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ETF e oro, la corsa si è fermata e scatta l’allarme rosso

Fino a qualche tempo fa, il destino delle valutazioni dell’oro era fortemente legato agli Etf. È successo dal 2004 in poi, anno in cui gli Exchange Traded Fund hanno fatto il proprio esordio tra i prodotti finanziari, e sin da subito è stato chiaro che il lingotto e le sue valutazioni fossero legate a questi fondi d’investimento o Sicav a gestione passiva. 

Quel che ha sempre attirato i “cercatori d’oro” erano le compravendite continue dell’oro in borsa durante la giornata, ma anche l’impostazione di stop loss, limiti, margini e vendite short. Massima flessibilità, dunque, nell’ottica di un investimento che rispondesse alle esigenze del cliente anche in materia di abbassamento dei rischi. Con gli ETF, secondo quanto si legge su Moneyfarm, vantaggi sostanziali sono legati a doppio filo alla possibilità di diversificare l’investimento per evitare le incertezze e i colpi di scena del mercato, ma anche per personalizzare nel miglior modo possibile l’investimento a seconda della propensione del risparmiatore stesso.

Queste basi, uniti agli attributi di versatilità, efficienza e trasparenza della gestione passiva, costi esigui e mancata esposizione in caso di insolvenza hanno fatto negli scorsi anni, e per oltre un decennio, le fortune degli ETF, soprattutto di quelli legati all’oro che non hanno (quasi) mai risentito della crisi che ha attanagliato gran parte del mercato finanziario internazionale anche a causa della situazione degli istituti bancari e di alcuni governi.

Sono i numeri a testimoniare il grande successo fatto registrare dagli ETF nel corso degli anni, visto che il prodotto è molto gradito dagli operatori della Borsa Italiana, tra i più attivi in Europa nella compravendita degli ETF, e che negli Stati Uniti uno strumento gestito su due è un ETF. Gli ultimi aggiornamenti, però, non sono così favorevoli al binomio ETF-lingotti d’oro. Secondo le statistiche pubblicate da Bloomberg, i flussi d’investimento dell’oro hanno generato 1,72 miliardi di dollari, ben al di sotto dei risultati precedenti, ma i cali sono solo la logica conseguenza di alcuni segnali che sono stati notati già 12 mesi orsono. Basterà evidenziare che tra aprile e giugno la domanda globale di oro è scesa a 953 tonnellate, con un preoccupante 10% in meno rispetto all’anno precedente e con il primato negativo negli ultimi due anni.

La causa di questo calo della domanda è imputabile proprio agli ETF. Gli investitori infatti hanno smesso di credere e di “puntare” sull’oro, spostando la propria attenzione sulla tecnologia, soprattutto in materia di device mobili, di strumenti di ricarica via wireless e dei Led. Negli ultimi 3 mesi, gli ETF “tecnologici” hanno prodotto una domanda di 80,1 tonnellate, mentre i “cugini” aurei si sono fermati a 56. A tenere alta la bandiera di uno dei metalli più preziosi ci pensano i mercati emergenti come quelli indiano e cinese, ma continuano ad arrivare segnali negativi sia dagli acquisti di barre e monete d’oro – che si mantengono sotto le medie dell’ultimo lustro -, sia dagli acquisti al dettaglio, che non superano le 1000 tonnellate come è accaduto solo in altre 3 occasioni negli ultimi 17 anni.

Ulteriore beffa è la crisi del più grande ETF legato all’oro fisico, ossia l’Spdr Gold Share, che nel 2017 ha fatto segnare i minimi storici. Gli altri fondi ETF legati al lingotto, invece, non stanno mantenendo gli stessi standard, ma le incognite verso il prossimo futuro sono numerose, come dimostra il flusso di luglio che ora fa scattare il campanello d’allarme: quel che preoccupa è la “fame d’oro” dei risparmiatori europei.