Vi sarete accorti che nel linguaggio anche pubblicitario di oggi tutto è super: super bello, super buono, super interessante, super carino. Una parola piccola, facile, che si infila dappertutto. Ma da dove arriva questa mania del “super”? E soprattutto: ha davvero un senso o è solo una scorciatoia linguistica?
Un tempo “super” era solo un prefisso, quello che si attaccava davanti a un’altra parola per dire “al di sopra” o “più grande”: supermercato, supereroe, superstrada. Poi è scappato dal suo posto grammaticale e ha cominciato a vivere di vita propria. Oggi lo usiamo come se fosse un avverbio: “È super!”, “Mi sono divertito super!”. È veloce, suona bene, e fa subito effetto. Insomma, è perfetto per la comunicazione social, dove si scrive in fretta e si deve colpire subito.
Ma — c’è un ma. L’abuso di “super” ha un piccolo effetto collaterale: appiattisce tutto. Se tutto è super, allora niente lo è davvero. Dire “super bello” o “bellissimo” non è la stessa cosa: nel primo caso si sceglie la via più rapida, nel secondo quella più precisa. L’italiano, che è una lingua ricca di sfumature, perde un po’ di colore se la riduciamo a una sola parola magica.
In realtà non è solo colpa dei Millenials. Tutti noi, tra chat, storie e post, usiamo parole “facili” per risparmiare tempo. Il problema è che così finiamo per parlare (e pensare) con un vocabolario sempre più corto. E la lingua, quando diventa troppo semplice, diventa anche un po’ più povera.
NO: NON SONO I GIOVANI A USARE SUPER COME AGGETTIVO
In base agli studi linguistici e sociologici più recenti (tra cui le analisi del CNR – “Giovani stra”, Treccani e l’Osservatorio della lingua italiana), l’uso di “super” come aggettivo o intensificatore — tipo “è super bello” o “super carino” — è più tipico dei Millennials (nati tra metà anni ’80 e metà anni ’90), e in parte ancora usato dalla Generazione Z (fine ’90–2010), ma meno centrale nella Generazione Alpha (post 2010).
PER CHI HA PIÙ TEMPO: UN APPROFONDIMENTO
Negli ultimi decenni, il prefisso “super”, di origine latina ma fortemente rivitalizzato dal contatto con l’inglese, ha conosciuto una notevole espansione semantica nell’italiano contemporaneo. Nella lingua giovanile, e più in generale nel linguaggio informale, esso si è progressivamente emancipato dalla funzione di prefisso per assumere il ruolo di avverbio intensificatore, impiegato in costruzioni come “super bello”, “super interessante”, “super divertente”. Questo uso, oggi pervasivo nei social network e nella comunicazione digitale, rappresenta un esempio paradigmatico di semplificazione espressiva e di tendenza all’iperbole comunicativa.
Dal punto di vista linguistico, “super” agisce come marcatore d’intensità, analogamente a forme tradizionali come “molto”, “davvero” o al suffisso “-issimo”. Tuttavia, la sua forza deriva meno dal valore morfologico e più dal valore pragmatico: “super” segnala appartenenza generazionale, informalità, rapidità comunicativa. È un marcatore identitario oltre che semantico. Come osservano diversi studi di linguistica dell’uso, la scelta di intensificatori nuovi o alternativi risponde a esigenze di differenziazione sociale e di modernità linguistica. Nella lingua giovanile, dunque, l’impiego di “super” riflette un’esigenza di espressione immediata e “globale”, coerente con l’orizzonte mediale in cui si forma e circola.
Eppure, dietro questa apparente vitalità, si cela una forma di impoverimento lessicale. L’uso eccessivo di “super” tende infatti a neutralizzare le sfumature semantiche, appiattendo la varietà espressiva che caratterizza la lingua italiana. Se ogni esperienza è “super” — “super carina”, “super faticosa”, “super emozionante” — il termine perde progressivamente il proprio potere intensificatorio e si trasforma in un semplice segnale di coinvolgimento generico. Il fenomeno si inserisce in un processo più ampio di inflazione dell’enfasi, tipico della comunicazione digitale contemporanea, in cui l’intensità linguistica diventa una strategia di visibilità più che di significato.
L’analisi sociolinguistica suggerisce che tale tendenza non è isolata. Il linguaggio dei giovani mostra una crescente predilezione per forme iperboliche, emotive e istantanee, spesso veicolate da elementi multimodali (emoji, abbreviazioni, immagini). In questo contesto, “super” risulta perfettamente funzionale: è breve, riconoscibile, interculturale. Tuttavia, proprio questa funzionalità ne segna il limite: l’efficacia comunicativa si accompagna a una progressiva perdita di densità lessicale e di precisione semantica.
L’uso di “super” come intensificatore può dunque essere letto come un indicatore della dinamica evolutiva della lingua, ma anche come sintomo di una tendenza alla semplificazione che interessa molti linguaggi sociali contemporanei. La lingua, com’è noto, si adatta ai bisogni comunicativi della società; ma quando la velocità e l’immediatezza diventano prioritarie, la capacità di nominare con esattezza rischia di ridursi. L’iperbole diventa così la norma, e il linguaggio perde la sua funzione discriminante.
In conclusione, “super” rappresenta una spia linguistica del nostro tempo: una parola che riflette insieme l’entusiasmo e la fretta del linguaggio digitale, la voglia di espressione e la tendenza alla semplificazione. Criticarne l’abuso non significa difendere un purismo anacronistico, ma ricordare che la ricchezza linguistica è anche una forma di pensiero. Quando la lingua si riduce a pochi marcatori emotivi, la realtà che possiamo esprimere si fa più povera. In un mondo “super” veloce, forse vale la pena tornare a essere semplicemente precisi.
CH USA DI PIÙ SUPER- TRA GENERAZIONI
Millennials (Gen Y)
Sono quelli che hanno davvero lanciato “super” nel linguaggio informale. Negli anni ’90 e 2000, “super” era una parola alla moda: derivava tanto dai fumetti e dai cartoni (supereroi, superpoteri) quanto dall’inglese “super cool”.
In quel periodo, dire “super bello” o “super divertente” suonava moderno, positivo, leggero. Era il modo giovane di dire “molto”, senza suonare troppo scolastico.
Generazione Z
Chi è nato tra fine anni ’90 e primi 2000 continua a usarlo, ma spesso in modo ironico o nostalgico, più che spontaneo. Nelle chat o nei social, “super” oggi compete con altre espressioni come “top”, “mega”, “iper”, “stra”, oppure con anglicismi come “so cute”, “very nice”, “amazing”.
Quindi: i Gen Z lo conoscono e lo usano, ma con una punta di consapevolezza linguistica. È un modo “carino”, a volte “vintage”, di parlare.
Generazione Alpha
I più giovani (nati dopo il 2010) lo usano molto meno. Nelle loro comunicazioni dominate da video, emoji e linguaggio visivo, le parole “super”, “stra” o “mega” appaiono più rare. Preferiscono espressioni brevi, visive o emotive (“”, “top”, “LOL”, “super cute” in inglese), o usano direttamente anglicismi e abbreviazioni.
Per loro “super” suona un po’ “vecchio stile” — un’eredità linguistica dei fratelli maggiori o dei genitori.
In sintesi:
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Millennials = generazione che ha reso “super” popolare;
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Gen Z = la usa, ma più per tono ironico o affettivo;
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Gen Alpha = quasi la abbandona, preferendo altre forme o emoji.