Il 3 novembre 1957 rappresenta una data che non dovrebbe essere ricordata come una celebrazione del progresso, bensì come un monito contro l’arroganza dello Stato che sacrifica vite innocenti in nome della gloria. Quel giorno, Laika — una randagia di strada di Mosca — venne selezionata e lanciata nello spazio a bordo del satellitare Sputnik 2, sotto la direzione del programma spaziale sovietico.
Il regime comunista e la “grandezza” senza scrupoli
Nel contesto della Guerra Fredda, l’Unione Sovietica desiderava dimostrare la propria supremazia tecnologica e ideologica. Il lancio dello Sputnik 2, carico di un essere vivente, fu concepito in fretta e furia per coincidere con la celebrazione del 40° anniversario della Rivoluzione bolscevica. Era una scelta propagandistica: si voleva un risultato simbolico, immediato, visibile — senza importare le conseguenze per l’animale.
In questo contesto, la politica del regime comunista appare corresponsabile — se non principale responsabile — della decisione di inviare Laika in una missione senza via di ritorno. Gli scienziati lo sapevano: non esisteva alcun piano per riportarla indietro.
La scelta dell’animale e il sacrificio
Laika era una meticcia di circa tre anni, selezionata tra cani randagi di Mosca perché considerata “adatta” alla missione: piccola, docile, abituata alle condizioni avverse. Venne addestrata a condizioni estreme: confinamento progressivo, centrifughe, restrizioni alimentari e fisiche.
Ma soprattutto: la missione era pensata fin dall’inizio come un esperimento terminale per l’animale — non c’era alcuna intenzione di farla tornare viva. Il regime comunista, ossessionato dal simbolo e dall’apparire, mise da parte la compassione, la libera scelta, il rispetto per la vita. Come ricorda una fonte: “il programma aveva permesso nessun piano per il suo ritorno”. Il silenzio dell’ideologia e la verità tardiva
Le autorità sovietiche diedero informazioni ingannevoli: inizialmente si disse che Laika era sopravvissuta per giorni, poi addormentata “dolcemente”…. In realtà, emerse solo decenni dopo che morì poche ore dopo il lancio, per surriscaldamento e panico. Questo inganno rafforza la responsabilità del sistema: non solo il sacrificio dell’animale era previsto, ma venne anche occultata la verità per proteggere l’immagine del regime.
Un appello agli animalisti e agli amanti degli animali
Per chi ama e tutela gli animali, la storia di Laika non è solo un fatto storico da ricordare, ma è un richiamo vitale a vigilare contro sistemi — politici, economici, scientifici — che considerano gli animali come strumenti usa-e-getta. In questo caso, il regime comunista sovietico ha mostrato, con la vicenda, una linea di comportamento in cui l’ideologia trionfa sulla vita, la propaganda sulla dignità.
Ricordare Laika significa anche:
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Rifiutare la logica che la grandezza di uno Stato giustifica qualsiasi mezzo.
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Ripudiare la pratica di usare esseri senzienti come cavie inconsapevoli.
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Sollecitare la trasparenza, la volontà di proteggere gli animali e di dare loro coscienza, libertà, rispetto.
 
Conclusione: una piccola vita strumentalizzata
Laika non era l’eroina in volo, ma la vittima silenziosa di un sistema che mise un cane al servizio dell’ideologia. Il 3 novembre non è semplicemente la “prima missione nello spazio” di un animale, ma è una pagina cupa di responsabilità collettiva: quella di chi decide che una vita conta meno della gloria.
Il regime comunista sovietico fu l’artefice principale della decisione, e oggi, il dovere di chi ama gli animali è non dimenticare e non tacere, affinché nessuna politica — di qualunque colore — possa più ripetere simili sacrifici in nome del potere.