È arrivato l’iPhone 17. Nessuno si è emozionato, nessuno si è davvero stupito.
Il copione non cambia mai: chip più veloci, fotocamere più sofisticate, batterie più durature. E poi un nuovo iOS, che sembra più interessato a far sembrare obsoleti i vecchi iPhone che a offrire qualcosa di davvero innovativo. Nessuna sorpresa, nessuna intuizione visionaria: solo un silenzio di fondo che urla mediocrità.
Apple non stupisce più. È diventata un monumento a se stessa, un’azienda che vive sulle glorie di Jobs ma raramente osa riaccendere quella scintilla creativa. Un tempo era pioniera, oggi è solo un gestore di successi passati, lasciando agli altri il rischio e l’imprevedibile.
Prendiamo Siri: nel 2011 prometteva rivoluzione, la voce che avrebbe cambiato il nostro modo di interagire con la tecnologia. Oggi è ridotta a un telecomando vocale: utile per un timer o un messaggio veloce, incapace di capire il contesto, ricordare, imparare. Nel frattempo, OpenAI in pochi anni ha stravolto il linguaggio, ridefinendo come scriviamo, cerchiamo e pensiamo. E Apple? Corre dietro, inserendo ChatGPT nei suoi dispositivi come chi ammette la sconfitta.
Dopo Jobs, Apple ha smesso di immaginare ciò che non esisteva. Con l’uscita di Jonathan Ive, sotto Tim Cook è diventata una macchina perfetta e iper-ricca, valutata oltre 3.000 miliardi di dollari. Ma è una macchina senz’anima, senza la follia visionaria capace di riscrivere le regole.
E intanto gli altri hanno osato: Spotify ha rivoluzionato la musica, Netflix l’intrattenimento, WhatsApp la messaggistica, OpenAI ha aperto nuovi orizzonti dell’intelligenza artificiale. Apple? Ogni anno introduce aggiornamenti minimi ad AirPods.
Come se non bastasse, neppure lo storico slogan “Think Different” appartiene più alla Mela. La Corte di giustizia europea ha stabilito che Apple non può più rivendicarne i diritti: troppo tempo è passato dall’ultima volta che l’azienda lo ha davvero usato. Quel motto, nato nel 1997 per accompagnare i PowerBook e gli iMac, era molto più di una campagna pubblicitaria: era una dichiarazione di intenti. Lo spot con le immagini di Martin Luther King, Einstein, Rosa Parks e altri innovatori ribadiva l’orgoglio di essere diversi, anticonformisti, capaci di cambiare il mondo. Oggi, invece, Apple si vede sottrarre legalmente quella frase proprio perché non la incarna più. Non pensa diverso, non agisce diverso: si limita a perfezionare ciò che già esiste.
E qui sta il punto più amaro. Non si tratta solo di perdere una battaglia legale contro Swatch e il suo gioco di parole “Tick Different”. Si tratta del segnale simbolico che Apple non ha più diritto — né legale, né culturale — di proclamarsi portabandiera della diversità di pensiero. Il suo slogan si è svuotato prima ancora che i tribunali glielo strappassero via.
L’azienda che un tempo rischiava, che faceva dell’imprevisto la propria arma, ha smesso di cercare il futuro. E un’azienda che non cerca più, per quanto solida, amata e dominante, finisce inevitabilmente per doverlo affittare da chi ancora osa inventarlo.