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Nino Bixio tra mito e repressione: il volto duro dell’Unità d’Italia

a cura di Giovanni Firera

Leggendo l’ultimo libro dello storico Gianni Oliva sulle rivolte e repressione nel mezzogiorno dopo l’unità d’Italia – LA PRIMA GUERRA CIVILE – emerge fra molte altre la figura di Nino Bixio, Un “soldato di ferro” l’uomo che, per certi versi, fu destinato a svolgere quel lavoro sporco “necessario” per raggiungere il sogno garibaldino della libertà popolare di Garibaldi in Sicilia.                                                                                                                       La figura di Nino Bixio si caratterizza come una delle più controverse del Risorgimento italiano. Ufficiale di ferro, uomo di azione e fedele compagno di Garibaldi, egli rappresenta insieme la determinazione eroica e la durezza repressiva che segnarono il processo di unificazione nazionale.

Nell’immaginario patriottico ottocentesco, Bixio è ricordato come l’eroe impavido che, al fianco dei Mille, contribuì alla caduta del Regno borbonico e alla nascita dell’Italia unita. Ma la storiografia contemporanea, liberata dai filtri dell’agiografia, ha messo in luce un volto diverso: quello del militare inflessibile, capace di esercitare una violenza spietata in nome dell’ordine e della disciplina. L’episodio più emblematico di questa doppia natura si consuma nel 1860, quando Bixio riceve da Garibaldi l’incarico di sedare la rivolta di Bronte, cittadina siciliana in preda ai disordini dopo la promessa, mai mantenuta, della distribuzione delle terre.
Il popolo, spinto dalla fame e dall’entusiasmo per l’arrivo dei garibaldini, credeva che la libertà coincidesse con la fine dei privilegi feudali. Ma la realtà fu ben diversa.

Il Sen. Gerolamo (Nino) Bixio

Bixio intervenne con pieni poteri e mano durissima: fece arrestare centinaia di persone, istituì un tribunale militare improvvisato e ordinò fucilazioni sommarie. In pochi giorni ristabilì l’ordine, ma lasciando dietro di sé un’eco di paura e di sangue.
Quell’azione, che lo stesso Garibaldi approvò in nome della disciplina, resta uno dei momenti più bui della spedizione.                                                                                                                           

La “durezza sabauda” di Bixio non era solo un tratto caratteriale, ma anche l’espressione di un’idea di Stato e di autorità che il Piemonte voleva estendere al Sud. Dietro la retorica della liberazione si celava un progetto di uniformità forzata: il Nord portava al Mezzogiorno la legge, la burocrazia, ma anche la repressione di ogni dissenso.

In questo senso, Bronte non fu un episodio isolato, ma il preludio di quella lunga stagione di conflitti sociali e militari che avrebbe poi trovato la sua espressione nella Legge Pica del 1863 e nella lotta al brigantaggio.                                                                                                              

Molti autori hanno raccontato, con sfumature diverse, questa ambiguità di Bixio.

La parabola di Nino Bixio, dunque, incarna una contraddizione profonda: quella di un uomo che combatteva per la libertà ma la negava quando assumeva la forma del disordine.
Il suo nome resta legato all’epopea dei Mille, ma anche alla repressione di Bronte; alla conquista dell’unità, ma anche al dolore di chi la visse come sottomissione.

Nel romanzo Il Gattopardo, Tomasi di Lampedusa non lo cita mai, ma ne evoca lo spirito nei funzionari piemontesi che scendono in Sicilia a “mettere ordine”: uomini freddi, efficienti, convinti di portare civiltà dove vedevano solo arretratezza.
È l’immagine di un Paese che nasce diviso.                                                                                   

Oggi, grazie alla riflessione di storici come Luciano Canfora e Gianni Oliva, Bixio appare non solo come un generale impetuoso, ma come il simbolo di una transizione violenta, in cui il sogno garibaldino della libertà popolare fu tradito dalla logica dell’autorità.
Rivedere criticamente la sua figura non significa cancellare la storia, ma restituirle complessità: comprendere che l’Unità d’Italia non fu solo un atto di eroismo, ma anche un processo di conquista interna, in cui la violenza di uomini come Bixio fu parte integrante della nascita dello Stato moderno.                                                                                                                                              

E forse proprio in questo dualismo — tra mito e repressione, tra libertà e obbedienza — si cela l’eredità più autentica e più inquietante di Nino Bixio: un eroe che, per difendere l’Italia nascente, finì per mostrare il volto oscuro della sua stessa nascita-