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Violenza alla sede de La Stampa: un salto di qualità inquietante

«Un assalto di squadristi da isolare. Basta ambiguità verso Askatasuna» (Intervista del ministro Piantedosi al quotidiano La Stampa) 

Per molti critici, i nuovi fascisti sono quelli dei centri sociali (prevalentemente di sinistra) quando usano l’intolleranza per zittire chi non la pensa come loro

L’assalto alla sede torinese de La Stampa non è solo un episodio di vandalismo: è un salto di qualità inquietante nella degenerazione di una parte del mondo antagonista che, da anni, usa temi politici e sociali come pretesto per mettere in scena violenza, intimidazione e disordine.
Non c’entra il dibattito sulla Palestina, non c’entra la libertà di manifestare, non c’entra la critica al governo: ciò che si è visto in via Lugaro è stato puro teppismo.

Molti dei partecipanti — come confermato dagli accertamenti in corso — provengono dagli stessi ambienti che negli anni scorsi hanno trasformato proteste legittime in guerriglia urbana: dal movimento No Tav agli scontri contro l’immigrazione irregolare, fino alle manifestazioni studentesche. Una militanza che, più che politica, appare costruita sul culto del caos.

Il copione è purtroppo noto: si prende un tema di attualità, qualunque esso sia, lo si brandisce come scusa morale, e lo si usa per giustificare ciò che è — semplicemente — violenza organizzata.
E mentre una parte della politica continua a minimizzare, soprattutto a sinistra, gli effetti sono davanti agli occhi di tutti.

 


Le parole del ministro Piantedosi: “Uno squadrismo da isolare”

Nell’Intervista a La Stampa il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi non usa mezzi termini: quanto accaduto è stato un attacco ai principi democratici.

Riassumendo i punti più rilevanti dell’intervista:

Il passaggio più rilevante, però, è politico: il ministro chiede chiaramente di riconsiderare le concessioni pubbliche che hanno permesso ad Askatasuna di mantenere spazi istituzionali pur essendo protagonista, da anni, di disordini.

 


Una violenza annunciata»

Chi vive la Val di Susa o i quartieri torinesi vicini ai centri sociali più radicali lo sa bene: quello che si è visto in via Lugaro non nasce nel vuoto.
Da Susa a Bussoleno, da cortei “per la pace” trasformati in provocazione fino agli attacchi contro obiettivi politici, il modello è sempre lo stesso: occupazioni, intimidazioni, risse, e la sistematica volontà di mettere in scacco l’ordine pubblico.

È difficile non vedere un filo rosso: ogni volta si cerca di mascherare il disordine sotto parole come diritti, pace, solidarietà. Ma i fatti raccontano altro: un gruppo minoritario, organizzato e sempre uguale a sé stesso, che usa la protesta come teatro della violenza.


Chi attacca la stampa attacca tutti

Colpire una redazione significa colpire il cuore della democrazia. Non importa cosa si pensi di un giornale: la libertà di stampa è sacra proprio perché garantisce che tutte le opinioni, anche quelle scomode, possano esistere.

Quando un gruppo entra in una sede giornalistica devastando spazi, strumenti di lavoro e simboli della libertà di informazione, non sta difendendo la Palestina, né la democrazia, né la giustizia sociale.
Sta difendendo solo la propria volontà di imporre silenzio e paura.


Conclusione: fermare il gioco delle ambiguità

Per anni, una parte della politica ha derubricato questi episodi a “ragazzate”, “eccessi”, o addirittura “proteste comprensibili”.
Il risultato è davanti a tutti: un escalation che da tempo non ha più nulla di politico.

Le parole del ministro Piantedosi possono piacere o meno, ma fotografano un punto cruciale: non si può avere tolleranza verso chi attacca la stampa, la città e le istituzioni.
Chi sceglie la violenza è fuori dal campo democratico. Punto.

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