Gravita Zero: comunicazione scientifica e istituzionale

Euro colpevole o capro espiatorio? Venticinque anni di dati contro una Fake News italiana

I problemi italiani sono strutturali e preesistenti all’euro, che ha evitato scenari peggiori.

Molti in Italia pensano che l’euro abbia danneggiato la nostra economia. Dicono che, senza poter più svalutare la lira, il Paese sia rimasto fermo, le aziende siano diventate meno competitive e gli stipendi non siano più cresciuti. È una tesi suggestiva, ma quando si confrontano i numeri – e non le narrazioni – il quadro cambia radicalmente.I problemi che oggi attribuiamo alla moneta unica erano già tutti presenti, e in forma grave, negli anni della lira.

È una tesi suggestiva, ma quando si confrontano i numeri – e non le narrazioni – il quadro cambia radicalmente.I problemi che oggi attribuiamo alla moneta unica erano già tutti presenti, e in forma grave, negli anni della lira.

  1. Crescita del PIL: il declino è iniziato prima del 1999
    Tra il 1980 e il 1998 la crescita media annua italiana era del 2,1 %, ma già nel decennio 1989-1998 era scesa all’1,4 %. Dal 1999 al 2007 – i primi anni dell’euro – è salita all’1,5 %, con un vero e proprio mini-boom nel biennio 1999-2000 grazie al crollo dei tassi reali (da oltre il 6 % pre-euro a valori negativi).
    Il vero tracollo arriva dopo il 2008 (crisi Lehman) e il 2020 (pandemia): eventi globali che hanno colpito tutti, ma che l’Italia ha assorbito peggio per le sue fragilità strutturali, non per l’impossibilità di stampare moneta.
    Secondo modelli controfattuali del FMI e del CEPR, l’effetto netto negativo dell’euro sul PIL pro capite italiano tra il 1999 e il 2011 è stato appena -3,7 % cumulativo, un impatto modesto e largamente spiegato da riforme mancate, non dalla perdita dello strumento svalutativo.
  2. Produttività: il male oscuro italiano dal 1995
    La produttività totale dei fattori (PTF) italiana è praticamente ferma dal 1995: +2,5 % in vent’anni (2003-2023) contro +16 % Germania e +20 % Francia.
    Questo divario esisteva quando potevamo ancora fare “svalutazioni competitive” ogni pochi anni. Le maxi-svalutazioni del 1992 (-30 % della lira) e del 1995 diedero un boost temporaneo all’export, ma al costo di inflazione a doppia cifra e di un’erosione duratura del potere d’acquisto delle famiglie. Erano analgesici, non cure.
    Eppure, proprio nell’era dell’euro “forte”, l’Italia ha costruito un surplus commerciale stabile dal 2013 in poi, con export record di 731 miliardi nel 2023 e leadership mondiale nei beni di investimento, nella moda di alta gamma e nell’agroalimentare di qualità.
  3. Esportazioni e bilancia commerciale: il paradosso virtuoso
    Più del 56 % del nostro export va nell’area euro. Senza la moneta unica avremmo dovuto competere con continue guerre valutarie intra-europee.
    Dal 2010 le esportazioni di macchinari e moda sono cresciute del 25-35 %, e l’export verso USA e Asia è aumentato del 10-15 % annuo post-pandemia.
    Il surplus commerciale corretto per l’energia ha toccato i +98 miliardi nel 2023: un risultato impensabile con una lira costantemente sotto attacco speculativo.
  4. Debito pubblico e crisi dello spread: senza euro saremmo falliti
    Nel 2011 lo spread BTP-Bund superò i 550 punti base. Senza l’euro e senza l’ombrello della BCE (OMT di Mario Draghi del 2012) l’Italia avrebbe fatto default o sarebbe stata costretta a un’iperinflazione alla greca.
    Grazie alla credibilità della moneta unica il costo medio del debito è crollato dal 6-7 % degli anni Novanta a meno del 2 % per oltre un decennio, con un risparmio cumulativo di interessi stimabile in oltre 600 miliardi di euro dal 1999 a oggi.
  5. Regole fiscali: dal rigore punitivo alla nuova flessibilità
    Il vecchio Patto di Stabilità è stato eccessivamente pro-ciclico tra il 2011 e il 2014, ma è stato completamente riformato nel 2024 (regole basate su traiettorie di spesa netta), e durante la pandemia le clausole di sospensione hanno permesso all’Italia di fare deficit oltre il 10 % del PIL senza crollare.
    Risultato: dal 7,2 % del 2020 il deficit è sceso al 2,6 % previsto per il 2027 senza austerity recessiva.

Conclusione scomoda ma documentata

L’euro non ci ha reso ricchi da soli, ma ci ha protetto da noi stessi. Ha imposto disciplina (a volte eccessiva), ma ha anche offerto:

  • stabilità dei prezzi (inflazione media 2 % vs. 5-6 % pre-euro)
  • mercati aperti senza barriere valutarie
  • tassi d’interesse bassissimi per vent’anni
  • un ombrello anti-crisi che nessuna lira avrebbe mai potuto garantire

I veri responsabili della mancata convergenza verso i partner europei si chiamano:

  • riforme rinviate per trent’anni
  • spesa pubblica spesso improduttiva
  • burocrazia paralizzante
  • investimenti in istruzione e R&S tra i più bassi d’Europa
  • dualismo territoriale mai davvero affrontato

Uscire dall’euro o sognare il ritorno alla “svalutazione competitiva” significherebbe buttare via la stabilità e l’accesso ai mercati più grandi del mondo per rincorrere l’illusione di una competitività comprata a buon mercato con la stampante.L’Italia non è cresciuta poco perché ha adottato l’euro.
È cresciuta poco nonostante l’euro,
e senza l’euro sarebbe cresciuta molto, molto meno.
Il futuro non sta nel rimpiangere la lira, ma nell’usare finalmente i margini di manovra che l’euro e il PNRR ci hanno regalato per fare le riforme che non abbiamo mai avuto il coraggio di fare con la nostra vecchia moneta.

 

Fonti consultate su ricerche aggiornate al dicembre 2025.

Crescita PIL pre/post-euro


Produttività stagnante dal 1995

Surplus commerciale 2023

Crisi debito 2011-2012 e OMT

 

PER APPROFONDIRE

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