fronte a un ritorno integrale dell’“America First”: meno impegno globale, alleanze viste in chiave transazionale, richiesta esplicita di condivisione degli oneri. Non a un complotto contro l’Unione Europea.

Trump considera l’Europa debole? Sì. La provoca? Certamente. Ma l’obiettivo è spingerla a camminare con le proprie gambe, non a ridurla in macerie politiche o economiche. Confondere brutalità retorica con strategia di annientamento è comodo, ma intellettualmente disonesto.

L’Europa non ha puntato tutto sulla “vittoria militare”

Un altro luogo comune molto diffuso sostiene che l’Europa avrebbe scommesso ciecamente su una vittoria militare totale dell’Ucraina, senza alcun piano alternativo. Anche questo non regge alla prova dei fatti.

Il sostegno a Kiev – militare, finanziario e politico – nasce dalla difesa del diritto internazionale contro un’aggressione armata, non da un delirio bellicista. Fin dall’inizio, i principali leader europei hanno parlato di resistenza, deterrenza e garanzie di sicurezza, non di marce trionfali su Mosca.

Quando l’amministrazione americana ha cambiato linea, spingendo per negoziati rapidi e concessioni territoriali, l’Europa non si è dissolta: ha reagito. Coordinamento diplomatico, controproposte negoziali, uso degli asset russi congelati, aumento della produzione industriale per la difesa. Tutto tranne che immobilismo.

L’idea di una resa europea è minoritaria

C’è chi, anche in Europa, descrive il nuovo scenario come una sconfitta definitiva dell’Occidente e invita a delegare completamente il negoziato agli Stati Uniti, accettando qualsiasi compromesso pur di chiudere il conflitto.

Ma questa posizione non rappresenta il baricentro politico europeo. È una linea minoritaria, spesso espressione di forze di opposizione o di riflessi pacifisti astratti, che confondono realismo con rinuncia.

I governi europei, pur tra difficoltà e divisioni, stanno andando nella direzione opposta: più coordinamento, più integrazione della difesa, maggiore consapevolezza che il futuro della sicurezza europea non può essere appaltato né a Washington né, tantomeno, a Mosca.

Il vero errore: raccontare l’Europa come impotente

La rappresentazione dell’Europa come soggetto passivo, umiliato e incapace di reagire è forse l’aspetto più dannoso di questa narrazione. Non perché l’Unione sia improvvisamente forte o unita, ma perché sta cambiando proprio sotto la pressione degli eventi.

Il disimpegno americano non ha paralizzato l’Europa: l’ha costretta a scegliere. E la scelta, per quanto tardiva e imperfetta, è quella di costruire una maggiore autonomia strategica, industriale e militare.

Dipingerci come vassalli serve a giustificare l’inazione. Raccontare Trump come un distruttore onnipotente serve a evitare una discussione seria sulle responsabilità europee. Ma la realtà è meno melodrammatica e più esigente.

Gli Stati Uniti hanno cambiato priorità. L’Europa è stata messa di fronte a un bivio. E, per la prima volta dopo anni, sta provando – faticosamente – a smettere di delegare il proprio destino.

Non è una resa. È l’inizio di una fase più dura, ma anche più adulta.

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