Gravita Zero: comunicazione scientifica e istituzionale

Cellulare a scuola: giusto o sbagliato?

di Claudio Pasqua 

Il Ministero dell’Istruzione ha diffuso una circolare che dispone, anche per gli studenti delle scuole superiori, a partire dal prossimo anno scolastico, il divieto di utilizzo del telefono cellulare durante lo svolgimento dell’attività didattica e, più in generale, durante l’orario scolastico.

Tuttavia, sono sempre stato convinto che — esclusivamente per finalità didattiche — l’impiego di altri dispositivi tecnologici e digitali a supporto dell’innovazione dei processi di insegnamento e di apprendimento, come PC, tablet e lavagna elettronica, sia fondamentale.

Fateci caso: chi si oppone con più forza all’uso del digitale in classe è spesso chi, nella vita come nell’insegnamento, ha difficoltà a utilizzarlo in modo consapevole e costruttivo. Non è un’accusa, ma una constatazione. La tecnologia, se non la si conosce o non la si sa gestire, fa paura. È più semplice vietare che imparare ad accompagnare.

Ma la scuola non può permettersi di restare indietro per colpa delle insicurezze di chi dovrebbe guidare il cambiamento. Se vogliamo che gli studenti diventino cittadini informati e responsabili, dobbiamo aiutarli a orientarsi nel mondo digitale, non escluderli da esso durante le ore di lezione.

Il paradosso è evidente: vietiamo l’uso dei cellulari a scuola, mentre fuori da quelle mura è proprio il mondo digitale a essere il loro principale ambiente di apprendimento, di relazione, di influenza. Il compito della scuola è formarli per affrontarlo, non ignorarlo.

Negare agli studenti l’accesso a questi strumenti significherebbe pretendere di insegnare educazione musicale senza mai far ascoltare un brano, oppure spiegare il funzionamento di un microscopio solo con parole e immagini, senza mai farne utilizzare uno. La tecnologia, se ben guidata, non è una distrazione: è un ponte verso la comprensione.

Come fanno negli altri paesi? 

1. Modello BYOD (Bring Your Own Device) – USA, Canada, Australia, NZ

2. Finlandia – Uso strutturato e integrato

3. Singapore – Piena infrastruttura tecnologica

4. Danimarca – Restrizioni emergenti

5. Corea del Sud & Giappone – Tra permessi educativi e divieti


📊 Evidenze e studi internazionali


🇮🇹 Situazione in Italia


✅ Conclusione e proposte operative

Un’integrazione efficace dei telefoni in classe in Italia potrebbe basarsi su questi pilastri:

Asse Strategia
Policy scolastiche Regole precise: uso solo per attività approvate, divieti in momenti specifici (esami, lezioni frontali).
Formazione Programmi per docenti e studenti su media literacy, self‑regulation, sicurezza digitale.
Tecnologia e infrastrutture Wi‑Fi, accesso uniforme, dispositivi di backup per chi è sprovvisto.
Monitoraggio Rilevazione regolare di impatto su attenzione, rendimento e benessere; adattamenti basati su evidenze.

📚 Fonti fondamentali


Sintesi: la tecnologia può essere una grande risorsa se ben governata: paesi avanzati bilanciano permessi e limiti, supportati da formazione e infrastrutture. In Italia servirebbe un approccio simile, calibrando l’uso educativo dei cellulari con regole strutturate, formazione e controllo degli impatti.

PER FINIRE, UN ESEMPIO REALE 

Ricordo perfettamente una lezione tenuta in una classe quarta di un istituto superiore. Era una mattina qualunque, ma decisi di proporre qualcosa di diverso.

Non è un caso: di solito tengo lezioni nelle scuole superiori proprio su giornalismo e fake news, su come si riconoscono, come si diffondono e quali danni possono provocare. È un tema che mi sta particolarmente a cuore, perché credo fermamente che educare i ragazzi all’informazione consapevole sia oggi una priorità assoluta.

Quel giorno, mentre parlavamo di disinformazione e bufale virali, chiesi agli studenti di tirare fuori i loro telefoni. Ci fu un attimo di sorpresa — i cellulari in classe sono quasi sempre associati a un divieto — ma poi vidi subito nei loro occhi curiosità e coinvolgimento.

Li invitai a cercare esempi concreti di notizie lette online o sui social: post sensazionalistici, articoli non verificati, catene di condivisione su TikTok, Instagram e siti poco affidabili. Analizzammo insieme i contenuti: chi li aveva pubblicati, quale fonte era indicata (se presente), quali parole chiave venivano usate per attirare clic. Spiegai loro come distinguere un titolo clickbait da un titolo informativo, e quali segnali evidenziano una manipolazione o una costruzione falsa.

Alla fine della lezione, uno studente mi disse: “Ora ho capito perché certe notizie sembrano tutte uguali… e perché ci caschiamo così facilmente.”
In quel momento ho avuto la conferma: usare gli smartphone in classe non è il problema, se c’è un obiettivo educativo chiaro e condiviso.

Per questo guardo con una certa preoccupazione alle disposizioni generali che vietano l’utilizzo dei cellulari anche alle superiori: è un errore mettere tutto nello stesso calderone. Se usati con intelligenza e sotto la guida di un insegnante o di un esperto, gli strumenti digitali non distraggono: insegnano, incuriosiscono, attivano pensiero critico.

Educare all’uso, non vietare. Questa è, e resta, la mia linea.