Gravita Zero: comunicazione scientifica e istituzionale

Che fine ha fatto Greta Thunberg? Il “minestrone” dell’attivismo e la crisi del simbolo climatico

L’effetto Greta, che nel 2019 portava milioni di studenti in piazza, oggi si è spento. Non perché il problema climatico sia meno urgente, ma perché la sua figura non rappresenta più un punto di riferimento inclusivo.

 

Greta Thunberg non è scomparsa, ma ha cambiato volto. Da icona globale della lotta contro il cambiamento climatico a testimonial di un attivismo che mescola giustizia ambientale, geopolitica, militanza sociale e ideologia, il suo percorso ha perso molta della forza comunicativa iniziale. Il passaggio dal “Fridays for Future” al “No climate justice on occupied land” è emblematico di una trasformazione che ha spiazzato e deluso molti dei suoi sostenitori originari. E non è un caso che oggi i media parlino meno di lei: ciò che prima era un messaggio universale e condivisibile è diventato divisivo, frammentario, e – per molti – incoerente.

1. Dall’ambientalismo al militanza politica: un cambio di direzione discutibile

Greta Thunberg è diventata celebre nel 2018 per aver posto con radicale semplicità una domanda scomoda ai politici mondiali: “Perché non fate niente per fermare il cambiamento climatico?” Quella chiarezza si è persa. Negli ultimi due anni, Thunberg ha progressivamente abbandonato il focus esclusivo sull’ambiente per abbracciare una concezione totalizzante di “giustizia climatica”, che include battaglie di natura politica e ideologica, spesso estranee alla questione ecologica in senso stretto.

Il caso più eclatante è l’appoggio alla causa palestinese. Nel 2023, Thunberg ha pubblicamente sposato lo slogan “Stand with Gaza” e ha partecipato a manifestazioni pro-Palestina, tra cui quella all’Eurovision 2024. Ha co-firmato articoli che legano la questione ambientale alla decolonizzazione e ai diritti dei popoli oppressi. Il rischio? Trasformare il cambiamento climatico – problema scientifico, tecnico ed economico – in una battaglia ideologica, diluendo il messaggio e rendendolo ostaggio di polarizzazioni geopolitiche.

2. Il declino mediatico: una parabola prevedibile

L’effetto Greta, che nel 2019 portava milioni di studenti in piazza, oggi si è spento. Non perché il problema climatico sia meno urgente, ma perché la sua figura non rappresenta più un punto di riferimento inclusivo. La trasformazione da attivista ecologista a militante politica ha creato un cortocircuito comunicativo: Thunberg non parla più a tutti, ma a una nicchia ideologizzata. E i risultati si vedono.

Molti media internazionali – dal New York Times al Der Spiegel – hanno evidenziato il calo di attenzione nei suoi confronti. Il motivo è duplice: da un lato, la saturazione del messaggio iniziale, dall’altro, l’incapacità di proporre soluzioni concrete e realistiche. La sua comunicazione, sempre più radicale e simbolica, non dialoga più con le istituzioni o con l’opinione pubblica moderata. Anzi, rischia di rafforzare lo scetticismo verso l’intero movimento ecologista.

3. Attivismo confuso, cause sovrapposte: l’effetto boomerang

La giustizia climatica è stata estesa da Thunberg a qualsiasi battaglia sociale, dal sostegno all’Ucraina alla difesa delle popolazioni indigene, dal boicottaggio della COP29 in Azerbaigian alle proteste contro il greenwashing. Questo approccio “olistico” ha portato a un “grande minestrone di attivismo”, come lo ha definito anche parte della stampa progressista, che finisce per depotenziare ogni singola causa. Anziché rafforzarsi a vicenda, le lotte si confondono e si indeboliscono.

Persino Fridays for Future Germania si è dissociata dalle sue posizioni su Gaza, temendo che la causa climatica venga contaminata da conflitti ideologici e religiosi che nulla hanno a che vedere con il riscaldamento globale. L’attivismo non è un menù a buffet, dove ogni causa può essere servita nello stesso piatto: mescolare ambiente, geopolitica, decolonizzazione e anticapitalismo rischia di non convincere nessuno e di dividere chi prima era unito.

4. Il contesto economico e la disconnessione dalla realtà

In Italia e in Europa, l’urgenza della crisi economica – inflazione, disoccupazione giovanile, stagnazione dei salari – ha relegato il tema climatico in secondo piano. Come ha sottolineato Tito Boeri, senza crescita economica e riforme del lavoro, parlare di transizione ecologica resta una dichiarazione di principio. In questo scenario, le richieste radicali di Greta Thunberg suonano fuori contesto: chiedere massicci investimenti verdi in un paese dove il 20% dei giovani è disoccupato appare miope, se non provocatorio.

Il parallelo con il primo quesito referendario (scheda verde) sul Jobs Act è illuminante: mentre l’Italia si interroga su come incentivare l’occupazione stabile, Thunberg promuove modelli economici alternativi (anticapitalisti, decrescitisti) difficilmente compatibili con le necessità sociali di oggi. È proprio questa distanza tra idealismo e pragmatismo a spiegare il calo del suo impatto mediatico.

5. Da simbolo globale a icona divisiva

Thunberg resta attiva – ha tentato di unirsi alla Gaza Freedom Flotilla nel maggio 2025 ed è stata arrestata in varie proteste – ma ha perso il suo status di simbolo universale. I motivi sono chiari:

L’effetto Greta è diventato l’effetto boomerang: da figura catalizzatrice a elemento divisivo, da ispirazione per milioni a personaggio controverso, più discusso che ascoltato.

Un’occasione sprecata?

Greta Thunberg ha avuto un merito storico: riportare il clima al centro del dibattito globale. Ma il suo successivo cambio di rotta – dall’ambientalismo puro all’attivismo politico e ideologico – ha compromesso quella forza. Invece di guidare un movimento coeso, ha frammentato il fronte ecologista. Invece di proporre soluzioni, ha abbracciato slogan. Invece di costruire consenso, ha generato divisione.

Mescolare troppe battaglie – soprattutto quelle politiche – con il tema climatico non è “giustizia”, è confusione. E in tempi così urgenti e delicati, la confusione è il nemico peggiore della causa ambientale.

AAVV