Gravita Zero: comunicazione scientifica e istituzionale

Lo strano caso del SARS-COV-2: la Pandemia Negata

di Massimo Auci, fisico

Il negazionismo figlio del complottismo è diventato sempre più un fenomeno emergente, tanto da coinvolgere per cercare di comprenderlo, scienziati, psicologi, sociologi, politici, giornalisti e pensatori ad ogni livello.
La pandemia di COVID 19 ha incredibilmente ampliato il fenomeno rendendolo un interessante e urgente oggetto di studio, in quanto rischia di far implodere l’intera società civilizzata.

 

La Pandemia

La storia della pandemia di COVID 19 prodotta dal virus SARS-COV-2 è nota a tutti ed è sotto gli occhi di tutti, quindi sembra impossibile che qualcuno non se ne sia ancora accorto. C’è chi non si è ancora ammalato, c’è chi si è ammalato ma non ha avuto quasi alcun disturbo, c’è chi è stato male come per una brutta influenza, chi molto male ma ora può ancora raccontare, chi non ce l’ha proprio fatta e dall’ospedale, semmai c’è arrivato, non ne è più uscito; in tutto questo, il Mondo intero per cercare di arrestare il contagio dilagante si è più volte fermato in un lock down che ci ha costretti a rinchiuderci tutti in casa, a mettere in opera misure di prevenzione quotidiana a cui mai avremmo pensato solo un anno fa di dover sottostare, a rinunciare ad ogni forma di socialità spontanea, a rinunciare all’affetto di parenti e amici. Niente più aperitivi, ristoranti, cinema e teatri, niente più musei, niente più viaggi ma soprattutto niente più libertà.

Proprio per ovviare a tutto questo, l’umanità intera ha fatto il possibile per cercare delle cure contro una malattia ancora oggi per molti versi sconosciuta, per realizzare e testare a tempi da record dei vaccini che se anche si è già iniziato a somministrare alla popolazione cominciando dai più esposti e dai più deboli, non sappiamo ancora quando e soprattutto se avrà l’effetto sperato permettendoci di tornare ad una accettabile normalità.

Il quadro sinottico della sindrome da COVID-19 oggi, ma domani potrebbe essere diverso, dopo circa 12 mesi di pandemia, un numero di contagi nel mondo stimato tra i 92 e i 95 milioni, 2 milioni di morti dichiarati dalle organizzazioni internazionali [1], una stima della letalità superiore al 2.23 %, cioè 4-5 volte superiore a quella di una normale influenza stagionale [2], non fa intravedere ancora la via d’uscita, anche se  giorno dopo giorno qualche miglioramento sembra esserci stato.

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La Testimonianza

Abbiamo chiesto ad alcuni medici italiani che hanno vissuto e vivono in prima linea in Italia gli effetti della epidemia la loro opinione. Non è stato semplice trovare chi accettasse di rispondere a poche innocenti domande, il timore di dire qualcosa di sconveniente e la mancata autorizzazione delle rispettive direzioni sanitarie a parlare pubblicamente non ha però influito nel riuscire a tracciare un quadro della situazione reale che emerge chiaramente nella sua complessità. Per motivi di riservatezza chiameremo i nostri intervistati solo con una iniziale.

La dottoressa C è dirigente medico a Medicina Interna in una città della Liguria.

Dottoressa com’è attualmente la situazione nel suo ospedale?

Ho prestato servizio in occasione di entrambi i picchi epidemici di marzo e ottobre presso un reparto di terapia sub-intensiva allestito ex-novo per questa emergenza; il reparto è stato attivo a partire dal 22 marzo fino al 24 aprile e dal 17 ottobre al 26 novembre, ora è stato finalmente chiuso a seguito del calo (locale) della curva dei contagi ma rimane tuttavia pronto per un’eventuale nuova apertura in caso la pressione sui reparti COVID lo rendesse necessario.

– Anche il dottor M. è un dirigente medico ospedaliero in un reparto di Cardiochirurgia in Lombardia e anche la sua testimonianza da questo stesso punto di vista può essere considerata rassicurante.

Anche il mio Reparto specialistico ha ripreso finalmente la consueta attività, in quanto l’ospedale ha ora (attivi) sia un Reparto che una Terapia Intensiva dedicati solo a pazienti COVID positivi. In aggiunta è stato anche aperto un Emergency Center- PS con percorsi dedicati a pazienti COVID o in attesa di tampone.

– Volendo fare dal suo punto di vista un confronto tra la prima e la seconda ondata, in una regione che possiamo dire senza ombra di dubbio essere stata tra le più colpite in Italia, si sono potute notare ad oggi delle differenze apprezzabili nel numero dei contagi e nel tipo di evoluzione della malattia?

Nel mio ospedale la seconda ondata ha avuto fino ad oggi un impatto nettamente inferiore rispetto alla prima, sia come numero assoluto di contagi che severità della malattia. La prima ondata ha tuttavia avuto un impatto drammatico, molto maggiore rispetto a tutte le altre realtà italiane e del mondo.

– Parlando del mondo, negli Stati Uniti la situazione sembra in questi giorni essere sfuggita di mano, forse è stata sottovalutata da una politica almeno inizialmente negazionista del Presidente Trump, lo stesso è accaduto però anche in alcuni stati europei.

Di questi giorni è la notizia che dato l’elevato numero di ricoveri non più gestibili, in California alle ambulanze è stato dato l’ordine di procedere al trasporto solo in base alla probabilità di sopravvivenza del malato. In Italia come ci si pone nei confronti della selezione operata a priori?

Credo che nella fase drammatica della prima ondata si sia stati (per forza maggiore) costretti a fare (anche noi) scelte dolorose ma razionali. Se però durante la prima fase si poteva anche non essere preparati, nella seconda fase l’impreparazione non è giustificabile (per nessuno al mondo). C’era stato tutto il tempo per mettere in atto provvedimenti specifici e adeguare il sistema sanitario ad una ampiamente prevista seconda ondata della pandemia.

– La dottoressa C ha invece avuto una diversa esperienza, infatti la Liguria pur essendo stata aspramente colpita, durante la prima ondata non ha vissuto situazioni drammatiche come quelle lombarde. Quale è stata la sua esperienza personale fino ad oggi?

Ho osservato nella seconda ondata sia un maggior numero di ricoveri, sia una maggior mortalità circa il 30% contro il 10 % della prima ondata. Queste differenze derivano da un’osservazione locale, quindi limitata, di scarsa significatività statistica che rispecchia tuttavia l’impressione e il vissuto di altri colleghi che hanno operato in setting semi-intensivi. Ritengo che la ragione di tale differenza vada ricercata nella maggiore incidenza di casi osservati nella seconda ondata, in parte spiegata da una maggior potenza diagnostica intesa come numero di tamponi effettuati e nella maggior precocità della diagnosi che ha portato a gestire completamente in ambito ospedaliero molti pazienti che invece durante la prima ondata, pur manifestando una sintomatologia severa, erano stati gestiti sul territorio giungendo così in ospedale (troppo tardi), con quadri di insufficienza respiratoria già avanzata. Infatti, il maggior tasso di mortalità nel corso della prima ondata si è registrato poco dopo l’arrivo in Pronto Soccorso (quindi prima del ricovero).

Incredulità e Scetticismo

Se è vero come alcuni sostengono che esistono malattie con letalità ben superiori a quella del COVID-19, è anche vero che lasciata libera di correre questa malattia ha un indice di contagio che supera rapidamente il valore limite unitario arrivando fino 2.3, quindi, con una crescita esponenziale del numero dei contagi che espone tutti gli over 50 ad un rischio crescente con l’età, sia per patologie pregresse, sia per le sintomatologie COVID-19 severe sempre in agguato con complicanze a carico di tutto l’organismo. A questo punto occorrerebbe essere lapalissiani. Per il diritto alla salute le persone malate vanno curate, non si può lasciarle morire senza nemmeno provare a salvarle cancellando di fatto in un colpo un’intera generazione, quindi, a causa dell’elevato numero di contagi i reparti ospedalieri si sono riempiti, le terapie intensive hanno esaurito i posti disponibili, gli ospedali hanno avuto difficoltà ad offrire a quanti ne avevano realmente bisogno le cure essenziali per le patologie ordinarie comportando così inevitabili e urgenti interventi di spesa per la Sanità Pubblica. Nonostante questo, come spesso accade di fronte a un evento talmente grande e traumatico da sembrare surreale, una parte della società rimane incredula, scettica, formando un mondo alternativo abitato da persone per le quali nulla di quanto abbiamo raccontato è vero. Per gli abitanti di questo mondo parallelo la pandemia non esiste, il COVID-19 non esiste, i morti per COVID-19 ovviamente non esistono, il vaccino è solo un modo per le case farmaceutiche di lucrare alle nostre spalle e di approfittare di tutti i creduloni malcapitati che accetteranno di sottoporsi a vaccinazione. Alcuni medici poi sono talmente conviti che si sono presi la responsabilità di esporsi alle critiche del mondo e della scienza affermando attraverso i social e i media, ma anche accettando di parlare in pubblico, che quella del COVID-19 non è una reale emergenza, altri ancora che il trattamento con la clorochina è l’arma più efficace ma non lo si vuole dire per permettere alle lobbies farmaceutiche di arricchirsi. Alcuni si sono spinti anche ad affermare la pericolosità e l’inutilità del vaccino anti-COVID, dichiarando che la vaccinazione è un rischio inutile.

Dottoressa C, su che base secondo lei si possono fare queste affermazioni?

La malattia da COVID-19 presenta ancora molti aspetti ignoti a tutta la comunità scientifica, sia per quanto riguarda la fisiopatologia sia, a maggior ragione, per quanto riguarda gli aspetti terapeutici. Si tratta di una malattia nuova e per quanto le nostre conoscenze scientifiche siano per fortuna sempre in rapida evoluzione, chiunque pensi di avere certezze sbaglia. Abbiamo poche evidenze scientifiche che in futuro potrebbero anche essere smentite, ma al momento sono l’unica arma in nostro possesso ed è dovere etico e scientifico per ogni professionista sanitario basarsi su di esse. Quindi pur rispettando la libertà di opinione, trovo grave che un professionista influenzi chi non ha gli strumenti conoscitivi adeguati a formarsi un‘opinione propria e ne approfitti per divulgare opinioni del tutto personali basate sul proprio vissuto e sulla propria emotività. La negazione della malattia è una reazione normale dell’essere umano di fronte alle sofferenze, ma va distinta chiaramente dalla razionalità della scienza e non deve essere confusa con la divulgazione scientifica.

– Lei dottor M cosa pensa di questi liberi pensatori suoi colleghi?

Sulla base della loro ignoranza li ignoro. Così come ignoro altri, troppi “tuttologi” che quotidianamente scrivono sui social o appaiono a pontificare in televisione.

– Dottoressa C, il cavallo di battaglia di certe affermazioni negazioniste è che il COVID-19 è una semplice influenza e anche la sua letalità non è dissimile. Lei ritiene che ci sia un fondo di verità o questa è solo un’ulteriore visione distorta della realtà?

Dire che la malattia da COVID-19 sia poco più di un’influenza basandosi unicamente sul dato di letalità globale è una visione miope e strumentale volta a creare una falsa rassicurazione nella popolazione. Se pur la letalità della malattia non è molto diversa da quella dell’influenza stagionale, il fattore determinante è l’aspetto pandemico e l’elevatissima contagiosità del virus che porta ad avere un numero di morti/malati gravi totali molto elevato, che supera la capacità di gestione del nostro sistema sanitario. A ciò si aggiunge il fatto che per questa patologia non c’è (ad oggi) cura dimostrata efficace, mentre il virus dell’influenza risponde bene alla terapia antivirale. Per la malattia da COVID-19 le uniche evidenze sono a favore di terapie di supporto.

– La principale obiezione che si solleva all’uso del vaccino e che non sussistono ad oggi sufficienti test per affermare che non ci sono rischi nella somministrazione. Lei dottoressa come medico come si pone nei confronti di questa affermazione?

Finché non si saranno trovate terapie mirate efficaci per combattere questa malattia, l’unica arma in nostro possesso è la prevenzione dei contagi che può essere ottenuta o mediante un lock down prolungato e generalizzato o mediante copertura vaccinale. In medicina vige il principio sacro del rapporto rischio beneficio, ogni scelta terapeutica è guidata dal confronto tra il rischio della malattia e il rischio del trattamento. Tanto più questo concetto deve essere applicato ad una collettività, per cui al rischio individuale si sovrappone e si interseca il rischio per l’intera comunità mondiale.

– Chi decide se utilizzare un vaccino e quando?

  I vaccini attualmente disponibili sono stati tutti autorizzati dall’FDA “all’uso in emergenza” in quanto hanno seguito le corrette procedure richieste per l’immissione in commercio. Credo però che una corretta informazione non debba tacere sulle incognite ancora presenti riguardo all’utilizzo dei vaccini, ma debba fornire (alla popolazione) gli elementi per prendere una scelta libera e informata. Allo stato delle nostre conoscenze i potenziali benefici dell’uso di un vaccino superano di gran lunga i rischi che un ulteriore prolungamento indefinito della pandemia causerebbe a tutta la comunità mondiale.

Il Negazionismo

Nel mondo parallelo di chi rifiuta le evidenze qualcuno si spinge addirittura a sostenere che il vaccino possa essere usato per inoculare sostanze per il controllo farmacologico degli individui o un microchip con chissà quali funzionalità. Più che di una pandemia, saremmo quindi protagonisti di un’emergenza democratica, un complotto in piena regola ordito ai danni della popolazione del mondo intero da pochi grandi super-ricchi con la connivenza dei governi e delle istituzioni e tutto questo solo per andare incontro a non si sa bene quali possibili interessi personali. Una storia questa che sicuramente fa impallidire l’invenzione della SPECTRE nei romanzi di Ian Lancaster Fleming, contro la quale l’impavido agente 007 è in lotta da sempre per sventarne i complotti.  Storie quelle dei complotti negazionisti che potrebbero anche strappare un sorriso se non fosse che non si tratta di pochi fantasiosi ma di una consistente parte della popolazione del mondo globalizzato che, anche se con varianti più o meno fantastiche [3] la sostiene in pieno.  Solo nel nostro paese una stima basata sui contenuti dei social, porta a stimare i simpatizzanti di questo mondo parallelo ad essere a vario titolo almeno il 50% degli utilizzatori attivi dei social, una stima difficile da avvallare e raffinare, in quanto molte persone pur sposando tesi affini non si espongono in prima persona sui social e nella vita, invece altri pur non aderendo apertamente, piuttosto che credere ad una realtà drammatica e incomprensibile proprio perché senza dei veri e propri perché, sono propensi a simpatizzare con le idee negazioniste proposte. Una spaccatura insomma questa, che ha persino spinto la Commissione Europea a delle contromisure almeno sul piano informativo e culturale [4], che seppur blande, sono comunque un primo utile passo verso la verità.

Negare l’evidenza crea problemi politici, economici ed organizzativi proprio perché il negazionismo non è un fenomeno localizzato in una particolare nicchia sociale ma è trasversale, coinvolge ogni categoria sociale compreso il mondo della politica e ha l’inevitabile effetto di rallentare le contromisure necessarie ad arginare la pandemia. Le persone non completamente convinte volontariamente o involontariamente operano ogni forma possibile di ostruzionismo e questo lo si nota nella poca determinazione con cui nei vari paesi del mondo si sono messe immediatamente in atto le misure necessarie per rallentare l’avanzata del COVID-19. Nessuno, come invece si sarebbe dovuto, ha operato un lock down totale fino a decrescita della curva dei contagi, iniziando contemporaneamente una massiccia campagna a tappeto di vaccinazioni. Aprire un po’e chiudere un po’ vaccinando solo chi vuole vaccinarsi come stiamo facendo ora è un tentennamento che sembra per il momento non essere vincente, scontenta sicuramente tutti e non fa diminuire il numero di morti. Certo che se mille morti al giorno per COVID-19 è un sacrificio accettabile, per noi in Italia va tutto bene.

Il Re è Nudo

Ma a chi giova negare? Negare l’esistenza di un problema quando è chiaramente visibile agli occhi di tutti è tipico dell’età infantile, una difesa più o meno volontaria, a volte istintiva, operata all’insorgere di situazioni difficili. Un aiuto istintivo per gestire emotivamente situazioni di impaccio. Una prassi però tipica anche in età adulta, in quanto piuttosto che affrontare una realtà scomoda si preferisce negarla, anche se negare porta spesso a situazioni ancor più complesse di quelle che si vorrebbero evitare.

Primo nella storia della psicologia a parlare di negazione dell’evidenza è stato Sigmund Freud, esistono però nell’uso linguistico comune varie forme lessicali che ridicolizzano l’atto della negazione dell’evidenza attestandone però la pratica nel tempo: “nascondersi dietro un dito”, “fare lo struzzo”, “non vedere l’elefante nella stanza”. Persino nella letteratura la negazione ha il suo posto d’onore nella nota fiaba di Hans Christian AndersenI vestiti nuovi dell’Imperatore”, in cui il sovrano ingannato da mercanti tessitori imbroglioni è sontuosamente vestito da abiti che solo gli stolti non sono in grado di vedere, quindi, nessuno può o ha il coraggio di ammettere che il Re è nudo se non un bambino che nulla ha da temere. Ciò nonostante il sovrano negando l’evidenza, continua nella sua sfilata impettito come se nulla fosse.

Se è vero che la negazione ci permette di guadagnare tempo di fronte ad un problema scomodo e inatteso dandoci la possibilità di adattarci alla nuova situazione per affrontarla con la necessaria consapevolezza, l’ostinazione in un individuo nel negare la realtà è da considerarsi una patologia grave. Il problema però si complica quando la negazione della realtà riguarda un’intera società. Come mai più persone contemporaneamente senza nessun accordo tra loro negano ciò che è invece evidente? Il primo ad affrontare il problema nella negazione della Shoah è lo psicologico Dan Bar-On, il tema successivamente è stato approfondito dal sociologo Evitar Zerubavel nella sua opera “The Elephant in the Room: Silence and Denial in Everyday Life” [5]. Il libro affronta la cospirazione del silenzio come modello sociale praticato. Zerubavel infatti afferma che il silenzio verso un certo avvenimento, quindi la negazione di una realtà evidente a tutti, è tanto più forte quante più persone sono coinvolte e quanto più lungo è il tempo in cui queste sono state a vario titolo coinvolte. Perché quindi negare l’esistenza della pandemia? Perché creare un intero mondo parallelo dove si inventano storie complesse per dare una spiegazione a ciò che invece una spiegazione non ha? Basterebbe l’applicazione del principio del rasoio di Occam per cui la verità è sempre quella più semplice per comprendere che non esiste alcun complotto.

Il Modello

Per cercare di comprendere proviamo a modellizzare ciò che accade per la negazione del COVID-19. Supponiamo di dividere tutta la popolazione in tre gruppi di individui A, B, C, tutti appartenenti a tre generazioni: A è la più giovane e desiderosa di fare nuove ed emozionanti esperienze e C è la più vecchia e più debole. La C fa poca vita sociale ed è quasi sempre chiusa in casa. La B è la generazione del lavoro, dei viaggi e del benessere sociale. La A è invece economicamente a carico della B ed è quella più dedita alla socialità. Improvvisamente arriva una malattia sconosciuta, il COVID-19 appunto, che colpisce soprattutto il gruppo C facendo morire i suoi componenti che per avere la possibilità di sopravvivere devono essere ospedalizzati. Pochi del gruppo B muoiono, quasi nessuno del gruppo A si ammala in modo grave. Si spiega che la malattia è veicolata a lungo raggio dal gruppo B e localmente dal gruppo A che di fatto sono i portatori del contagio. Si obbligano quindi i gruppi A e B a rimanere chiusi in casa eliminando ogni contatto interpersonale con il gruppo C. Gli individui A e B devono rinunciare alla socialità, al lavoro, al denaro per il benessere del gruppo C che così riesce a non ammalarsi. Nei gruppi A e B si forma una corrente di pensiero che non accetta emotivamente di sentirsi responsabile della malattia del gruppo C. Rifiuta la responsabilità, nascono ipotesi alternative, quindi, negazioniste per trovare una risposta diversa sull’origine della malattia. Anche se le spiegazioni sono complicate e prive di evidenza scientifica, altri individui accettano e sostengono le teorie negazioniste perché emotivamente comode. Più trascorre il tempo più è scomodo per questi individui tornare indietro ed accettare l’evidenza, quando invece basterebbe solo negare il senso di colpa sociale in favore della semplice solidarietà. 

Bibliografia utile

[1] Istituto Superiore di Sanità: Contagi

[2] EpiCentro: Influenza

[3] Nature: The epic battle against coronavirus misinformation and conspiracy theories

[4] Commissione Europea: Individuare le teorie del complotto

[5] Discourse & Communication: The Elephant in the Room: Silence and Denial in Everyday Life

Massimo Auci è nato a Roma nel 1955. Si è laureato in Fisica Cosmica all’Università di Torino dove ha lavorato presso il Dipartimento di Fisica Generale fino al 1995. Docente di Fisica e Matematica presso la Scuola Internazionale Europea di Torino è autore di numerosi articoli scientifici, libri e saggi. Vicepresidente di Odisseo Space che opera nel settore della ricerca e della formazione in campo aerospaziale, collabora come Science Editor con il portale di comunicazione e divulgazione scientifica “Gravità Zero” di cui è tra i fondatori.