In Copertina: Immagini NASA FIRMS del 19/06/2025 del Centro di Ricerca Nucleare di Isfahan.
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Il 22 giugno 2025, attacchi aerei statunitensi hanno colpito strutture nucleari chiave dell’Iran, tra cui il Centro Tecnologico Nucleare di Isfahan, Natanz e l’impianto di arricchimento del combustibile di Fordow, altamente fortificato. Le immagini satellitari, come quelle fornite da Maxar Technologies, mostrano danni significativi alle strutture in superficie a Isfahan, con tetti crollati e segni evidenti di carbonizzazione nel complesso. Tuttavia, l’entità dei danni alle capacità nucleari dell’Iran, in particolare alle strutture sotterranee, rimane incerta, poiché ricercatori e analisti si confrontano con un accesso limitato a dati verificabili.
Danni in superficie contro incertezze sotterranee
Il complesso di Isfahan, un centro cruciale per la conversione dell’uranio, ha mostrato chiari segni di distruzione nelle immagini satellitari, con numerosi edifici gravemente danneggiati o distrutti. Anche Natanz, il principale sito iraniano per l’arricchimento dell’uranio, ha subito colpi significativi, con l’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica (IAEA) che ha riportato “impatti diretti” sulle sale di arricchimento, situate a pochi metri sotto terra. Questi attacchi, combinati con precedenti raid israeliani sulle infrastrutture di superficie di Natanz, hanno probabilmente interrotto i sistemi elettrici e le operazioni delle centrifughe, fermando temporaneamente l’arricchimento dell’uranio. Tuttavia, la struttura di Fordow, sepolta a 80-90 metri sotto una montagna vicino a Qom, rappresenta una sfida molto maggiore per la valutazione. Progettata per resistere ad attacchi convenzionali, le centrifughe sotterranee di Fordow sono cruciali per la capacità dell’Iran di arricchire l’uranio fino a livelli vicini a quelli necessari per un’arma (60% di U-235, vicino al 90% richiesto per una bomba).
Le immagini satellitari di Fordow mostrano cambiamenti in superficie, tra cui detriti e scolorimenti, forse dovuti a colpi sui condotti di ventilazione, considerati punti vulnerabili in strutture così fortificate. Joseph Rodgers, vicedirettore del Center for Strategic and International Studies, sottolinea che colpire i condotti di ventilazione potrebbe danneggiare componenti interni. Tuttavia, senza ispezioni sul posto, l’entità dei danni sotterranei rimane speculativa. L’IAEA, a cui l’Iran ha negato l’accesso, non è stata in grado di confermare lo stato operativo delle centrifughe di Fordow, lasciando i ricercatori dipendenti da prove indirette come immagini satellitari e fughe di notizie di intelligence.
Implicazioni strategiche e propaganda
Funzionari statunitensi, tra cui il presidente Donald Trump e il segretario alla Difesa Pete Hegseth, hanno dichiarato che gli attacchi hanno “devastato” il programma nucleare iraniano, con Trump che ha sostenuto una “totale annientamento” dei siti chiave. Al contrario, un rapporto trapelato della Defense Intelligence Agency (DIA) suggerisce che gli attacchi potrebbero aver solo ritardato la capacità di arricchimento dell’uranio dell’Iran di pochi mesi, con molte centrifughe probabilmente intatte. I funzionari iraniani, incluso il leader supremo Ali Khamenei, hanno minimizzato i danni, descrivendoli come superficiali per rafforzare il morale interno e mantenere una posizione di forza nei negoziati nucleari sospesi.
Esperti come Jeffrey Lewis, citato nell’analisi di Castelvecchi, descrivono l’operazione come “tatticamente eccellente ma strategicamente incompleta”. La scorta iraniana di uranio arricchito al 60% — stimata dall’IAEA in oltre 400 chilogrammi, sufficiente per diverse potenziali testate se ulteriormente arricchito — sarebbe stata spostata prima degli attacchi, come suggerito da immagini satellitari che mostrano attività di camion intorno a Fordow. Questa azione preventiva, combinata con l’expertise iraniana e le strutture segrete (potenzialmente vicino a Natanz), implica che il paese potrebbe ricostruire la sua capacità di arricchimento relativamente rapidamente.
Tra scienza e geopolitica
Valutare l’impatto degli attacchi richiede di superare significativi ostacoli scientifici. Strutture sotterranee come Fordow sono progettate per assorbire gli shock, e persino le bombe GBU-57 Massive Ordnance Penetrator degli Stati Uniti, capaci di penetrare oltre 60 metri di cemento armato, potrebbero non aver distrutto le strutture più profonde. I modelli computerizzati, come nota Lewis, forniscono stime sulla resilienza strutturale ma mancano di precisione senza dati diretti. L’impossibilità dell’IAEA di condurre ispezioni complica ulteriormente le valutazioni, così come la decisione dell’Iran di sospendere la cooperazione con l’agenzia dopo gli attacchi.
Dal punto di vista geopolitico, gli attacchi hanno intensificato le tensioni, con l’Iran che minaccia rappresaglie e gli Stati Uniti che emettono allerte globali per i propri cittadini. L’operazione, denominata “Midnight Hammer”, ha coinvolto tattiche sofisticate, tra cui bombardieri stealth B-2 e un volo diversivo per mantenere la sorpresa. Tuttavia, la mancanza di prove chiare di un successo strategico ha alimentato scetticismo. La valutazione cauta della DIA contrasta nettamente con la retorica politica, evidenziando il divario tra affermazioni militari e realtà scientifica.
L’effettivo impatto degli attacchi aerei statunitensi sul programma nucleare iraniano potrebbe non essere noto per mesi, se non anni, senza ispezioni dell’IAEA o intelligence credibili. Sebbene i danni in superficie a Isfahan e Natanz siano evidenti, la resilienza dell’infrastruttura sotterranea di Fordow e la scorta di uranio salvaguardata dall’Iran suggeriscono che il programma sia tutt’altro che “cancellato”. I ricercatori continuano ad analizzare immagini satellitari e rapporti di intelligence, ma l’interazione tra propaganda, accesso limitato e limitazioni tecniche lascia la comunità scientifica con più domande che risposte. Mentre le potenze globali gestiscono le conseguenze, gli attacchi sottolineano il delicato equilibrio tra azione militare e sforzi diplomatici per contenere le ambizioni nucleari dell’Iran.
Fonte: Nature (2025)