La domanda su quando esauriremo il petrolio è complessa e dipende da molteplici fattori: riserve accertate, tassi di consumo, innovazioni tecnologiche e politiche energetiche. Le stime più recenti offrono una panoramica, ma con margini di incertezza.
Secondo il Statistical Review of World Energy di BP (2020), le riserve globali di petrolio ammontano a circa 1.734 miliardi di barili. Con un consumo medio annuo di 36,5 miliardi di barili (100 milioni al giorno), le riserve attuali durerebbero circa 47-50 anni, portando a un ipotetico esaurimento intorno al 2070. Tuttavia, questa stima è semplificata e non considera diversi fattori chiave:
- Nuove scoperte e tecnologie estrattive: Tecniche come il fracking e l’estrazione da sabbie bituminose (es. in Canada) hanno aumentato le riserve accessibili. Ad esempio, le riserve non convenzionali, come gli scisti bituminosi, potrebbero aggiungere centinaia di miliardi di barili, estendendo la durata delle scorte di altri 20-30 anni, secondo l’Agenzia Internazionale dell’Energia (IEA).
- Riduzione della domanda: La transizione verso energie rinnovabili e l’elettrificazione dei trasporti potrebbe ridurre la domanda di petrolio. L’IEA prevede che la domanda globale di petrolio raggiungerà il picco nel 2026, per poi declinare gradualmente in scenari di transizione accelerata. Questo potrebbe posticipare l’esaurimento delle riserve, poiché meno petrolio verrebbe estratto annualmente.
- Incertezze geopolitiche ed economiche: Restrizioni alla produzione (es. tagli OPEC) o crisi economiche possono influenzare i tassi di estrazione. Ad esempio, la produzione è diminuita in Venezuela a causa di instabilità politica, mentre paesi come Stati Uniti, Brasile e Guyana stanno aumentando l’offerta.
Un rapporto del Servizio Geologico degli Stati Uniti (USGS) citato da Bloomberg nel 2020 stima che potrebbero esserci ancora 2.000 miliardi di barili estraibili, includendo giacimenti non convenzionali in regioni come la Patagonia, la Rift Valley africana e l’Alberta. In questo scenario ottimistico, le riserve potrebbero durare fino a 70 anni, ossia oltre il 2090, a consumi attuali. Tuttavia, sfruttare questi giacimenti comporta costi ambientali elevati, tra cui deforestazione, inquinamento delle falde acquifere e aumento delle emissioni.
La teoria del “picco di Hubbert”, proposta nel 1956, prevedeva che la produzione di petrolio avrebbe raggiunto un massimo per poi declinare. Sebbene il picco previsto per gli anni ’70 non si sia verificato a causa di nuove tecnologie, il concetto rimane valido: le risorse fossili sono finite, e il declino è inevitabile, anche se posticipato.
Bruciare tutte le riserve di combustibili fossili è insostenibile, non solo per l’esaurimento delle risorse, ma soprattutto per gli impatti climatici catastrofici. Piantare alberi e sviluppare tecnologie di cattura della CO2 sono strumenti utili, ma non possono sostituire la necessità di una transizione rapida verso energie rinnovabili e una riduzione dei consumi fossili. Le stime sull’esaurimento del petrolio variano tra 50 e 70 anni, ma il vero limite non è la disponibilità fisica, bensì la capacità del pianeta di assorbire le emissioni senza superare soglie climatiche critiche.
Per limitare il riscaldamento globale, è fondamentale agire ora, investendo in fonti pulite, efficienza energetica e politiche globali coordinate. La fine dell’era del petrolio non sarà determinata solo dalla sua scarsità, ma anche dalla nostra capacità di costruire un futuro energetico sostenibile.
Piantare alberi per compensare le emissioni: una soluzione realistica?
La piantumazione di alberi è spesso proposta come una strategia per contrastare il cambiamento climatico, grazie alla capacità delle piante di assorbire anidride carbonica (CO2) durante la fotosintesi. Tuttavia, l’idea di bruciare tutte le riserve di combustibili fossili e compensare le emissioni piantando alberi presenta limiti significativi, sia pratici che economici.
Secondo uno studio pubblicato su Nature nel 2021, per mantenere il riscaldamento globale sotto la soglia di 1,5°C, circa il 60% delle riserve di petrolio e gas e il 90% del carbone devono rimanere non estratti entro il 2050. Bruciare tutte le riserve fossili esistenti produrrebbe una quantità di CO2 che supererebbe di gran lunga la capacità di assorbimento degli ecosistemi terrestri. Ad esempio, le riserve globali di petrolio, gas e carbone contengono circa 10.000 gigatonnellate di CO2 equivalente, mentre il bilancio di carbonio rimanente per limitare il riscaldamento a 1,5°C è di sole 400-500 gigatonnellate.
Piantare alberi su vasta scala richiederebbe superfici enormi: uno studio del 2019 su Science ha stimato che, teoricamente, si potrebbero piantare alberi su 900 milioni di ettari di terreno disponibile, assorbendo circa 200 gigatonnellate di CO2 in un secolo. Tuttavia, questo scenario ipotetico non considera la competizione per l’uso del suolo (agricoltura, urbanizzazione), i tempi lunghi per la crescita degli alberi, né il rischio di incendi, deforestazione o degrado del suolo, che potrebbero rilasciare la CO2 immagazzinata. Inoltre, la piantumazione massiva può avere impatti negativi sulla biodiversità se non pianificata correttamente, come la sostituzione di ecosistemi naturali con monocolture.
Le tecnologie di cattura e stoccaggio del carbonio (CCS) rappresentano un’altra opzione, ma anch’esse sono limitate. Attualmente, la capacità globale di CCS è inferiore a 40 milioni di tonnellate di CO2 all’anno, una frazione insignificante rispetto alle 36 miliardi di tonnellate emesse annualmente. Scalare queste tecnologie richiederebbe investimenti massicci, stimati in migliaia di miliardi di dollari, e consumi energetici significativi, rendendole economicamente sconvenienti rispetto alla transizione verso fonti rinnovabili.
In sintesi, né la piantumazione di alberi né la cattura della CO2 possono compensare le emissioni derivanti dall’uso completo delle riserve fossili. Queste soluzioni possono essere complementari, ma la priorità deve essere la riduzione drastica dell’uso di combustibili fossili, come previsto dagli accordi di Parigi.
Fonti:
Nature, 2021: Unextractable fossil fuels in a 1.5°C world
Science, 2019: The global tree restoration potential
BP Statistical Review of World Energy, 2020
Agenzia Internazionale dell’Energia, World Energy Outlook, 2015 e 2024
Bloomberg, 2020, citando USGS
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