Le narrazioni storiche propagandate dalla Russia e dai filoputiniani non funzionano perché storicamente accurate, ma perché abilmente costruite per manipolare le emozioni. Esse distorcono la realtà, selezionando fatti, cancellando dettagli scomodi e reinterpretando eventi complessi in chiave ideologica. Attraverso l’identità nazionale, la semplificazione dei conflitti, la ripetizione ossessiva e la polarizzazione tra “noi” e “loro”, queste storie creano un racconto coerente, potente e facilmente assimilabile, che trasforma la realtà storica in uno strumento di propaganda.
Di seguito analizziamo i principali meccanismi che ne spiegano l’efficacia.
1. La semplificazione estrema della storia
La storia reale non è mai lineare: è un tessuto di sovrapposizioni, rotture, convivenze forzate, compromessi temporanei e conflitti irrisolti. Confini che oggi appaiono “naturali” sono spesso il risultato di guerre, matrimoni dinastici, colonizzazioni, crolli imperiali e decisioni amministrative arbitrarie. Le identità collettive stesse cambiano nel tempo: popoli che oggi si percepiscono come unitari in passato non esistevano come tali, o avevano significati completamente diversi.
La propaganda interviene proprio qui, trasformando questa complessità in un racconto morale elementare. Non una storia, ma una favola.
Pochi attori, ruoli chiari, un inizio mitico e una conclusione inevitabile.
Meccanismo della riduzione narrativa
La semplificazione avviene attraverso alcune operazioni ricorrenti:
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Selezione drastica degli eventi: si isolano pochi momenti simbolici (una battaglia, un trattato, un’epoca “gloriosa”) e si ignorano tutti gli altri.
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Congelamento del tempo: un determinato periodo viene elevato a “vera” origine legittima, mentre i secoli successivi diventano una parentesi innaturale.
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Cancellazione delle zone grigie: alleanze ambigue, convivenze pacifiche, responsabilità condivise spariscono.
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Sostituzione della causalità con la morale: non “è successo perché…”, ma “è successo perché era giusto/sbagliato”.
In questo modo il passato smette di essere un intreccio e diventa una linea retta, con una direzione precisa e un obiettivo finale.
Frasi chiave come strumenti cognitivi
Espressioni come:
- “Queste terre sono sempre state nostre”
- “Ci sono state rubate”
- “Stiamo solo correggendo un’ingiustizia storica”
non sono argomentazioni storiche, ma ancore cognitive. Funzionano perché:
- sono brevi,
- evocano emozioni primarie (ingiustizia, perdita, risarcimento),
- non richiedono verifica,
- sembrano autoevidenti.
Chi le ascolta non è invitato a capire, ma a riconoscere una verità già data.
La cancellazione della pluralità
Uno degli effetti più profondi di questa semplificazione è l’eliminazione delle pluralità storiche:
- pluralità etniche → sostituite da un popolo unico e continuo
- pluralità linguistiche → ridotte a una lingua “autentica”
- pluralità religiose → reinterpretate come deviazioni o imposizioni
- pluralità di lealtà → rilette come tradimenti o occupazioni
Intere popolazioni che hanno vissuto per secoli in un territorio diventano invisibili, oppure retrocesse a comparse temporanee nella “vera” storia di qualcun altro.
Perché funziona
La semplificazione estrema è efficace perché risponde a bisogni profondi:
- bisogno di ordine: la complessità storica genera incertezza
- bisogno di identità: un passato semplice rafforza il senso di appartenenza
- bisogno di legittimità: se il passato è lineare, il presente appare inevitabile
Accettare una storia complessa significa accettare ambiguità morali e responsabilità condivise. Accettare una storia semplificata permette invece di sentirsi nel giusto senza sforzo.
Il rischio finale
Quando il passato viene ridotto a una favola morale, il presente smette di essere uno spazio di scelta e diventa un dovere.
Se “la storia lo impone”, allora il conflitto non è più una decisione politica, ma una necessità.
E chi mette in dubbio il racconto non è uno storico critico, ma un nemico della verità.
In questo senso, la semplificazione della storia non è solo una distorsione del passato: è uno strumento potentissimo per controllare il futuro.
2. Appello all’identità e all’orgoglio nazionale
La propaganda diventa realmente potente quando smette di parlare di fatti e inizia a parlare di chi siamo. L’identità collettiva è un terreno emotivo molto più profondo della razionalità politica: non richiede prove, ma riconoscimento. Non chiede “è vero?”, ma “mi riguarda?”.
In questo quadro, il richiamo all’orgoglio nazionale non è un semplice patriottismo, ma una ricostruzione narrativa dell’io collettivo, soprattutto dopo un trauma storico.
Il trauma post-sovietico come ferita identitaria
Il crollo dell’URSS non è stato vissuto da molti russi solo come un cambiamento geopolitico, ma come una umiliazione esistenziale:
- perdita improvvisa di status di superpotenza
- disintegrazione di un orizzonte simbolico che dava senso al sacrificio collettivo
- impoverimento materiale rapido e disordinato
- delegittimazione di un passato che, nel bene e nel male, aveva strutturato le vite
Negli anni ’90, la Russia non si è semplicemente “riformata”: ha perso una narrazione. E senza narrazione, l’identità collettiva entra in crisi.
Dall’umiliazione alla promessa
La propaganda non cerca di negare questa ferita: la amplifica, la rende centrale. Le umiliazioni storiche vengono costantemente richiamate, non per essere elaborate, ma per essere tenute aperte. L’obiettivo non è la guarigione, ma la mobilitazione.
Il messaggio implicito è:
- “Siamo stati ingannati”
- “Siamo stati derubati della nostra grandezza”
- “Il mondo ci ha approfittato della nostra debolezza”
Da qui nasce la promessa di rinascita: non una riforma graduale, ma una restaurazione morale. Non si tratta di costruire qualcosa di nuovo, ma di tornare a ciò che si era — o si crede di essere stati.
“Torniamo grandi”: semplicità e rassicurazione
Lo slogan non ha bisogno di dettagli. “Torniamo grandi” funziona perché:
- non specifica come,
- non chiarisce quando,
- non definisce per chi.
È una formula emotiva, non un programma politico. Trasmette l’idea che:
- il declino non sia colpa interna, ma un’ingiustizia subita,
- la soluzione non sia complessa, ma una questione di volontà,
- il leader sia il tramite naturale tra passato glorioso e futuro restaurato.
In questo senso, il leader non governa: incarna.
La Russia come potenza assediata
Un elemento chiave dell’appello identitario è la rappresentazione della Russia come fortezza circondata. Anche nei momenti di evidente superiorità militare o territoriale, il discorso propagandistico insiste sull’idea di accerchiamento:
- NATO come minaccia esistenziale
- valori occidentali come corruzione morale
- critiche internazionali come ipocrisia selettiva
- Questa narrazione ha due effetti fondamentali:
-
rafforza la coesione interna: in un mondo ostile, il dissenso diventa sospetto;
-
trasforma l’aggressione in difesa: ogni azione esterna può essere giustificata come preventiva o necessaria.
L’identità nazionale si struttura così in opposizione: non tanto “chi siamo”, ma “contro chi resistiamo”.
L’orgoglio come compensazione
Quando una società sperimenta a lungo perdita di potere, l’orgoglio nazionale diventa una valuta simbolica. Anche in assenza di miglioramenti materiali significativi, la sensazione di “essere temuti”, “essere rispettati”, “contare di nuovo” può compensare:
- disuguaglianze crescenti
- restrizioni delle libertà
- stagnazione economica
La grandezza promessa non è quindi necessariamente benessere, ma significato. Sentirsi parte di qualcosa di storico, forte, destinato a durare.
Il prezzo dell’identità blindata
Un’identità costruita sulla ferita e sull’assedio ha però un costo strutturale:
- non ammette autocritica senza percepirla come tradimento,
- non tollera pluralità interne,
- ha bisogno di conflitti ricorrenti per rimanere viva.
Quando l’orgoglio nazionale diventa l’asse centrale della legittimità politica, la pace diventa fragile: senza un nemico, l’identità rischia di svuotarsi.
In questo senso, l’appello all’identità non è solo uno strumento di consenso. È un meccanismo di dipendenza narrativa, in cui la società viene tenuta unita non da un progetto condiviso, ma da una memoria selettiva e da una promessa mai del tutto realizzata.
3. Linguaggio emotivo, non legale
l diritto internazionale è fatto di norme, clausole, precedenti, ambiguità interpretative. Richiede tempo, competenza, confronto. La propaganda, invece, cerca immediatezza e adesione istintiva. Per questo il linguaggio giuridico viene sistematicamente evitato o svuotato, sostituito da un vocabolario emotivo che parla direttamente alla pancia prima ancora che alla testa.
Non è una semplificazione casuale: è una scelta strategica.
Perché il linguaggio legale è un ostacolo
Il diritto internazionale ha caratteristiche incompatibili con la propaganda:
- è impersonale → non genera identificazione
- è condizionale → non offre certezze assolute
- è conflittuale → ammette interpretazioni diverse
- è lento → non produce reazioni immediate
Un trattato può essere violato, reinterpretato, contestato. Una parola emotiva, invece, non si discute: si sente.
Il vocabolario della sacralizzazione
Termini come “terra sacra” spostano immediatamente il discorso:
- dal piano politico a quello quasi religioso,
- dal negoziabile all’intoccabile,
- dal contingente all’eterno.
Se una terra è “sacra”, non può essere regolata da accordi umani. Ogni compromesso diventa profanazione, ogni opposizione sacrilegio. Il conflitto non è più una disputa territoriale, ma una missione.
Il lessico familiare: “fratelli”
La parola “fratelli” dissolve confini, stati, volontà individuali.
Nessuno chiede ai fratelli se vogliono essere salvati: li si protegge “per il loro bene”.
Questo linguaggio:
- infantilizza l’altro,
- nega la sua autonomia politica,
- trasforma l’ingerenza in atto di cura.
Se qualcuno rifiuta l’abbraccio, il rifiuto non è una scelta: è una manipolazione subita da forze esterne.
“Liberazione”: l’aggressione che cambia nome
Il termine “liberazione” è uno dei più potenti strumenti semantici della propaganda. Ribalta completamente la dinamica dei fatti:
- l’invasione diventa intervento
- la violenza diventa necessità
- la resistenza diventa ostinazione illegittima
- Chi si oppone non difende la propria sovranità, ma impedisce la liberazione di altri. Il linguaggio anticipa il giudizio morale e lo chiude.
“Tradimento storico”: colpa senza scadenza
Parlare di “tradimento storico” significa:
- rendere il passato eterno,
- attribuire colpe collettive,
- cancellare il diritto al cambiamento.
Intere generazioni diventano responsabili di scelte che non hanno compiuto. Il tempo non guarisce, non evolve: accumula debiti morali da riscuotere nel presente.
Emozione come scorciatoia cognitiva
Nella comunicazione di massa, le emozioni funzionano come scorciatoie mentali:
- riducono la complessità,
- accelerano il giudizio,
- rafforzano la memoria,
- creano appartenenza immediata.
- Un discorso giuridico chiede attenzione. Un discorso emotivo chiede adesione. La propaganda non vuole cittadini che valutano, ma soggetti che sentono insieme.
Il silenziamento del diritto
Quando il linguaggio emotivo domina:
- le violazioni diventano invisibili,
- le regole sembrano cavilli,
- il diritto appare come un ostacolo artificiale alla “giustizia vera”.
Chi richiama trattati e norme viene dipinto come:
- freddo,
- ipocrita,
- distante dal “popolo”.
In questo modo, la legalità non viene confutata: viene delegittimata emotivamente.
L’effetto finale
Il linguaggio emotivo non dimostra, impone.
Non argomenta, incornicia.
Non convince, mobilita.
Quando il discorso pubblico è saturato di termini carichi emotivamente, il conflitto non ha più bisogno di giustificazioni legali: è già stato giustificato sul piano morale.
E una volta che una guerra è presentata come “liberazione” di una “terra sacra” per “fratelli traditi”, il diritto internazionale non appare più come una cornice di civiltà, ma come un fastidio da ignorare.
4. Costruzione del nemico
Ogni narrazione propagandistica ha bisogno di un antagonista chiaro:
- l’Occidente è dipinto come ipocrita e aggressivo
- la NATO come una minaccia esistenziale
- l’Ucraina come uno Stato artificiale e manipolato
In questo modo l’invasione non appare come aggressione, ma come difesa preventiva.
5. Selezione della memoria (cherry picking)
La propaganda raramente mente in modo frontale. Mentire è rischioso: i fatti possono smentire. Molto più efficace è scegliere cosa ricordare.
La memoria diventa un archivio manipolabile, non un racconto completo.
Il passato come magazzino
La storia viene trattata come un deposito di immagini, episodi, simboli. Non tutto è utile. Alcune parti rafforzano la narrazione, altre la disturbano.
Perciò:
- Impero russo come grandezza → sì
- Impero russo come sistema di dominazione → no
- URSS come superpotenza → sì
- URSS come repressione interna e coloniale → no
Non c’è negazione esplicita: c’è silenzio selettivo.
Normalizzare il potere, rimuovere la violenza
La selezione della memoria ha una funzione chiara: rendere il potere storico naturale, e la violenza accidentale.
La grandezza viene presentata come:
- inevitabile,
- meritata,
- strutturale.
Le deportazioni, le carestie, le repressioni diventano:
- eccessi,
- errori,
- deviazioni momentanee.
Mai elementi costitutivi del sistema.
Continuità artificiale
Attraverso il cherry picking, si costruisce una linea di continuità immaginaria:
- Impero russo
- URSS
- Federazione Russa
Sistemi politici diversissimi vengono fusi in un’unica “storia nazionale”, unita non da istituzioni o valori, ma dalla potenza.
In questa continuità forzata:
- le rotture spariscono,
- le vittime diventano note a margine,
- il cambiamento perde legittimità.
Memoria come strumento, non come spazio critico
La memoria selezionata non serve a comprendere il passato, ma a disciplinare il presente.
Ricordare solo ciò che rafforza l’orgoglio:
- rende sospetta ogni critica,
- delegittima chi ricorda ciò che disturba,
- trasforma lo storico in potenziale nemico.
Chi insiste su deportazioni, carestie, colonialismo interno non è visto come qualcuno che cerca verità, ma come chi “indebolisce la nazione”.
Effetto finale: passato chiuso, futuro obbligato
Quando il nemico è chiaramente definito e la memoria accuratamente selezionata:
- il presente appare come l’unica risposta possibile,
- il futuro come semplice prosecuzione del passato “giusto”.
La storia non è più uno spazio di interrogazione, ma un arsenale narrativo.
E in un arsenale, ciò che non serve viene lasciato indietro — non perché falso, ma perché pericoloso.
6. Ripetizione costante: l’effetto “verità illusoria”
Un messaggio ripetuto continuamente tende a sembrare vero anche senza prove.
La ripetizione crea familiarità, e la familiarità viene scambiata per verità.
La propaganda non ha bisogno di dimostrare ogni affermazione. Esiste un meccanismo psicologico molto potente: l’effetto della verità illusoria (illusory truth effect). Più una frase viene ripetuta, più il cervello la percepisce come plausibile, indipendentemente dal suo contenuto reale.
Questo principio psicologico è alla base della ripetizione costante nella comunicazione propagandistica.
Meccanismo psicologico
- Familiarità: il cervello associa ciò che è noto a ciò che è vero.
- Economia cognitiva: verificare ogni informazione richiede sforzo; ripetizione riduce la necessità di analisi critica.
- Bias di conferma: chi già nutre sentimenti di orgoglio nazionale o timore per il nemico percepisce la ripetizione come conferma delle proprie convinzioni.
In sostanza, la ripetizione trasforma l’esposizione in credenza, anche in assenza di prove oggettive.
Canali di diffusione
La narrazione propagandistica non si limita a un singolo mezzo, ma sfrutta una saturazione multicanale:
- Televisione: le principali reti di Stato o vicine al governo ripetono slogan, immagini e interpretazioni di eventi.
- Discorsi ufficiali: presidenti, ministri, funzionari parlano in pubblico con lo stesso lessico e le stesse metafore, creando uniformità narrativa.
- Libri scolastici: l’educazione diventa un veicolo per riprodurre la versione ufficiale della storia e della politica.
- Social media: post, meme, video e commenti controllati o indirettamente influenzati amplificano i messaggi, spesso sotto forma di contenuti virali, creando un eco permanente.
La costante esposizione in ambiti diversi rinforza l’illusione che il messaggio sia verità consolidata.
Ripetizione e costruzione della realtà
Quando un messaggio viene ripetuto incessantemente:
- La mente lo riconosce come familiare → percezione di affidabilità.
- La narrazione diventa il quadro di riferimento attraverso cui interpretare eventi nuovi.
- Eventuali contraddizioni o fatti scomodi vengono ignorati o reinterpretati per mantenere coerenza.
Il risultato è una realtà percepita, più che una realtà verificata.
Ripetizione e coesione sociale
Il ripetersi dei messaggi serve anche a creare unità collettiva:
- chi condivide la narrativa si sente parte di un gruppo consapevole e informato;
- chi la contesta appare estraneo, disallineato o addirittura sospetto;
- l’identità collettiva si rafforza attorno a una verità apparente, non alla verifica dei fatti.
L’effetto cumulativo
- All’inizio, un messaggio può sembrare esagerato o dubbio.
- Con la ripetizione su scala nazionale, diventa assunto di base: la popolazione lo accetta come normale.
- Alla lunga, la ripetizione costante rende impossibile distinguere tra ciò che è accaduto e ciò che è raccontato, consolidando il controllo narrativo.
In pratica, la ripetizione costante trasforma la propaganda da semplice strumento di persuasione a filtro permanente della percezione della realtà, dove la familiarità viene scambiata per verità e il dubbio diventa marginale o socialmente pericoloso.
7. Assenza di contro-narrazioni interne
La propaganda non deve confrontarsi con alternative reali perché:
- i media indipendenti sono quasi eliminati
- l’opposizione è repressa
- storici e intellettuali critici sono marginalizzati o costretti all’esilio
La ripetizione costante non è solo frequenza: è saturazione multicanale, cioè il messaggio si insinua in tutti gli ambiti della vita sociale, rinforzando la percezione di verità.
Canali principali
- Televisione e media di Stato: le principali reti ripetono slogan, immagini simboliche e interpretazioni di eventi secondo un copione uniforme. La costanza visiva e verbale crea familiarità.
- Discorsi ufficiali: presidenti, ministri, funzionari usano lo stesso lessico e le stesse metafore, rendendo la narrazione coerente e omogenea a ogni livello istituzionale.
- Libri scolastici: la formazione dei giovani diventa veicolo per riprodurre la versione ufficiale della storia, trasformando la propaganda in educazione istituzionale.
- Social media: post, video, meme e commenti controllati o indirettamente influenzati amplificano i messaggi. La viralità crea un’eco permanente, facendo sembrare la narrativa onnipresente e naturale.
Effetto sulla percezione della realtà
La ripetizione costante trasforma il messaggio in cornice interpretativa:
- La mente associa familiarità a verità → maggiore affidabilità percepita.
- Eventi futuri vengono interpretati attraverso la lente della narrativa ripetuta.
- Contraddizioni o dati scomodi vengono ignorati, reinterpretati o minimizzati.
Il risultato non è più una comprensione dei fatti, ma una realtà percepita plasmata dalla narrativa dominante.
Funzione sociale
La ripetizione consolida anche l’unità interna:
- chi condivide il messaggio si sente parte di un gruppo informato e legittimato;
- chi mette in dubbio la narrativa appare estraneo o sospetto;
- la coesione collettiva si fonda su una verità apparente, non sulla verifica dei fatti.
Effetto cumulativo
- All’inizio, un messaggio può sembrare esagerato o dubbio.
- Con l’esposizione ripetuta e diffusa su scala nazionale, diventa assunto di base, percepito come normale e naturale.
- Nel lungo periodo, la distinzione tra ciò che è accaduto e ciò che viene raccontato svanisce, consolidando il controllo narrativo e rendendo il dubbio marginale o socialmente pericoloso.
7. Assenza di contro-narrazioni interne
La propaganda funziona in maniera più efficace quando non ci sono alternative a cui confrontarsi. Il monopolio narrativo garantisce che la popolazione riceva un’unica versione degli eventi.
Meccanismi di esclusione
- Media indipendenti eliminati o marginalizzati: televisioni, giornali e radio critiche vengono chiusi, acquistati o sottoposti a pressioni economiche e legislative.
- Opposizione politica repressa: partiti e movimenti critici sono delegittimati, vietati o perseguiti.
- Storici e intellettuali marginalizzati o in esilio: chi cerca di raccontare il passato con rigore critico viene isolato, minacciato o costretto a lasciare il paese.
Conseguenze del monopolio narrativo
- Assenza di competizione: la narrativa ufficiale non deve difendersi, perché nessuno propone una versione alternativa.
- Normalizzazione della propaganda: ciò che resta nel discorso pubblico è percepito come “unica verità possibile”.
- Silenziamento del pensiero critico: dubbi e contestazioni diventano rischiosi non solo intellettualmente, ma socialmente e legalmente.
Sinergia con la ripetizione
L’assenza di contro-narrazioni amplifica l’effetto della ripetizione:
- Non ci sono fonti alternative a cui confrontarsi.
- La familiarità con il messaggio ufficiale si traduce immediatamente in percezione di verità.
- La popolazione finisce per interiorizzare la narrativa dominante come realtà indiscutibile.
8. Ambiguità calcolata
Le formule usate sono volutamente vaghe
-
“storicamente russe” (quando? per chi?)
-
“volontà del popolo” (quale voto? in quali condizioni?)
Questa ambiguità consente di adattare il messaggio a pubblici diversi senza mai doverlo dimostrare.
L’ambiguità nella propaganda non è un errore, ma una scelta strategica. Frasi volutamente vaghe o termini generici permettono di comunicare messaggi apparentemente forti senza esporsi alla verifica fattuale. Il linguaggio ambiguo consente di adattare la narrazione a contesti diversi e di eludere critiche precise.
Meccanismi principali
1. Uso di termini storici generici
Espressioni come “storicamente russe” evocano legittimità e continuità, ma senza precisare:
-
quale periodo storico si intende,
-
quali popolazioni vivevano effettivamente in quei territori,
-
chi ha determinato quella storia.
L’ambiguità storica rende difficile contestare il messaggio, perché “storicamente” può significare tutto e niente a seconda dell’interpretazione.
2. Volontà del popolo
Frasi come “rispettiamo la volontà del popolo” sembrano democratiche, ma non specificano:
-
se esistono referendum reali o trasparenti,
-
come sono stati condotti,
-
se la volontà espressa è maggioritaria o rappresentativa.
La vaghezza permette di rivendicare consenso senza dimostrarlo.
3. Termini evocativi ma indefiniti
Parole come “giustizia storica”, “liberazione”, “protezione dei fratelli” non indicano procedure o criteri oggettivi.
Consentono di:
-
giustificare azioni concrete con riferimenti astratti,
-
spostare il dibattito su un piano emotivo, evitando la verifica pratica.
Funzioni dell’ambiguità
Flessibilità comunicativa
Lo stesso messaggio può essere interpretato in modi diversi da pubblici differenti:
-
Per un pubblico interno → legittima la leadership e l’orgoglio nazionale
-
Per un pubblico esterno → appare come difesa di valori universali o protezione di minoranze
Non serve fornire prove concrete: la vaghezza fa sì che tutti possano “leggere” ciò che vogliono leggere.
Protezione dall’evidenza contraria
Ambiguità = immunità parziale alle critiche.
Se qualcuno contesta il significato storico, legale o politico, il messaggio può essere reinterpretato senza perdere efficacia.
Creazione di un effetto morale
Frasi vaghe evocano giustizia, legittimità e moralità senza definire criteri concreti.
Così, anche azioni controverse possono essere presentate come necessarie o inevitabili.
Ambiguità e percezione del consenso
-
Il pubblico interno percepisce consenso e unità attorno a principi astratti, anche quando il consenso reale è debole o manipolato.
-
L’assenza di definizioni precise riduce il rischio di dibattito, perché nessuno può dimostrare la falsità di un concetto indefinito.
Effetto cumulativo
L’ambiguità calcolata, combinata con:
-
la ripetizione costante (punto 6),
-
la selezione della memoria (punto 5),
-
la costruzione del nemico (punto 4),
crea una rete narrativa resistente: anche se singoli dettagli vengono confutati, il messaggio principale resta intatto, flessibile e persuasivo.
In pratica, la vaghezza diventa un paracadute narrativo, che permette alla propaganda di:
-
adattarsi alle circostanze,
-
consolidare il consenso interno,
-
resistere alle critiche esterne,
senza mai doversi confrontare con dati concreti o prove verificabili.
9. Perché funziona anche fuori dalla Russia
Queste narrazioni attecchiscono anche all’estero perché:
- sfruttano la scarsa conoscenza storica
- si appoggiano a sentimenti anti-USA e anti-NATO già diffusi
- parlano il linguaggio del “realismo geopolitico” e del cinismo politico
Non richiedono adesione ideologica, solo disillusione.
Le narrazioni propagandistiche russe non sono progettate esclusivamente per un pubblico interno. Molti dei loro messaggi sono trasferibili, perché sfruttano dinamiche psicologiche e politiche universali, facendo leva su conoscenze incomplete e pregiudizi già presenti in altri contesti.
1. Sfruttamento della scarsa conoscenza storica
- Molti cittadini di paesi stranieri non conoscono in dettaglio la storia dell’Europa orientale, dell’URSS o dei conflitti post-sovietici.
- La propaganda può quindi riempire il vuoto informativo con una narrativa semplice e coerente, che sembra plausibile perché poco contestata.
- La mancanza di contesto permette alle narrazioni selettive (cherry picking) di essere accolte come interpretazioni ragionevoli.
2. Sfruttamento di sentimenti anti-USA e anti-NATO
- In molte aree del mondo esistono diffusi sentimenti di sfiducia verso l’Occidente, dovuti a guerre, interventi militari, colonizzazione culturale o crisi economiche.
- La propaganda russa si appoggia su questi sentimenti già presenti, rafforzandoli senza dover convincere ideologicamente.
- Il messaggio appare come critica legittima all’egemonia occidentale, anche quando serve a giustificare l’aggressione o l’espansione russa.
3. Linguaggio del realismo geopolitico
- La narrazione estera utilizza termini familiari agli analisti di politica internazionale: “interessi strategici”, “equilibrio di potere”, “contenimento”, “sfere d’influenza”.
- Questo parla il linguaggio della razionalità cinica: l’aggressione non è moralmente sbagliata, ma comprensibile come mossa geopolitica.
- Anche chi è contrario alla guerra può percepire la narrativa come coerente con un mondo realista, dove tutti perseguono potere e sicurezza.
4. Non richiede adesione ideologica, solo disillusione
- Non è necessario che il pubblico estero condivida la cultura, la storia o i valori russi.
- Basta disillusione verso l’Occidente, frustrazione verso l’ordine internazionale o sfiducia nelle istituzioni globali.
- In altre parole, la propaganda funziona su basi emotive universali: rabbia, paura, senso di ingiustizia, cinismo.
5. Effetto moltiplicatore sui social e nei media internazionali
- La ripetizione dei messaggi attraverso piattaforme internazionali, blog e media alternativi amplifica la percezione di verità anche all’estero.
- Le stesse tecniche di selezione della memoria e ambiguità calcolata funzionano, perché l’audience esterna manca di strumenti immediati per verificare i fatti.
- Meme, video e narrazioni virali contribuiscono a rendere familiari e accettabili concetti come “difesa preventiva” o “autodeterminazione dei fratelli slavi”.
6. Effetto complessivo
- La propaganda fuori dalla Russia non mira necessariamente a creare alleati ideologici, ma a neutralizzare oppositori e a legittimare la narrativa russa sul piano internazionale.
- Anche chi non approva direttamente la politica russa può iniziare a dubitare delle motivazioni occidentali, percependo il conflitto come inevitabile o giustificabile.
Questo genera zona grigia di consenso o indifferenza, un terreno fertile per influenzare opinione pubblica, media e decisioni politiche.