Tra gli argomenti d’attualità proposti nelle tracce della Maturità 2025 c’è anche un articolo scritto da Anna Meldolesi e Chiara Lalli, intitolato “L’indignazione è il motore del mondo social. Ma serve a qualcosa?”, pubblicato il 13 dicembre 2024 sulla rivista Sette, inserto settimanale del Corriere della Sera.
Nel loro intervento, le due divulgatrici scientifiche riflettono sul ruolo dell’informazione all’interno dei social network. A partire da uno studio che dimostra come i contenuti in grado di provocare indignazione e rabbia siano tra i più commentati e condivisi online, le autrici analizzano il legame tra emozioni forti e viralità sui social.
Testo tratto da: Anna Meldolesi e Chiara Lalli, L’indignazione è il motore del mondo social. Ma serve a qualcosa?, in 7-Sette – supplemento settimanale del ‘Corriere della Sera’, 13 dicembre 2024, pag. 12.
«L’indignazione è il motore del mondo social. Ma serve a qualcosa? Una nuova ricerca, pubblicata su Science, dimostra che questa reazione emotiva accompagna spesso contenuti discutibili e che chi si scandalizza davanti a una presunta ingiustizia non perde tempo a cliccare sui link, per approfondire e verificare. Così, visto che la mente umana può esprimere giomalmente temi che davvero rabbioso disgusto, finiamo per sprecarlo su questioni irrilevanti per ignorare invece i temi che meriterebbero la nostra irritazione.»
A partire dai contenuti del testo proposto, traendo spunto dalle tue esperienze, dalle tue conoscenze e dall’eventuale lettura, rifletti su questa rilevante caratteristica dei social. Puoi articolare il tuo elaborato in paragrafi opportunamente intitolati e presentarlo con un titolo complessivo che ne esprima sinteticamente il contenuto.
SVOLGIMENTO
Sui social network, che impegnano la nostra attenzione per molte ore della giornata, l’indignazione è ormai una compagna fissa. Basta aprire X, Instagram o qualsiasi altra piattaforma per trovarsi davanti un elenco lunghissimo di post, tweet, video e commenti pieni di rabbia, sdegno, proteste. Ma, come si chiedono Anna Meldolesi e Chiara Lalli nel loro articolo “L’indignazione è il motore del mondo social”, tutto questo gridare serve davvero a qualcosa? O è solo un fuoco di paglia che si spegne senza lasciare traccia?
Partiamo da un punto: indignarsi non è sbagliato, tutt’altro. È un sentimento umano, potente, che ha sempre spinto le persone a cambiare le cose. Pensiamo alle grandi battaglie della storia: i diritti civili, le lotte contro le ingiustizie, le rivoluzioni culturali. Senza un po’ di sana indignazione, probabilmente non avremmo fatto molti dei progressi che oggi diamo per scontati. È normale, quindi, che questo sentimento esploda anche sui social, che sono diventati i nuovi megafoni della nostra epoca.
Il problema, però, è come funziona l’indignazione online. Le piattaforme social sono progettate per premiare ciò che fa rumore: più un contenuto ti fa arrabbiare, più è probabile che lo condivida, lo commenti, lo fai girare. Gli algoritmi lo sanno e spingono proprio su questo: emozioni forti, reazioni immediate, viralità. Il risultato? L’indignazione diventa una specie di moneta, un modo per raccogliere like e visibilità. Ma a che costo? Si rischia di perdere di vista il ragionamento, la profondità. Conta più chi urla del pensiero, se c’è un pensiero, che sta dietro.
Questo meccanismo crea una serie di cortocircuiti. Primo, i temi complessi vengono ridotti a slogan: leggi un titolo, ti arrabbi, commenti senza neanche aprire l’articolo. O magari condividi una frase estrapolata, senza contesto, e via con la tempesta di critiche. Secondo, il dibattito si polarizza: chi non la pensa come te non è solo “diverso”, ma diventa un nemico da abbattere. Addio confronto, benvenuta guerra di insulti.
E poi c’è un rischio ancora più subdolo: l’indignazione che non porta da nessuna parte. Quante volte abbiamo visto una protesta online esplodere e poi svanire in poche ore? Oggi ci si arrabbia per un caso di razzismo, domani per un politico che ha detto una sciocchezza, dopodomani per qualcos’altro. Ma dopo lo sfogo, cosa resta? Spesso nulla. Indignarsi non basta se poi non si fa qualcosa di concreto: un’azione, un impegno, un cambiamento reale.
Prendiamo la cancel culture, per esempio. A volte è un modo per richiamare l’attenzione su errori gravi, e va bene. Ma quante volte si trasforma in un linciaggio digitale? Una frase sbagliata, un gesto mal interpretato, e parte la gogna. Non c’è spazio per il dialogo, per le scuse, per imparare dagli errori. È più una vendetta collettiva che una critica costruttiva. E alla fine, cambia davvero qualcosa?
Detto questo, non voglio buttare via tutto. I social, se usati bene, sono strumenti pazzeschi. Hanno dato voce a chi non ne aveva, hanno fatto emergere storie e denunce che altrimenti sarebbero rimaste sepolte. Hanno creato comunità, connessioni, possibilità. L’indignazione può essere il primo passo, ma da sola non basta. Deve essere accompagnata da consapevolezza, empatia, voglia di costruire.
Il vero nodo è questo: dopo la rabbia, serve un “secondo tempo”. Non basta urlare, bisogna capire. Non basta protestare, bisogna proporre. Solo così l’indignazione può diventare un motore di cambiamento, e non un semplice sfogo che si perde nel nulla.
Indignarsi sui social, dunque, non consideriamolo un difetto, ma solo l’inizio. Dobbiamo passare da spettatori pieni d’ira a cittadini che fanno la differenza. Come dicono le due autrici, non si tratta solo di lanciare pietre, ma di costruire ponti. E se vogliamo che i social siano davvero uno spazio di democrazia, dobbiamo metterci anche rispetto, ascolto e la voglia di non semplificare tutto. Solo così possiamo trasformare un’emozione in qualcosa di davvero utile.
Chi è Anna Meldolesi
Anna Meldolesi ha studiato Biologia all’Università di Bologna e ha completato un master in Comunicazione della Scienza a Trieste. Oggi lavora come giornalista e divulgatrice, specializzata in argomenti scientifici. Collabora con il Corriere della Sera e con altre testate, dove scrive in particolare di biotecnologie. Inoltre, è autrice di diversi libri e saggi. Insegna giornalismo scientifico sia all’Università di Bologna che alla IULM di Milano.
Chi è Chiara Lalli
Chiara Lalli, laureata in Filosofia all’Università La Sapienza di Roma, è una filosofa, giornalista e scrittrice, con una particolare competenza nei temi della bioetica. Insegna presso La Sapienza materie come Storia della medicina, Diritto sanitario, deontologia e bioetica. Ha pubblicato numerosi saggi su questioni delicate come l’aborto, l’eutanasia e la fecondazione assistita. Collabora con varie testate giornalistiche e, insieme ad Anna Meldolesi, cura una rubrica sul Corriere della Sera. Fa anche parte di un gruppo di studio che si occupa di bioetica e cure palliative, nell’ambito della Società italiana di neurologia.
Le altre tracce della Maturità 2025
Tra le tracce scelte per l’esame di Maturità 2025, oltre al testo di Meldolesi e Lalli, troviamo:
- un messaggio del giudice Paolo Borsellino intitolato I giovani, la mia speranza,
- una riflessione sul concetto di “Rispetto”, tratta da un testo di Riccardo Maccioni,
- un brano tratto da Il Gattopardo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa,
- una poesia di Pier Paolo Pasolini,
- un estratto dal libro Gli anni trenta, il decennio che sconvolse il mondo di Piers Brendon,
- un passo tratto da Un quarto d’era (geologica) di celebrità di Telmo Pievani.
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