Sempre più spesso si sente parlare di Big Data. È un’espressione inglese che può essere tradotta come “grande [quantità] di dati” e che fa essenzialmente riferimento a tutta l’enorme quantità di dati, peraltro sempre in aumento, che viene continuamente prodotta da dispositivi mobili, social network, sistemi aziendali, piattaforme scientifiche, transazioni online ecc. e che confluisce in grandi archivi, per esempio i centri di elaborazione dati e il cloud. Questi dati, vista la loro complessità e la loro quantità, richiedono tecnologie avanzate per essere analizzati, come intelligenza artificiale, machine learning e algoritmi sofisticati.
La gestione dei Big Data si sta rivelando utilissima in molti settori, fra cui quello della sanità. A questo proposito, piattaforme digitali come il portale Johnson & Johnson Innovative Medicine sono un punto di riferimento per i professionisti del settore, come medici e farmacisti, perché offrono strumenti e approfondimenti utili a capire come la digitalizzazione e i Big Data possano migliorare la ricerca medica e la pratica clinica quotidiana.
Da dove provengono i Big Data in ambito sanitario?
La gran parte dei Big Data relativi all’ambito sanitario proviene da cartelle cliniche elettroniche (CCE), sistemi di monitoraggio e dispositivi medici (per esempio i pacemaker, i dispositivi medici indossabili), banche dati epidemiologiche e di sanità pubblica, laboratori medici, case di cura, piattaforme digitali, social media ecc.
Accanto a queste fonti primarie di Big Data si devono considerare le fonti secondarie, come gli articoli scientifici e i manuali di medicina (per esempio, il famoso Harrison’s Principles of Internal Medicine, una delle risorse medico-scientifiche più importanti).
Questi dati possono essere sfruttati in molti modi diversi. Un esempio pratico: il National Center For Tumor Diseases di Heidelberg (Germania) utilizza i Big Data che provengono dagli archivi relativi ai pazienti oncologici per effettuare ricerche sui marcatori tumorali, creando un “registro tumori” considerato unico nel suo genere.
L’importanza dei Big Data per i professionisti della salute
I Big Data rappresentano una risorsa importantissima per i professionisti sanitari. Per esempio, nel caso dei medici ospedalieri, possono essere sfruttati per migliorare i processi di diagnosi, per mettere a punto terapie più mirate e gestire il percorso clinico dei pazienti.
Infatti, l’elaborazione informatica di grandi quantità di informazioni che provengono dalle cartelle elettroniche, referti, esami di laboratorio ecc. permette di individuare informazioni e legami che sfuggirebbero a un’analisi tradizionale, anche perché sarebbe impossibile analizzare in tempi brevissimi una quantità enorme di dati.
Di fatto, queste analisi complesse, consentono di migliorare il processo decisionale e di ridurre gli errori clinici.
Il ruolo dei Big Data nella ricerca clinica e farmacologica
Avere a disposizione un’enorme mole di dati che, grazie a sofisticati sistemi, può essere elaborata in tempi brevissimi, è fondamentale anche nell’ambito della ricerca clinica e farmacologica perché può accelerare la messa a punto di nuovi principi attivi, vaccini e protocolli di cura.
Infine, non si deve dimenticare che i Big Data possono risultare di grandissima rilevanza anche per quanto riguarda i farmaci che sono già in commercio poiché, grazie alla continua raccolta di informazioni sul loro impiego, si possono ottenere informazioni sempre più precise e affidabili sulla loro efficacia e sulla loro sicurezza perché si basano sul loro impiego reale.
Essi rappresentano quindi, insieme alle continue innovazioni tecnologiche, un’opportunità significativa per il mondo della medicina.