Quando Jeff Bezos e la sua compagna scelgono Venezia per celebrare le loro nozze, non si tratta solo di un evento da copertina o di gossip mondano. È, o meglio avrebbe potuto essere, un caso esemplare di economia applicata, di valorizzazione territoriale, di strategia turistica e imprenditoriale a lungo termine. Ma in Italia – troppo spesso – la riflessione viene soffocata dall’indignazione e dalla polemica sterile, anziché orientata verso una visione costruttiva.
I numeri parlano chiaro.
In sole 72 ore, Venezia ha accolto ospiti internazionali di altissimo profilo, capaci di generare una ricaduta economica stimata tra i 30 e i 40 milioni di euro. Un fiume di denaro distribuito tra hotel di lusso, ristoranti stellati, logistica, sicurezza, staff tecnico, shopping, servizi artigianali, e via dicendo. Senza dimenticare l’effetto indiretto: fornitori locali coinvolti, assunzioni temporanee, prolungamenti di soggiorno, brand italiani rilanciati a livello internazionale.
È stato un vero e proprio spot globale per Venezia e per l’Italia.
Un evento capace di rilanciare il nostro posizionamento internazionale non solo nel settore del turismo di lusso, ma anche in quello delle esperienze culturali autentiche. Perché Bezos ha scelto Venezia, non Dubai. Ha preferito un vero chiostro rinascimentale a una copia finta della Toscana in qualche resort americano. Ha cercato la bellezza autentica, quella che nessun altro Paese al mondo può replicare.
Eppure, il dibattito pubblico italiano si è inceppato come sempre sul piano emotivo:
“Con tutta la povertà che c’è, ci manca solo Bezos con la sua ostentazione…”
Questo è il vero cortocircuito: l’incapacità di separare la critica sociale dalla visione strategica.
Bezos non ha tolto nulla a nessuno. La sua ricchezza non è sottrazione, ma occasione. Il suo investimento – privato – ha generato valore collettivo. Eppure, in Italia, chi ha successo viene ancora guardato con sospetto. Il lusso è percepito come una provocazione, non come un’opportunità. È il retaggio di una cultura del dubbio cronico, dove l’intraprendenza viene letta come privilegio e non come motore di cambiamento.
Ma il punto non è Bezos. Il punto è l’Italia.
Siamo un Paese in grado di attrarre i più ricchi del mondo, ma incapace di strutturare un sistema per capitalizzaredavvero queste occasioni. Abbiamo il prodotto (la bellezza, la storia, l’enogastronomia, il lifestyle), ma non abbiamo il modello imprenditoriale per moltiplicare queste opportunità in modo sistemico. Manca un ecosistema che permetta di trasformare un evento eccezionale in un flusso continuo di valore, di investimenti, di progettualità.
La domanda vera non è: “Bezos ha fatto bene?”
La domanda giusta è: “Cosa abbiamo fatto noi dopo?”
Perché in un Paese con visione, da un matrimonio così si costruisce una piattaforma per altri 50 eventi simili. Si disegna un’offerta esperienziale di lusso culturale. Si crea un modello Made in Italy per attrarre imprenditori, mecenati, investitori.
Non possiamo accontentarci dell’evento singolo.
Dobbiamo progettare un sistema in cui Venezia (e l’Italia) diventino una destinazione naturale per eventi esclusivi ma anche accessibili, dove il valore generato si distribuisce, si reinveste, si consolida.
Serve cambiare prospettiva.
Non inseguire i miliardari. Ma creare le condizioni affinché siano loro a cercare noi.
Non basta che Bezos si sposi a Venezia. Dobbiamo fare in modo che il prossimo Bezos non sia un ospite fugace, ma un partner stabile, un investitore nel nostro territorio.
Il matrimonio è stato una straordinaria vetrina di branding. Ma senza un masterplan che trasformi questo “colpo di fortuna” in un modello replicabile, resta un’occasione mancata.
Impariamo a progettare il futuro.
Non con claim o indignazione, ma con visione economica, capacità strategica e orgoglio intelligente per quello che siamo. Il brand Italia è fortissimo. Ma serve il coraggio di farlo diventare impresa.
Una volta tanto, smettiamola di dire “eh ma con la crisi…”, e iniziamo a domandarci come costruire una nuova economia dell’eccellenza dove anche la bellezza diventa leva per la crescita.
E dove – per una volta – il successo degli altri non è un fastidio. Ma un’occasione per tutti.