Gravita Zero: comunicazione scientifica e istituzionale

Come si mangia nello spazio? Lo spiega l’esperta certificata NASA

Vi siete mai chiesti cosa significa pranzare nello spazio? E quale cibo gli astronauti preferiscono assaporare una volta rientrati dalla missione?

Se vi abbiamo incuriosito, vi consigliamo di proseguire con la lettura. La protagonista dell’intervista è la Dottoressa Liliana Ravagnolo, operativa nel settore aerospaziale dal novembre 1987.

JG: Sappiamo che è laureata in psicologia del lavoro e che quindi non aveva in mente di diventare un’esperta di spazio, sebbene la passione per la fantascienza l’aveva fin da bambina…soprattutto è stata tra i primi italiani a conseguire la certificazione NASA di istruttore di astronauti ed una delle prime donne italiane a divenirlo. Un grande orgoglio per noi donne. È stata quella del trainer di astronauti la sua professione per molti anni, anche se oggi il suo ruolo in azienda è mutato ed è diventata responsabile delle Operazioni di Missione e del Training. So che non addestra più gli astronauti, ma si occupa della certificazione degli operatori di terra della missione ExoMars il cui centro di controllo operativo, il ROCC (ovvero il Rover Operations Control Center) sarà localizzato proprio in ALTEC (ndr Aerospace Logistics Technology Engineering Company con sede a Torino). Come ci si trova ad insegnare agli astronauti?

 

La Dottoressa Liliana Ravagnolo, trainer di astronauti 

LR: Insegnare agli astronauti è in generale un compito molto impegnativo perché si ha a che fare con studenti molto preparati ed estremamente motivati. Inoltre molti di loro hanno compiuto diverse missioni nello spazio quindi hanno sviluppato delle competenze che noi non potremo mai ottenere, se non in forma puramente teorica. È quindi molto importante documentarsi attentamente sul tema specifico che si sta insegnando, essere preparati a rispondere a domande complesse che magari mettono in relazione il contenuto della lezione con esperienze fatte in orbita in situazioni analoghe o completamente diverse… bisogna essere pronti al confronto ed essere consapevoli dei propri limiti: se per caso non si sa la risposta ad una domanda bisogna ammetterlo con umiltà, documentarsi e fornirla anche in un secondo tempo. Mai fornire risposte scorrette o approssimative perché si perde credibilità. L’istruttore insegna a svolgere procedure nominali, non nominali, esempio riparare qualcosa che si è rotto, e di emergenza, in pratica addestra la crew a svolgere il lavoro di astronauta al meglio ogni giorno.

JG: Vorrei che oggi tornasse istruttrice e ci considerasse tutti suoi allievi a cui insegnare qualcosa relativo ad un argomento che noi tutti conosciamo, l’alimentazione e la nutrizione, ma a cui non siamo soliti pensare in microgravità. C’è un modo per abituarsi ad un’alimentazione diversa sia per tipologia di alimenti, sia per la presenza della microgravità?

LR: Immagino di sì pur non avendolo mai provato…studi medici affermano che cambia la percezione del gusto, a causa delle variazioni nella circolazione del sangue indotte dalla microgravità, per cui cibi che a terra sembravano saporiti improvvisamente perdono il loro sapore e alcuni astronauti si ritrovano ad aggiungere salse piccanti per “ravvivarli”. Consideri anche che tutti i cibi consumati ora a bordo della Stazione vengono prodotti circa 12-18 mesi prima di essere lanciati tramite veicoli cargo quindi sono trattati con varie metodologie di conservazione per assicurarsi che rispettino la durata di 24 mesi fissata come requisito dalla NASA. Queste metodologie, principalmente la deidratazione e la termostabilizzazione, modificano ulteriormente il gusto del cibo. Temo che non ci sia un modo per abituarsi, gli astronauti assaggiano a terra il cibo che viene loro proposto, scelgono quello che preferiscono e poi una volta a bordo lo consumano cercando di adattarsi alle limitazioni prima esposte.

JG: Mia nonna mi diceva che le sarebbe piaciuto essere astronauta perché così, con una pillola, avrebbe mangiato un pasto completo. Questa della pillola credo sia una leggenda. E dunque come si fa a mantenere durante una missione una alimentazione bilanciata e completa?

LR: Durante i primissimi voli spaziali come quello di Gagarin o degli astronauti della Mercury e della Gemini il cibo veniva confezionato o in tubetti da spremersi in bocca contenenti della purea di carne o di verdura, oppure dei “dadi” di cibo liofilizzato…niente pillole quindi ma anche questo tipo di cibo non era per nulla appetitoso e agli astronauti non piaceva…i dadi di cibo liofilizzato erano difficili da deglutire, tant’è vero che vennero poi ricoperti con una specie di gelatina per renderli più facilmente ingeribili. Comunque questo tipo di alimentazione durò molto poco, diciamo finché i voli spaziali avevano durate limitate a poche ore o pochissimi giorni. Già con le missioni Apollo, che duravano circa una settimana, il cibo cambiò e divenne più simile a quello normalmente consumato a terra. L’alimentazione bilanciata è importante per cui ogni pasto è preparato tenendo in considerazione i fattori nutrizionali associati agli ingredienti utilizzati per fornire il giusto apporto di carboidrati, proteine, vitamine, sali minerali…Inoltre dei nutrizionisti lavorano insieme al medico assegnato a ciascun astronauta per verificare che assuma il giusto apporto calorico nel corso della sua missione.

Cibo liofilizzato per gli astronauti.

JG: Gli astronauti devono seguire degli schemi dietetici con la frequenza di consumo degli alimenti da assumere e con le indicazione delle grammature?

LR: Le indicazioni dietetiche personali sono privatizzate, nel senso che l’unico ad esserne a conoscenza, oltre all’astronauta, è il suo medico personale. Una volta alla settimana, generalmente, si organizza una chiamata fra ogni astronauta e il suo medico, durante la quale viene discusso lo stato di salute generale ed eventuali problemi riscontrati, nonché le possibili prescrizioni. Ma tutto questo è strettamente privato. Per quanto riguarda l’alimentazione, gli astronauti compilano una volta alla settimana un questionario indicando i cibi consumati. E poiché per ogni cibo è definito esattamente l’apporto nutrizionale e calorico è abbastanza facile per il medico tenere sotto controllo la loro alimentazione e magari suggerire delle variazioni o integrazioni se necessario.

JG: Esistono deficit nutrizionali? Una tra tutti la Vitamina D per mancanza di esposizione solare?

LR: Il cibo spaziale è progettato accuratamente a terra per essere completo, sano e nutriente. Quindi in generale si cerca di prevenire la possibilità di incorrere in eventuali deficit nutrizionali. Come per tutte le altre sostanze, le vitamine necessarie se sono carenti nel cibo possono essere fornite separatamente. Ma anche questo è a discrezione del medico curante e non ci sono informazioni dettagliate in merito.

JG: Vengono monitorati, e come, durante la missione, per determinare se ci sono cambiamenti di peso od ematochimici dovuti alla dieta “inusuale”?

LR: Assolutamente si. Gli astronauti si fanno regolarmente dei prelievi di sangue, urina, saliva che in parte vengono analizzati a bordo, in parte rimandati a terra per analisi più approfondite. Questo sia come parte della normale routine giornaliera, sia perché partecipano come “cavie” ad esperimenti scientifici biologici. Per esempio durante la recente missione Beyond, Luca Parmitano ha partecipato all’esperimento NUTRISS, un test scientifico realizzato dall’Agenzia Spaziale Italiana (ASI), proposto dal professor Gianni Biolo dell’Università degli Studi di Trieste e condotto in collaborazione con Kaiser Italia. La sperimentazione aveva come obiettivo quello di mantenere una composizione corporea ideale evitando l’aumento del rapporto massa grassa/massa magra dovuto all’inattività da microgravità. Inoltre spesso indossano dei sensori che rilevano temperatura, pressione del sangue, battito cardiaco…e tutti questi dati vengono trasmessi ai loro medici. Inoltre i loro dati biometrici vengono registrati prima e dopo la missione, per registrare variazioni nella massa corporea, muscolare e ossea. Le variazioni naturalmente non dipendono solo dalla nutrizione ma più in generale dalla condizione di microgravità in cui devono operare.

JG: Ed una volta rientrati dalla missione, quali sono le conseguenze dal punto di vista nutrizionale che dovranno affrontare?

LR: Direi che appena tornano a terra dal punto di vista nutrizionale cercano di soddisfare quei bisogni primari che non hanno potuto soddisfare a bordo, come godersi un buon bicchiere di vino o una birra, dato che gli alcolici sono vietati a bordo della stazione. Sono disponibili solo soft drinks come tè, caffè e succhi di frutta. Credo che sia un grosso piacere anche poter godere di verdura e frutta fresca in quantità. A bordo frutta e verdura fresca arrivano solo in quantità molto limitate con la Progress russa perché tutti gli altri cargo vengono caricati due o tre mesi prima del lancio. Più in generale credo che il ritorno ad un cibo sano non preparato 24 mesi prima e non trattato sia comunque salutare. Comunque gli astronauti sono degli atleti quindi vigilano sempre molto sulla propria forma fisica.

JG: Possono tornare ad alimentarsi normalmente fin da subito o necessitano di un periodo di riadattamento?

LR: Assolutamente fin da subito senza nessun problema.

JG: Come si svolge il momento del pasto su una navetta spaziale?

LR: A bordo gli astronauti consumano in genere tre pasti principali (colazione, pranzo, cena) più degli snacks in orari intermedi a seconda della necessità, per esempio barrette energetiche dopo aver fatto la sessione giornaliera di due ore di sport. Colazione e pranzo, in genere, vengono consumati in modo individuale, al massimo in due se si sta condividendo un’attività, si tende a mangiare insieme. La cena invece, generalmente, coinvolge tutti in un momento conviviale: ci si ritrova dopo la giornata lavorativa, si chiacchiera e ci si rilassa in compagnia. A volte un astronauta offre ai colleghi parte del suo “bonus food”, il cibo speciale che ha portato con sé e che rappresenta un legame con le tradizioni culinarie del suo paese d’origine. Altre volte consumano semplicemente insieme le razioni dello standard food di stazione, ma è importante il momento di socializzazione e di condivisione anche per il benessere psicologico dell’equipaggio.

JG: In fatto di alimentazione, cosa è cambiato tra i primi viaggiatori spaziali e quelli attuali?

LR: Come si diceva in precedenza, durante i primi viaggi spaziali il cibo era semplice e praticamente insapore. Nei primissimi voli, come quello di Gagarin, il cibo non era una reale necessità, ma più un test scientifico. I medici volevano assicurarsi che si riuscisse a mangiare e a deglutire. Finché i voli ebbero durata breve la funzione del cibo era puramente quella di nutrire l’astronauta, ma non doveva essere per forza buono o gustoso. La prospettiva cambiò con l’aumentare dei periodi di missione, una settimana per le missioni Apollo, fino a tre mesi per le missioni Skylab. Gli astronauti fecero pressanti lamentele sulla qualità del cibo e la NASA capì che era importante non solo dal punto di vista nutrizionale ma anche dal punto di vista psicologico. Quindi iniziò a progettare e realizzare dei menù più simili a quelli terrestri, offrendo maggiore varietà e possibilità di scelta. Il periodo migliore per il cibo spaziale fu nell’era Shuttle: insieme ad una grande varietà di menù, sia standard sia bonus, era possibile avere a bordo frutta e verdura fresca dato che lo Shuttle poteva essere caricato fino a 48 ore prima del lancio. Come sapete già questo ora non è più possibile.

JG: Visto che si prospettano missioni a lungo termine, come potrebbe essere Marte, come ci si organizza per garantire un numero di prodotti alimentari sufficiente e che possa coprire il fabbisogno energetico e in nutrienti per tutto il periodo, sia di viaggio, sia di permanenza?

Esempio di stampante 3D per il cibo, con un alimento in produzione.

LR: Per quanto riguarda le missioni di esplorazione verso la Luna e Marte, che prevedono la costruzione di basi permanenti, ci saranno due principali problemi da risolvere: all’inizio la fornitura di cibo, che non potrà essere gestita come adesso, e poi la produzione di cibo in loco, che richiederà del tempo per arrivare a regime. A questo proposito si stanno studiando le serre idroponiche che potranno produrre verdura e frutta in quantità. Al momento sulla Stazione c’è un dimostratore americano chiamato Veggie, che è in realtà molto piccolo e consente una produzione minima. Lo scopo infatti non è sostituire l’attuale dieta degli astronauti, ma provare a produrre del cibo commestibile in condizioni di microgravità. Thales Alenia Space, in collaborazione con l’agenzia spaziale tedesca DLR, ha realizzato EDEN ISS, una serra di più grandi dimensioni (un container), che attualmente è in fase di test presso la base tedesca Neumayer III in Antartide. Per coprire il periodo necessario ad avviare una produzione locale di cibo si stanno studiando varie possibilità, tra cui l’utilizzo di stampanti 3D per il cibo, che utilizzino ingredienti di base per realizzare i piatti. Le ricette, studiate da nutrizionisti, si baseranno quindi su un numero limitato di ingredienti base, che stampati in serie, realizzeranno il piatto. Si pensa di usare ingredienti liofilizzati a cui verrà aggiunta l’acqua solo in fase di stampaggio. Questo garantirebbe la durata del cibo per 5 anni così come richiesto dai nuovi requisiti NASA per l’exploration. È da considerare anche la maggiore difficoltà nel far pervenire il cibo sulla Luna e su Marte, i costi e le tempistiche legate al trasferimento in loco, che sono certamente maggiori di quello ora richiesto per rifornire l’ISS.

JG: Abbiamo capito che esiste un nutrizionista che si occupa degli astronauti, ma come si diventa nutrizionista per l’ESA? 

LR: Naturalmente è necessario acquisire non solo le competenze di base ma anche una buona esperienza “sul campo” preferibilmente in situazioni estreme. Più in generale bisognerà rispondere ai requisiti fissati dall’ESA in un eventuale bando di concorso dedicato alla ricerca di figure di questo tipo.

JG: Grazie mille per le esaurienti spiegazioni, è stato davvero interessante scoprire certi aspetti della vita dell’astronauta.

Giunti a fine intervista abbiamo compreso come un’attività così semplice come alimentarsi, nello spazio nasconde molte difficoltà. A questo punto ci terrei a ringraziare la Dottoressa Liliana Ravagnolo per la sua disponibilità nel fornirci tante informazioni, la Dottoressa Daniela Souberan, responsabile della comunicazione di ALTEC e l’Ingegner Rosa Sapone, responsabile dell’unità organizzativa di Ingegneria dei Sistemi Aerospaziali.