Cristina Prandi è diventata nel 2024 la prima rettrice donna nella storia dell’Università di Torino, rompendo una tradizione maschile lunga 621 anni. La sua elezione rappresenta un momento storico per l’ateneo torinese e per tutto il mondo accademico italiano, ma ci invita anche a riflettere sul passato: com’è stata trattata la figura femminile all’interno dell’Università di Torino nei secoli scorsi?
Un lungo cammino di esclusione
Fondata nel 1404, l’Università di Torino ha per secoli rappresentato un’istituzione riservata esclusivamente agli uomini. Le donne non avevano accesso agli studi universitari né tantomeno alla docenza, a causa di pregiudizi culturali e religiosi, e delle leggi vigenti che ne impedivano l’ingresso.
Per comprendere meglio questa esclusione sistemica, possiamo citare un caso emblematico: quello di Lidia Poët.
Lidia Poët: una pioniera ostacolata
Lidia Poët, nata a Perrero nel 1855, è stata la prima donna in Italia ad essere iscritta all’albo degli avvocati. Laureatasi in Giurisprudenza proprio all’Università di Torino nel 1881, con una tesi sui diritti delle donne nella società e nella famiglia, Lidia incarna le difficoltà che una donna poteva incontrare anche una volta entrata nel mondo accademico.
Dopo aver superato brillantemente l’esame di abilitazione forense, nel 1883 fu iscritta all’albo degli avvocati di Torino. Tuttavia, la Corte d’Appello revocò l’iscrizione su richiesta del Procuratore Generale, sostenendo che la legge non prevedeva esplicitamente l’accesso delle donne alla professione forense. Ci vollero quarant’anni prima che Lidia Poët potesse esercitare liberamente, solo dopo che la legge cambiò nel 1920.
Il caso Poët dimostra quanto fosse radicato il sessismo istituzionale, anche in un ambiente formalmente dedicato al sapere e alla ricerca come l’università.
Le prime studentesse e accademiche
Fu solo tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento che le prime donne iniziarono a frequentare regolarmente i corsi universitari a Torino. Ma i numeri restarono per decenni marginali. Anche nel secondo dopoguerra, il corpo docente rimase a lungo composto quasi esclusivamente da uomini, specialmente nelle facoltà scientifiche.
Le donne che riuscivano a ottenere una cattedra erano spesso relegate in ambiti considerati “femminili”, come la pedagogia o la letteratura. I ruoli apicali — presidi, direttori di dipartimento, rettori — restavano sistematicamente maschili.
L’elezione di Cristina Prandi: un segnale di svolta
Cristina Prandi, professoressa ordinaria di Chimica Organica, è una scienziata di primo piano e ha ricoperto ruoli importanti nel mondo accademico, come delegata alla ricerca e coordinatrice di progetti europei. La sua elezione a rettrice non è solo un simbolo, ma un atto concreto di apertura e rinnovamento.
Oggi l’Università di Torino ha migliaia di studentesse e numerose docenti e ricercatrici. Tuttavia, la presenza femminile nei ruoli di vertice rimane ancora limitata, sia a livello locale che nazionale. Secondo dati recenti, meno di un quarto dei rettori delle università italiane sono donne.
Un cambiamento culturale ancora in corso
La nomina di una rettrice dopo oltre sei secoli testimonia quanto sia lento e difficile il cambiamento culturale in alcune istituzioni. Ma è anche un messaggio potente per le nuove generazioni: la conoscenza deve essere inclusiva, equa e aperta. L’Università non può più essere luogo di esclusione, ma deve farsi motore di trasformazione sociale.
La figura di Cristina Prandi, nel solco tracciato da pioniere come Lidia Poët, ci ricorda che ogni conquista femminile in ambito accademico è frutto di determinazione, competenza e coraggio, e che il sapere, per essere autenticamente universale, deve essere accessibile a tutti — e a tutte.
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