“Le affermazioni non supportate dai dati falsano il confronto democratico e rischiano di spingere gli italiani a votare per abrogare norme che funzionano. La verità, nel caso in cui la si consideri ancora un valore, è che il mercato del lavoro italiano ha dei punti deboli, ma sta migliorando.” (Luciano Capone, Il Foglio, 2025)
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Confutazione delle affermazioni di Landini:
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Aumento della precarietà e dei contratti a termine: Landini sostiene che la precarietà lavorativa sia aumentata in modo senza precedenti, con una crescita dei contratti a tempo determinato. Capone cita la Banca d’Italia, che evidenzia come la crescita occupazionale nel 2024 sia stata guidata da contratti a tempo indeterminato, con una riduzione dei contratti a termine, specialmente tra i giovani (15-24 anni), scesi al livello più basso degli ultimi 17 anni.
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Crescita occupazionale dovuta al part-time: Landini afferma che l’aumento dell’occupazione sia dovuto principalmente a un incremento dei lavori part-time, spesso involontari. Capone smentisce questa tesi, riportando che il part-time involontario è diminuito al minimo storico (51,3% dei lavoratori part-time nel 2024, contro il 65,6% nel 2019, secondo ISTAT), e che l’occupazione a tempo pieno è cresciuta in modo significativo.
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Diminuzione delle ore lavorate: Landini sostiene che, nonostante l’aumento degli occupati, le ore lavorate siano diminuite, indicando un lavoro di qualità inferiore. Capone controbatte con i dati della Banca d’Italia, che mostrano un aumento delle ore lavorate del 2,1% nel 2024, superiore alla crescita dell’occupazione (1,6%), con un incremento generalizzato, soprattutto tra i giovani.
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Peggioramento del mercato del lavoro con contratti instabili: Landini descrive un mercato del lavoro trasformato in peggio, con più contratti a termine e instabili. Capone evidenzia che, secondo i dati amministrativi, le trasformazioni da contratti a termine a contratti stabili hanno superato le nuove attivazioni di contratti a termine dal 2022, e che l’occupazione è cresciuta grazie a contratti a tempo indeterminato, non a quelli precari.
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Critica alla disinformazione della CGIL: Capone accusa la CGIL di diffondere “falsità interessate” per promuovere il referendum, sostenendo che le loro affermazioni non siano supportate dai dati. Egli ritiene che tali narrazioni distorcano il confronto democratico e possano spingere gli italiani a votare per abrogare norme, come quelle del Jobs Act, che invece funzionano, contribuendo a una crescita occupazionale robusta.
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Riconoscimento delle criticità esistenti: Pur criticando la CGIL, Capone riconosce che il mercato del lavoro italiano presenta problemi, come le disparità regionali (soprattutto nel Mezzogiorno) e i salari bassi. Tuttavia, sottolinea che il mercato del lavoro è in miglioramento, grazie anche alle misure del PNRR, e che le affermazioni di Landini esagerano i problemi per scopi politici.
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Difesa del mercato del lavoro attuale: L’autore sostiene che i dati della Banca d’Italia dimostrano un mercato del lavoro “robusto”, con una crescita occupazionale sostenuta nel 2024, anche in presenza di una crescita economica più debole. Egli enfatizza che le riforme, come il Jobs Act, hanno favorito una maggiore stabilità lavorativa, contrariamente a quanto sostenuto dalla CGIL.
IL NOSTRO FACT CHECKING
Affermazione 1: Posizione della CGIL: Maurizio Landini sostiene che la precarietà lavorativa è aumentata significativamente, guidata da un aumento dei contratti a tempo determinato (temporanei).
Verifica dei fatti:
- Rapporto Annuale 2024 della Banca d’Italia: Il rapporto afferma che la crescita occupazionale nel 2024 è stata principalmente trainata da contratti a tempo indeterminato, non da quelli a tempo determinato. Si legge: “La crescita dell’occupazione è stata guidata da posizioni di lavoro dipendente a tempo indeterminato, meno sensibili ai cicli economici rispetto alle posizioni a tempo determinato.” Inoltre, si evidenzia che dal ottobre 2022 il numero di trasformazioni da contratti a tempo determinato a contratti a tempo indeterminato ha superato le nuove attivazioni di contratti a tempo determinato. La quota di contratti a tempo determinato è diminuita, in particolare tra i lavoratori più giovani (15-24 anni), raggiungendo il livello più basso degli ultimi 17 anni.
- Dati ISTAT: Secondo il rapporto sul mercato del lavoro del terzo trimestre 2024 dell’ISTAT, i dipendenti a tempo indeterminato sono aumentati di 111.000 unità (+0,7%) rispetto al secondo trimestre 2024, mentre i dipendenti a tempo determinato sono diminuiti di 37.000 unità (-1,3%). Su base annua (terzo trimestre 2024 rispetto al terzo trimestre 2023), i dipendenti a tempo indeterminato sono cresciuti del 3,6%, mentre i dipendenti a tempo determinato sono diminuiti del 5,9%. Ciò indica uno spostamento verso un’occupazione più stabile.
- Indagine Confindustria 2023: Confindustria riporta un aumento dell’1,7% dei dipendenti a tempo indeterminato e una diminuzione del 5,4% dei dipendenti a tempo determinato nelle aziende associate tra il 2022 e il 2023, rafforzando la tendenza alla riduzione della precarietà.
- Prospettiva della CGIL: La campagna della CGIL per il referendum del 2025 sottolinea la precarietà, citando 3 milioni di contratti a tempo determinato e altre forme di lavoro instabile (ad esempio, contratti a chiamata, lavoro tramite agenzie). Tuttavia, i loro dati si riferiscono spesso alle attivazioni lorde di contratti (ad esempio, 7 milioni di contratti in un anno, di cui solo il 16% a tempo indeterminato), il che può essere fuorviante poiché include rinnovi a breve termine e non tiene conto delle tendenze occupazionali nette o delle trasformazioni in contratti a tempo indeterminato.
Verdetto: Falso. L’affermazione di Landini (CGIL) di un “aumento senza precedenti della precarietà” dovuto a un aumento dei contratti a tempo determinato non è supportata dai dati. Sia la Banca d’Italia che l’ISTAT confermano che i contratti a tempo indeterminato hanno guidato la crescita occupazionale, mentre i contratti a tempo determinato sono diminuiti, in particolare per i lavoratori più giovani. La dipendenza della CGIL dai dati delle attivazioni lorde di contratti esagera la precarietà, ignorando le tendenze nette e le trasformazioni contrattuali.
Affermazione 2: “L’occupazione è aumentata, ma a causa della crescita dei lavori part-time.” Posizione della CGIL: Landini suggerisce che l’aumento dell’occupazione sia dovuto principalmente a un incremento dei lavori part-time, implicando un’occupazione di qualità inferiore.
Verifica dei fatti:
- Rapporto Annuale 2024 della Banca d’Italia: Il rapporto nota che il lavoro part-time rappresenta il 18,7% dell’occupazione totale, con il part-time involontario (lavoratori che preferirebbero il tempo pieno ma lavorano part-time) diminuito al livello più basso da quando l’ISTAT ha iniziato a monitorare questa metrica. In particolare, il part-time involontario è sceso dal 65,6% dei lavoratori part-time nel 2019 al 51,3% nel 2024, indicando che quasi la metà dei lavoratori part-time sceglie questo orario.
- Dati ISTAT: Il rapporto ISTAT del terzo trimestre 2024 mostra che, sebbene le posizioni part-time siano cresciute dello 0,4% su base trimestrale, le posizioni a tempo pieno sono cresciute a un tasso simile (0,5%). Su base annua, le posizioni a tempo pieno sono aumentate del 2,6%, superando leggermente la crescita del part-time (2,4%). Ciò suggerisce che la crescita occupazionale non è prevalentemente guidata dal lavoro part-time.
- Contesto storico: Un rapporto del 2023 della Fondazione Di Vittorio (allineata con la CGIL) ha sostenuto che il lavoro part-time, specialmente involontario, è aumentato significativamente, citando un aumento da 1,3 milioni di lavoratori part-time involontari nel 2008 a 2,7 milioni nel 2020. Tuttavia, i dati ISTAT più recenti contraddicono questa tendenza, mostrando una diminuzione del part-time involontario dalla ripresa post-COVID.
- Prospettiva di Confindustria: L’indagine di Confindustria del 2023 non affronta specificamente le tendenze del part-time, ma sottolinea la crescita occupazionale complessiva, in particolare nei contratti a tempo indeterminato, suggerendo che il lavoro part-time non è il principale motore degli aumenti occupazionali.
Verdetto: Falso. L’affermazione di Landini (CGIL) che la crescita occupazionale sia dovuta principalmente a lavori part-time è errata. Sebbene l’occupazione part-time sia aumentata, la crescita dell’occupazione a tempo pieno è comparabile o più forte, e il part-time involontario è diminuito significativamente, indicando una maggiore scelta dei lavoratori negli orari di lavoro.
Affermazione 3: “Il numero di occupati è aumentato, ma le ore lavorate sono diminuite.” Posizione della CGIL: Landini sostiene che, sebbene l’occupazione sia aumentata, le ore lavorate totali siano diminuite, suggerendo un lavoro meno intensivo o di qualità inferiore.
Verifica dei fatti:
- Rapporto Annuale 2024 della Banca d’Italia: Il rapporto contraddice direttamente questa affermazione, dichiarando: “Il numero di occupati e le ore lavorate sono aumentati rispettivamente dell’1,6% e del 2,1% nel 2024, rispetto all’1,9% e al 2,5% nel 2023.” Inoltre, si nota che dal 2015 (pre-Jobs Act), le ore lavorate sono cresciute più rapidamente dell’occupazione, in particolare tra i lavoratori più giovani.
- Dati ISTAT: Il rapporto ISTAT del terzo trimestre 2024 conferma che le ore lavorate sono aumentate dello 0,2% su base trimestrale e dell’1,5% su base annua, nonostante un lieve calo trimestrale delle ore lavorate per dipendente (-1,0%) dovuto a fattori stagionali. A lungo termine, le ore lavorate sono aumentate in linea con la ripresa economica post-COVID.
- Analisi di Pagella Politica: Un articolo di Pagella Politica nota che le ore lavorate per dipendente nei settori dell’industria e dei servizi sono tornate ai livelli pre-COVID nel 2023 e si sono stabilizzate, con una tendenza storica a lungo termine di riduzione delle ore dovuta a un aumento della produttività, non alla precarietà. L’economista Riccardo Trezzi spiega che una leggera riduzione delle ore lavorate per dipendente, se associata a meno contratti a tempo determinato, potrebbe indicare un mercato del lavoro più stabile e produttivo.
- Prospettiva della CGIL: L’affermazione della CGIL potrebbe derivare da dati più vecchi, come il rapporto 2023 della Fondazione Di Vittorio, che ha rilevato un calo delle ore lavorate medie per dipendente da 413 nel 2008 a 393 nel 2022. Tuttavia, questa metrica riflette una tendenza a lungo termine nelle economie sviluppate e non tiene conto del recente aumento delle ore lavorate totali guidato da una maggiore occupazione.
Verdetto: Falso. L’affermazione che le ore lavorate siano diminuite mentre l’occupazione è aumentata è errata. I dati della Banca d’Italia e dell’ISTAT mostrano che le ore lavorate totali sono aumentate nel 2024, insieme alla crescita occupazionale. Il lieve calo delle ore lavorate per dipendente è coerente con i miglioramenti della produttività e non supporta la narrativa di una riduzione dell’intensità lavorativa.
Affermazione 4: “Il mercato del lavoro si è trasformato in peggio, con più contratti instabili e a tempo determinato rispetto a prima.”
Posizione della CGIL (secondo l’articolo): Landini sostiene che il mercato del lavoro sia peggiorato, con un aumento dei contratti instabili e a tempo determinato rispetto ai periodi precedenti.
Verifica dei fatti:
- Rapporto Annuale 2024 della Banca d’Italia: Il rapporto afferma che la crescita occupazionale è stata guidata da contratti a tempo indeterminato, con una riduzione dei contratti a tempo determinato. Si legge: “Dal ottobre 2022, le trasformazioni di contratti a tempo determinato in contratti a tempo indeterminato hanno superato le nuove attivazioni di contratti a tempo determinato, con la quota più bassa di contratti a tempo determinato in 17 anni, in particolare per la fascia di età 15-24 anni.” Inoltre, si evidenzia che il lavoro autonomo (spesso considerato meno stabile) non è cresciuto significativamente ed è limitato a ruoli ad alta qualificazione.
- Dati ISTAT: Il rapporto ISTAT del terzo trimestre 2024 conferma un aumento annuo del 3,6% dei dipendenti a tempo indeterminato e del 2,6% dei lavoratori autonomi, a fronte di una diminuzione del 5,9% dei dipendenti a tempo determinato. Negli ultimi due anni, sono stati creati circa 1 milione di posti di lavoro a tempo indeterminato in più, con 200.000 posti a tempo determinato in meno.
- Indagine Confindustria 2023: Confindustria riporta un aumento dell’1,7% dei contratti a tempo indeterminato e una diminuzione del 5,4% dei contratti a tempo determinato nel 2023, con i contratti a tempo indeterminato che rappresentano il 92,6% dell’occupazione nelle aziende associate.
- Prospettiva della CGIL: La campagna referendaria della CGIL (Quesito 3) punta alla liberalizzazione dei contratti a tempo determinato ai sensi del Decreto Legislativo 81/2015, sostenendo che consente contratti a breve termine “abusivi” senza giustificazione. Citano un alto numero di contratti a tempo determinato (3 milioni) e altre forme di lavoro precario. Tuttavia, i loro dati riflettono spesso attivazioni lorde piuttosto che tendenze occupazionali nette e non tengono conto del significativo spostamento verso contratti a tempo indeterminato dal 2022.
- Contesto aggiuntivo: Il rapporto EURES dell’Unione Europea nota che il mercato del lavoro italiano nel 2024 è caratterizzato da un alto grado di contrattazione collettiva (copertura del 100%), che supporta salari minimi stabili, e un tasso di posti vacanti (2,3%) in linea con la media UE, suggerendo un mercato del lavoro robusto.
Verdetto: Falso. L’affermazione che il mercato del lavoro sia peggiorato a causa di più contratti instabili e a tempo determinato non è supportata dalle prove. I dati della Banca d’Italia, dell’ISTAT e di Confindustria mostrano costantemente uno spostamento verso contratti a tempo indeterminato, una riduzione dei contratti a tempo determinato e una stabilizzazione del mercato del lavoro, in particolare per i lavoratori più giovani.
Contesto aggiuntivo e analisi critica
- Campagna referendaria della CGIL: La spinta della CGIL per il referendum di giugno 2025, in particolare il Quesito 3, mira a ripristinare l’obbligo per i datori di lavoro di fornire una giustificazione (causale) per i contratti a tempo determinato inferiori a 12 mesi, sostenendo che le leggi attuali favoriscano la precarietà. Sebbene le loro preoccupazioni sull’abuso dei contratti a breve termine possano avere merito in settori specifici (ad esempio, turismo, agricoltura), i dati complessivi non supportano la narrativa di una “precarietà senza precedenti”. L’uso di cifre di attivazioni lorde di contratti (ad esempio, l’84% dei contratti è temporaneo) è fuorviante, poiché non riflette le tendenze occupazionali nette o la crescente stabilità dei posti di lavoro.
- Jobs Act e contesto storico: Il Jobs Act (2014-2015) ha liberalizzato i contratti a tempo determinato e modificato le protezioni contro i licenziamenti (non abolendo l’articolo 18, contrariamente ad alcune affermazioni, poiché ciò è stato riformato sotto Monti nel 2012). I critici della CGIL sostengono che il Jobs Act abbia contribuito alla crescita occupazionale riducendo le barriere all’assunzione, mentre la CGIL sostiene che abbia aumentato la precarietà. I dati dal 2022, tuttavia, mostrano una chiara tendenza verso i contratti a tempo indeterminato, suggerendo che le riforme del mercato del lavoro non abbiano portato all’instabilità diffusa descritta dalla CGIL.
- Sfide rimanenti: L’articolo riconosce problemi persistenti, come le disparità regionali (ad esempio, tassi di occupazione più bassi nel Mezzogiorno) e i salari bassi, che si allineano con analisi più ampie. Ad esempio, il rapporto EURES dell’UE nota che i guadagni lordi medi dell’Italia (€2.791/mese nel 2023) sono inferiori alla media UE27 (€3.417), e la crescita salariale è stata più lenta rispetto ad altri paesi UE. Questi problemi, tuttavia, non sono direttamente legati a un aumento della precarietà o dei contratti a tempo determinato.
- Possibile pregiudizio nell’articolo: L’articolo di Luciano Capone su Il Foglio critica fortemente la CGIL, accusandola di “disinformazione” e “falsità”. Sebbene i dati supportino la sua confutazione delle affermazioni della CGIL, il tono e l’inquadratura (ad esempio, “mondo al contrario”, “menzogne”) possono riflettere un pregiudizio contro l’agenda più ampia della CGIL. Le preoccupazioni della CGIL sui salari bassi e le protezioni dei lavoratori, sebbene non direttamente supportate dalle loro affermazioni relative al referendum, trovano eco nelle sfide documentate del mercato del lavoro italiano, come la stagnazione salariale e la disoccupazione giovanile.
PER CONCLUDERE
Tutte e quattro le affermazioni attribuite alla CGIL e criticate nell’articolo sono false sulla base dei dati disponibili:
- La precarietà non è aumentata in modo senza precedenti; i contratti a tempo determinato sono diminuiti, e i contratti a tempo indeterminato hanno guidato la crescita occupazionale.
- La crescita occupazionale non è dovuta principalmente a lavori part-time; l’occupazione a tempo pieno è cresciuta a un tasso comparabile o superiore, e il part-time involontario è diminuito.
- Le ore lavorate non sono diminuite; le ore lavorate totali sono aumentate nel 2024, insieme alla crescita occupazionale.
- Il mercato del lavoro non è peggiorato con più contratti instabili; i contratti a tempo indeterminato sono aumentati, e i contratti a tempo determinato sono diminuiti significativamente.
Il Rapporto Annuale 2024 della Banca d’Italia, i dati sul mercato del lavoro del terzo trimestre 2024 dell’ISTAT e l’indagine di Confindustria del 2023 mostrano costantemente un mercato del lavoro robusto con un’occupazione in aumento, un incremento delle ore lavorate e uno spostamento verso contratti a tempo indeterminato. La campagna referendaria della CGIL sembra basarsi su dati obsoleti o presentati in modo selettivo, come le attivazioni lorde di contratti, che esagerano la precarietà. Tuttavia, le loro preoccupazioni più ampie sui salari e le disparità regionali evidenziano problemi validi non completamente affrontati nell’articolo. Per informazioni accurate sul mercato del lavoro, gli elettori dovrebbero consultare fonti primarie come ISTAT e la Banca d’Italia piuttosto che affidarsi esclusivamente alle narrazioni della CGIL o di Capone.
Spiegazione dei dati ISTAT
I dati ISTAT citati nel fact-checking provengono principalmente dal rapporto sul mercato del lavoro del terzo trimestre 2024, che fornisce un’istantanea dettagliata delle tendenze occupazionali in Italia. Ecco una spiegazione chiara e concisa dei dati rilevanti:
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Crescita occupazionale:
- Nel terzo trimestre 2024, il numero di occupati è aumentato di 74.000 unità (+0,3%) rispetto al secondo trimestre 2024 e di 460.000 unità (+2,0%) rispetto al terzo trimestre 2023.
- I dipendenti a tempo indeterminato sono cresciuti di 111.000 unità (+0,7%) su base trimestrale e del 3,6% su base annua, mentre i dipendenti a tempo determinato sono diminuiti di 37.000 unità (-1,3%) trimestralmente e del 5,9% annualmente. Questo indica una chiara tendenza verso una maggiore stabilità lavorativa.
- I lavoratori autonomi sono aumentati del 2,6% su base annua, ma rappresentano una quota minore dell’occupazione totale rispetto ai dipendenti a tempo indeterminato.
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Lavoro part-time:
- Il lavoro part-time rappresenta il 18,7% dell’occupazione totale, con una crescita dello 0,4% su base trimestrale e del 2,4% su base annua. Tuttavia, la crescita del lavoro a tempo pieno (2,6% annuo) è stata leggermente superiore, smentendo l’idea che l’aumento occupazionale sia guidato esclusivamente dal part-time.
- Il part-time involontario (lavoratori che preferirebbero un lavoro a tempo pieno) è diminuito al 51,3% dei lavoratori part-time nel 2024, rispetto al 54,8% nel 2023 e al 65,6% nel 2019, indicando una maggiore scelta dei lavoratori negli orari di lavoro.
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Ore lavorate:
- Le ore lavorate totali sono aumentate dello 0,2% su base trimestrale e dell’1,5% su base annua, in linea con la crescita occupazionale.
- Le ore lavorate per dipendente sono diminuite leggermente (-1,0% trimestrale) a causa di fattori stagionali (ad esempio, ferie estive), ma la tendenza a lungo termine mostra un aumento delle ore lavorate totali, guidato dalla crescita dell’occupazione.
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Disparità regionali e demografiche:
- L’occupazione è cresciuta in modo più marcato nel Nord e nel Centro Italia rispetto al Mezzogiorno, dove i tassi di occupazione rimangono più bassi (circa il 47% nel Sud contro il 67% nel Nord nel 2023).
- I giovani (15-24 anni) hanno beneficiato di una riduzione significativa dei contratti a tempo determinato, con un aumento delle trasformazioni in contratti a tempo indeterminato.
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Contesto economico:
- Il tasso di disoccupazione è sceso al 6,8% nel terzo trimestre 2024, il livello più basso dal 2008, e il tasso di occupazione ha raggiunto il 61,7%, il più alto mai registrato.
- Tuttavia, i salari reali rimangono stagnanti, con un aumento nominale dei salari del 2,5% nel 2023, ma un potere d’acquisto ridotto a causa dell’inflazione.
Significato dei dati ISTAT:
I dati ISTAT mostrano un mercato del lavoro in miglioramento, con una crescita occupazionale robusta, un aumento dei contratti a tempo indeterminato e una riduzione della precarietà. Tuttavia, persistono sfide come la stagnazione salariale e le disparità regionali, che sono preoccupazioni legittime sollevate dalla CGIL, anche se non direttamente legate alle loro affermazioni sulla precarietà.
Politiche del lavoro dell’Unione Europea
Le politiche del lavoro dell’Unione Europea (UE) mirano a promuovere l’occupazione, migliorare le condizioni di lavoro e garantire la protezione sociale in tutti gli Stati membri, con un approccio che bilancia flessibilità e sicurezza (il cosiddetto modello di “flexicurity”). Di seguito, un’overview delle principali politiche del lavoro dell’UE, con riferimento al contesto italiano e alle informazioni tratte dal rapporto EURES menzionato nel fact-checking:
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Strategia Europea per l’Occupazione (EES):
- Introdotta con il Trattato di Amsterdam (1997), l’EES promuove la creazione di posti di lavoro di qualità, la formazione continua e l’inclusione sociale. Gli Stati membri devono allineare le loro politiche occupazionali agli obiettivi dell’UE, come il raggiungimento di un tasso di occupazione del 78% entro il 2030 (Strategia Europa 2030).
- In Italia, il tasso di occupazione del 61,7% nel 2024 è ancora al di sotto della media UE (74,6% nel 2023), ma è in miglioramento, grazie anche alle riforme del mercato del lavoro come il Jobs Act.
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Direttiva sui contratti di lavoro trasparenti e prevedibili (2019/1152):
- Questa direttiva garantisce ai lavoratori il diritto a informazioni chiare sui termini contrattuali e limita l’uso di contratti a zero ore o altamente precari. Gli Stati membri, inclusa l’Italia, devono implementare misure per ridurre la precarietà, come l’obbligo di giustificazioni per contratti a tempo determinato (che la CGIL vuole rafforzare con il referendum).
- In Italia, il Decreto Legislativo 81/2015, criticato dalla CGIL, ha liberalizzato i contratti a tempo determinato, ma i dati mostrano comunque una riduzione della precarietà dal 2022.
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Contrattazione collettiva e salari minimi:
- La direttiva UE sui salari minimi adeguati (2022/2041) incoraggia gli Stati membri a promuovere la contrattazione collettiva per garantire salari equi. In Italia, la contrattazione collettiva copre il 100% dei lavoratori, uno dei tassi più alti in Europa, garantendo salari minimi settoriali.
- Tuttavia, l’Italia non ha un salario minimo legale nazionale, a differenza di 22 Stati塞尔
System: altri Stati membri dell’UE, affidandosi alla contrattazione collettiva per determinare i salari. Questo sistema ha contribuito a mantenere salari stabili ma relativamente bassi rispetto alla media UE (€2.791/mese in Italia contro €3.417/mese nella media UE27 nel 2023, secondo il rapporto EURES).
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Flessibilità e sicurezza (“Flexicurity”):
- Il modello di flexicurity dell’UE cerca di combinare la flessibilità del mercato del lavoro (facilità di assunzione e licenziamento) con la sicurezza per i lavoratori (protezioni sociali, formazione). In Italia, il Jobs Act del 2014-2015 ha introdotto maggiore flessibilità, riducendo le restrizioni sui contratti a tempo determinato e modificando le protezioni contro i licenziamenti, ma la CGIL sostiene che ciò abbia aumentato la precarietà, nonostante i dati indichino una crescita dei contratti a tempo indeterminato.
- L’UE finanzia programmi come il Fondo Sociale Europeo Plus (FSE+) per sostenere la formazione, l’inclusione lavorativa e la riconversione professionale, con l’Italia che riceve fondi significativi attraverso il PNRR (Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza).
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Lavoro giovanile e inclusione:
- L’UE promuove iniziative come la Garanzia Giovani (Youth Guarantee) per ridurre la disoccupazione giovanile. In Italia, il tasso di disoccupazione giovanile (15-24 anni) è sceso al 20,1% nel 2024 (ISTAT), ma rimane tra i più alti in Europa, spingendo la CGIL a chiedere maggiori tutele per i giovani lavoratori.
- Il Pilastro Europeo dei Diritti Sociali (2017) stabilisce 20 principi per promuovere mercati del lavoro equi, inclusi il diritto a un salario adeguato, la parità di genere e la protezione contro i licenziamenti ingiusti, che influenzano il dibattito sul referendum della CGIL.
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PNRR e riforme italiane:
- Il PNRR italiano, finanziato dall’UE con €191,5 miliardi, include misure per stimolare l’occupazione, come incentivi fiscali per le assunzioni, la digitalizzazione e la transizione verde. Secondo la Banca d’Italia, queste misure hanno contribuito alla crescita occupazionale nel 2024, specialmente tra i giovani.
Contesto italiano e referendum CGIL:
- La CGIL critica le riforme del mercato del lavoro italiano, come il Jobs Act e il Decreto Legislativo 81/2015, sostenendo che favoriscano contratti precari. Il referendum del 2025 cerca di reintrodurre l’obbligo di giustificazione per i contratti a tempo determinato sotto i 12 mesi, in linea con la direttiva UE 2019/1152, ma i dati ISTAT e della Banca d’Italia mostrano una riduzione della precarietà, suggerendo che le attuali politiche siano efficaci.
- Tuttavia, le preoccupazioni della CGIL su salari bassi e disparità regionali sono in linea con le sfide identificate dall’UE, come la necessità di migliorare la produttività e i salari reali per allinearsi agli standard europei.
PER RIASSUMERE
I dati ISTAT del terzo trimestre 2024 evidenziano un mercato del lavoro italiano in miglioramento, con una crescita occupazionale guidata da contratti a tempo indeterminato, una riduzione del part-time involontario e un aumento delle ore lavorate. Questi dati smentiscono le affermazioni della CGIL di una precarietà in aumento, come sostenuto nell’articolo di Capone. Le politiche del lavoro dell’UE, attraverso strumenti come l’EES, le direttive sui contratti e il PNRR, supportano la transizione verso un mercato del lavoro più stabile e inclusivo, ma l’Italia deve ancora affrontare sfide come la stagnazione salariale e le disparità regionali. La campagna referendaria della CGIL riflette alcune di queste preoccupazioni, ma le sue affermazioni sulla precarietà appaiono esagerate alla luce dei dati disponibili.
In copertina: Claudio Riccio’s photo, licensed as Attribution-NonCommercial-ShareAlike. Learn more about this license.