Gravita Zero: comunicazione scientifica e istituzionale

L’immagine d’impresa: da marginale a protagonista. Come è cambiata la comunicazione aziendale in Italia

di Giovanni Firera
Presidente ADI – Agenzia Digitale Italiana

Negli ultimi decenni, il mondo delle imprese italiane ha vissuto una vera e propria rivoluzione culturale: da una visione chiusa all’interno della fabbrica si è passati a una crescente attenzione per l’immagine e la comunicazione. Questo cambiamento è iniziato timidamente negli anni Ottanta, quando il concetto stesso di “immagine aziendale” ha iniziato a prendere piede anche nel nostro Paese.

Fino alla fine degli anni Settanta, infatti, le imprese italiane erano poco stimolate ad affacciarsi sul mercato con una propria identità. La televisione di Stato – allora quasi unico canale disponibile – era culturalmente ostile al mondo dell’impresa, contribuendo così a frenare qualsiasi evoluzione comunicativa. A testimonianza del ritardo, si cita il dato degli investimenti in comunicazione, che in Italia, intorno agli anni Ottanta, non superavano lo 0,6% del PIL, al contrario degli altri Paesi europei, che in media erano intorno all’1%.

La svolta arriva con l’ingresso sulla scena di nuovi canali televisivi, che aprono spazi pubblicitari accessibili alle imprese italiane. In parallelo, cresce la domanda da parte dei consumatori, generando un circolo virtuoso: più comunicazione, più investimento, più attenzione all’immagine.

Tuttavia, l’Italia ha vissuto questa trasformazione in modo peculiare. A differenza di altri Paesi, dove la transizione dalla “cultura del prodotto” a quella del “mercato” è avvenuta gradualmente, qui si è verificata una brusca accelerazione verso quella che viene definita “cultura dell’immagine”. Un’accelerazione che ha colto imprese e manager impreparati, portando a uno squilibrio: troppo simbolismo, troppa apparenza, poca attenzione alla qualità e al contenuto reale del prodotto.

È così che il mercato si è saturato di messaggi, occupando ogni possibile “spazio di voce” senza però garantirsi lo “spazio di attenzione” del consumatore. Si è parlato troppo, spesso in modo inefficace. Da qui la necessità di una nuova ragione, e la direzione del futuro è nella “cultura del servizio”: un modello non più centrato sul consumatore passivo, ma sugli stakeholder nel loro complesso – clienti, lavoratori, comunità locali, media, sindacati, istituzioni. Una cultura che mira al dialogo, alla condivisione di obiettivi.

La “cultura del servizio” è, infine, un ritorno all’essenza dell’impresa: meno immagine fine a sé stessa, più attenzione alla qualità, alla ricerca, allo sviluppo delle risorse interne. Un cambio di paradigma che potrebbe restituire significato alla comunicazione d’impresa, rendendola strumento autentico di relazione con il mondo.