Senza categoria

Edoardo Boncinelli, lo scienziato che parlava al cuore della scienza (e dell’uomo)

Edoardo-Boncinelli

È morto a Milano, il 20 luglio 2025, all’età di 84 anni, Edoardo Boncinelli, uno dei volti più familiari della scienza italiana. Non solo perché appariva spesso in TV o sulle colonne dei giornali più autorevoli, ma perché era riuscito in quell’impresa rara: parlare di DNA, mente, anima e genetica senza mai farci sentire piccoli. Con lui, la scienza diventava cosa viva, vicina, umana.

Boncinelli era nato a Rodi nel 1941, in un’Italia che si stava ancora leccando le ferite della guerra. Ma i suoi genitori erano fiorentini, e a Firenze lui sarebbe tornato per laurearsi in fisica. Il suo relatore era un gigante della scuola italiana, Giuliano Toraldo di Francia, lo stesso che aveva portato in Italia il pensiero di Heisenberg e il gusto per la scienza come riflessione sulla realtà. “Io sono nato fisico,” diceva Boncinelli in un’intervista, “ma mi sono innamorato della vita. E la vita è la biologia.” Ed è proprio quella passione a portarlo alla genetica, quando il DNA era ancora un continente inesplorato per molti.

 

Il suo laboratorio, negli anni Settanta e Ottanta, era a Napoli, all’Istituto di Genetica e Biofisica del CNR. Un ambiente fervente, dove si respirava ancora l’eco della scuola napoletana di fisica e matematica. Ma fu nel 1985 che Boncinelli e il suo team, assieme ad Antonio Simeone, fecero la scoperta destinata a entrare nei libri: l’identificazione dei geni omeotici nell’uomo. Li chiamarono i “geni architetto”, perché determinano la disposizione del nostro corpo, dalla testa alle gambe. “Scoprire che nel nostro corpo c’è un progetto – ma che non è stato scritto da nessun dio, bensì da milioni di anni di evoluzione – è stato come vedere Dio in faccia e scoprire che era la natura,” raccontava spesso, con quel misto di ironia e sacralità laica che era tipico del suo stile.

Trasferitosi poi a Milano, diresse laboratori d’avanguardia, come quello dell’Istituto San Raffaele, e fu anche professore alla SISSA di Trieste, uno dei centri scientifici più prestigiosi d’Europa. Ma fu soprattutto con la parola scritta che Boncinelli conquistò un posto particolare nel cuore di molti. Le sue collaborazioni con il Corriere della Sera, con Le Scienze, e i suoi oltre trenta libri – da I nostri geni a L’anima della tecnica, da Il cervello, la mente e l’anima fino a L’animale inquieto – parlavano a un pubblico vasto, con lo stesso rispetto con cui si parla a un collega.

C’era in lui qualcosa che ricordava i grandi maestri rinascimentali: una mente scientifica rigorosa, certo, ma anche un’anima capace di interrogarsi sul senso della vita, sul destino, sulla libertà. Non è un caso che una delle sue frasi preferite fosse: “La scienza ti dice cosa sei, non cosa dovresti essere. Ma già sapere cosa sei, è una rivoluzione.”

Non amava le semplificazioni, ma non era nemmeno un fanatico dell’ermetismo. “Non c’è nulla di più complesso della semplicità,” diceva. E infatti anche quando parlava di evoluzione, genetica o neuroscienze, lo faceva con quel tono sobrio e lieve che ricordava più un narratore che un accademico. Una volta, in una conferenza a Milano, spiegò a una platea di studenti perché il gene non fosse “un destino” ma piuttosto “una possibilità.” E aggiunse: “Immaginate un’orchestra. I geni sono gli spartiti. Ma chi suona, come suona, e quando, dipende da moltissimo altro. E alla fine, la musica che sentiamo è unica: è la nostra vita.”

Negli ultimi anni, Boncinelli aveva affrontato la malattia con la stessa lucidità con cui affrontava le domande sul libero arbitrio o sulla morte. Nei suoi libri più intimi, come Io e lei e Essere vivi e basta, aveva raccontato il corpo che invecchia, la mente che resta lucida, e quel senso di inquietudine che, come suggerisce il titolo di uno dei suoi ultimi saggi, appartiene a ogni essere umano. Non c’era lamento, ma nemmeno rassegnazione. Solo l’osservazione acuta e compassionevole della condizione umana.

Ateo dichiarato, ma mai dogmatico, fu uno strenuo oppositore del creazionismo. Tuttavia, non si fece mai nemico della religione: semplicemente, rivendicava alla scienza il diritto di spiegare ciò che è spiegabile, lasciando alla filosofia (e solo in parte alla fede) il compito di interrogarsi sull’inspiegabile. Per questo, forse, riusciva a dialogare anche con chi la pensava diversamente.

Nel 2016 ricevette una laurea honoris causa in Scienze Filosofiche all’Università di Palermo. Un riconoscimento più che meritato per un uomo che aveva fatto della frontiera tra scienza e filosofia la sua casa. E che aveva abitato quella casa con rigore, curiosità e una certa malinconia: quella, forse, di chi sa che conoscere davvero significa anche perdere alcune illusioni.

Il ministro della Cultura, Alessandro Giuli, lo ha ricordato come “un genetista insigne” e “un pensatore originale”. Ma forse il ricordo più bello è quello che rimane nei lettori, nei suoi ex studenti, nei ricercatori che oggi lavorano grazie ai suoi insegnamenti, o anche solo in chi, leggendo una sua pagina, ha capito qualcosa in più su se stesso.

Edoardo Boncinelli non è stato solo uno scienziato. È stato un maestro di consapevolezza, che ci ha ricordato che dentro ogni cellula c’è una storia millenaria, e che ogni essere umano è il risultato di un equilibrio sottile tra biologia e libertà.
Ora che non c’è più, ci restano i suoi libri, le sue interviste, i suoi pensieri. E soprattutto, quella sua voce che riusciva a dire le cose difficili con parole semplici, ma mai banali. La voce, inconfondibile, di uno scienziato che amava la verità più della fama. E che sapeva che la verità, come la vita, è fatta per essere condivisa.

foto di copertina: Foto Creative Commons

Comments

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *